Il clima che cambia sta delineando una nuova geografia del cibo con l’agricoltura chiamata a rispondere alle sfide ambientali e di sicurezza alimentare.
Grassi tropicali? No grazie!
L’Unione Europea ha indicato sei tipi di grassi vegetali con i quali si potrà sostituire non più del 5% del burro di cacao. Allora occhio all’etichetta: se li trovate prendete un’altra direzione. E’ il modo migliore per far sentire il nostro dissenso nei confronti delle decisioni della Comunità. Burro di karité. Si ricava dai semi
L’Unione Europea ha indicato sei tipi di grassi vegetali con i
quali si potrà sostituire non più del 5% del burro di
cacao. Allora occhio all’etichetta: se li trovate prendete un’altra
direzione. E’ il modo migliore per far sentire il nostro dissenso
nei confronti delle decisioni della Comunità.
Burro di karité. Si ricava dai semi di Butyrospermum parkii,
un albero che appartiene alla famiglia delle sapotacee, tipico dei
parchi dell’Africa, dal Senegal al Nilo meridionale. Ha molte
somiglianze con il burro di cacao, ma gusto meno saporito. Il burro
che deriva dalle bacche della pianta è impiegato in Europa
per la produzione di margarine, mangimi e saponi.
Burro d’illipé. E’ anche noto come sego del Borneo o
tengkawang. E’ estratto dai semi di Illipe latifolia e butyracea,
pianta che cresce prevalentemente in India e in Malesia, in genere
nel Sud-est asiatico. Ha fiori carnosi e dolci che è
possibile consumare anche crudi. Si utilizza pure per la produzione
di candele e saponi.
Olio di palma. E’ estratto dai frutti della Elaeis guineensis o
dalla Elaeis olifera, due delle molte specie che fanno parte della
famiglia delle palme. Racchiude circa il 50% di acido palmitico,
accusato di causare l’innalzamento dei livelli di colesterolo nel
sangue. Nel nostro Paese se ne importano 300.000 tonnellate l’anno.
E’ un po’ come il prezzemolo si trova dappertutto: creme di
cioccolato, merendine, oli per la frittura.
Grasso o stearina di shorea. Deriva dai semi di shorea robusta,
pianta della famiglia dipterocarpacee, che include 180 specie,
tutte originarie delle regioni tropicali asiatiche. Più in
dettaglio, si tratta di grandi alberi che si trovano in India,
Malesia e Filippine. E’ chiamato anche burro di Sal. E’ adoperato
in modo massiccio nella produzione delle margarine.
Burro di kokum. E’ ottenuto dai semi di Garcina indica, specie sia
arborea che arbustiva, diffusa prevalentemente in India. Le sue
caratteristiche chimiche e organolettiche si avvicinano a quelle
del burro di karité e di illipé. Nel Vecchio
Continente è stato a lungo usato, come eccipiente, per
confezionare pomate e unguenti.
Grasso di nocciolo di mango. Il suo nome scientifico è
mangifera indica, albero indio-malese. Si coltiva ai tropici
soprattutto per il frutto carnoso e per il suo valore
nutritivo.
Per quanto riguarda l’olio (o burro) di cocco, la Direttiva europea
non lo contempla, ma gli Stati membri possono, in deroga,
usarlo.
Olio (o burro di cocco). Viene dai semi della palma da cocco: Cocus
nucifera. Secondo alcune ricerche è una minaccia per il
benessere di cuore e arterie. Al suo interno troviamo il 50% di
acido laurico e il 15% di acido miristico: innalzano il
colesterolo. E’ molto più nocivo dei grassi animali.
Ci sono, infine, dei grassi che l’Unione Europea non ammette per la
preparazione del cioccolato ma che sono presenti in cracker,
biscotti, merendine, e così via: olio di dika, olio di
palmisti e olio di babassu. Cosa non va? Alcuni di loro sono
considerati veri e propri killer delle coronarie.
Massimo Ilari
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