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Sempre più, i biocarburanti sono fatti con grassi animali scartati dall’industria della carne. Un business insostenibile. E spesso c’è la frode.
Quando si sente parlare di biodiesel non vengono in mente carcasse di animali. Eppure, in Europa, quasi la metà di tutti i grassi animali scartati dall’industria della carne diventano biocarburanti. Questi vanno ad alimentare gli aeroplani che usiamo per spostarci da un paese all’altro e uno dei maggiori produttori è l’Italia. Questo è i poche parole il quadro dipinto nell’ultimo report pubblicato dall’ong Transport&Environment.
“Volano maiali” è un’espressione finora mai sentita ma che potrebbe diventare più comune in futuro. A coniarla è stata l’organizzazione Transport&Environment che di recente ha pubblicato uno studio dedicato all’uso di grassi animali nella produzione di biocarburanti.
T&E ha calcolato che per un volo da Parigi a New York potrebbero servire in futuro fino a 8.800 maiali morti. Questa sarebbe la quantità di suini necessaria a ricavare i grassi animali di cui sopra, appena sufficiente per la tratta aerea da un continente all’altro. Se gli animal fats dovessero diventare la principale materia prima per produrre Sustainable aviation fuels (Saf), i cosiddetti “carburanti sostenibili per l’aviazione”, il crescente uso di grassi animali per alimentare il trasporto aereo e su strada, in Europa, diverrà insostenibile.
Secondo il gruppo ecologista serve maggiore trasparenza affinché i consumatori sappiano cosa finisce (e cosa potrebbe finire nei prossimi anni) nei cosiddetti biodiesel. L’uso del biocarburante a base di grassi animali è raddoppiato negli ultimi dieci anni ed è 40 volte superiore rispetto al 2006.
I legislatori europei hanno promosso questo sottoprodotto della zootecnia intensiva come una soluzione per ridurre l’impatto ambientale dei carburanti per il trasporto: si è partiti dalle automobili fino a estendere l’impiego di questi prodotti anche agli aerei e, in misura minore, alle navi.
“Tuttavia, il primo limite da affrontare è la scarsità di questi residui dell’industria della carne” scrive T&E. “I grassi animali sono necessari, e difficilmente sostituibili, per l’industria del pet food, dei saponi e della cosmesi; ma quasi la metà di tutti i grassi animali europei, attualmente, è destinata alla produzione di biodiesel, e da qui al 2030 il consumo di biocarburanti prodotti con questa materia prima potrebbe triplicare, innescando una forte competizione tra diversi settori”.
Inoltre, va ricordato che si tratta dello scarto di un’industria, quella della zootecnia intensiva, a sua volta insostenibile in termini di emissioni di gas serra e le cui dimensioni e la cui produzione necessitano di essere radicalmente ripensati, se si vuole proteggere il clima. “In prospettiva, i biocarburanti prodotti dai grassi animali si rivelano quindi una soluzione non scalabile e insostenibile per la decarbonizzazione dei trasporti” taglia corto T&E.
Tra l’altro c’è pure il rischio dell’esistenza di una frode industriale vera e propria. I grassi animali si dividono in tre categorie: la 1 e la 2 comprendono i grassi animali che non possono essere consumati dall’uomo o dagli animali, in quanto di scarsa qualità o potenziale veicolo di agenti patogeni e malattie. Questi normalmente vengono utilizzati solo nei carburanti per i trasporti e per il riscaldamento. I grassi animali di categoria 3 sono invece di qualità migliore e vengono utilizzati in diversi settori.
Succede che però quelli di categoria 3 vengano spesso volutamente “declassati” ed etichettati come di categoria inferiore per poter essere utilizzati nel settore trasporti e beneficiare così del doppio incentivo economico: infatti, la direttiva europea sull’energia rinnovabile (Red) incoraggia la produzione di grassi animali per i carburanti da trasporto, consentendo ai fornitori di carburante di raggiungere gli obiettivi sulle rinnovabili grazie al loro utilizzo. La Red dà priorità alle categorie 1 e 2 per i carburanti da trasporto, assegnando loro il doppio del loro contenuto energetico (e quindi un doppio incentivo economico) nel raggiungimento degli obiettivi. Ecco perché vale la pena declassare i grassi di categoria più alta.
La frode è accertata dallo studio che T&E ha commissionato a Cerulogy, una società di consulenza esperta del settore, studio che dimostra una forte discrepanza tra i dati riportati dagli stati membri e quelli dell’industria dei grassi animali. Se quest’ultima, nel 2021, ha dichiarato di poter offrire al mercato poco meno di mezzo milione di tonnellate di grassi animali di tipo 1 e 2, gli Stati membri hanno invece riportato un impiego di queste materie di circa 1 milione di tonnellate.
La discrepanza per l’Italia vale circa il 50 per cento di tutto lo stock europeo, pertanto risulta il principale utilizzatore di grassi animali di categoria 1 e 2 nella produzione di biodiesel (circa 440mila tonnellate raffinate nel solo 2021). L’Italia, ricordiamolo, si sta spendendo molto anche nel riconoscimento dei biocarburanti tra le istituzioni europee, che tempo fa hanno discusso e approvato lo stop ai motori termici dal 2035 in poi. In questo senso, il nostro paese chiede che oltre ai veicoli elettrici, anche per quelli alimentati a biofuels la vendita sia permessa.
Le principali compagnie aeree, come Ryanair e Wizz Air, hanno recentemente concluso importanti accordi con fornitori di petrolio per i cosiddetti Saf (RyanAir con Shell). Tuttavia, i dettagli sulle esatte materie prime utilizzate sono spesso vaghi. Le proiezioni ottenute dalla società di consulenza Stratas Advisors rivelano che i grassi animali dovrebbero essere la materia prima “di scarto” più comunemente utilizzata in questa tipologia di carburanti, insieme all’olio da cucina esausto.
“Così come gli oli esausti da cucina, anche i grassi animali risultano essere potenzialmente fraudolenti” ha dichiarato Carlo Tritto, policy officer di T&E Italia. “La strategia italiana di puntare sui biocarburanti come soluzione per la decarbonizzazione dei trasporti appare fallace. Ci auguriamo che il governo, specialmente nel contesto della revisione del Pniec, non voglia avallare quelle che appaiono, a tutti gli effetti, frodi deliberate”.
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