Un incidente navale ha riacceso il focolaio tra Grecia e Turchia. Tra i terreni di scontro: pozzi energetici, Cipro, i migranti e la basilica di Santa Sofia.
C’è alta tensione nel mar Mediterraneo orientale dove un incidente navale ha fatto riemergere la crisi mai sopita tra Grecia e Turchia. L’oggetto del contendere è la sovranità su porzioni di mare ad alto contenuto di risorse energetiche, ma lo scontro è in realtà ben più ad ampio raggio. Di mezzo ci sono Cipro, la crisi dei migranti e perfino la basilica di Santa Sofia della città turca di Istanbul.
Il casus belli: l’incidente navale
Il 12 agosto la fregata greca Limnos avrebbe compiuto una manovra di disturbo nei confronti della Oruc Reis, una nave da esplorazione turca. Ci sarebbe stata una collisione tra i due mezzi e se già questo poteva essere sufficiente a innalzare la tensione tra i due stati, a peggiorare la situazione c’è il fatto che tutto è avvenuto in acque da tempo contese tra i due stati. Oggi Grecia e Turchia continuano a litigare sulla questione, in quella che è una vera e propria escalation della crisi.
Tutto ruota attorno all’isola di Kastellorizo, location tra le altre cose, di Mediterraneo del regista italiano Gabriele Salvatores che ha vinto il premio Oscar come miglior film straniero nel 1991. Si tratta di un territorio greco, che si trova però a soli due chilometri dalla costa turca. È qui che la nave da ricerca sismica Oruc Reis stava effettuando da qualche settimana nuove esplorazioni energetiche, un lavoro di mappatura per future trivellazioni. Atene ha mandato nell’area alcune sue navi militari ed è proprio durante l’azione di una di esse che è avvenuta la collisione navale.
Il presidente turco Recep Erdoğan ha dichiarato che un nuovo attacco a una fregata turca sarà punito “a caro prezzo” e ha promesso che “ci riprenderemo quello che è nostro”. La Grecia, invece, ha dato la responsabilità dello scontro alla nave turca, mentre ha inviato alcuni mezzi militari nell’area di tensione per esercitazioni.
I territori contesi tra Grecia e Turchia
Quello di Kastellorizo è solo uno dei tanti territori contesi tra i due stati. Al centro della tensione diplomatica c’è il concetto di piattaforma continentale, vale a dire il naturale prolungamento della terraferma, e le zone economiche esclusive, quelle cioè in cui uno stato esercita la propria autorità e può quindi stabilire come sfruttare eventuali risorse presenti.
La Turchia ritiene per esempio di avere diritto a un controllo sul mare sopra Cipro nord, stato autoproclamato e non riconosciuto dalla comunità internazionale, a parte che da Istanbul. Sempre la Turchia esercita la sua autorità su alcune porzioni di mare e relativi giacimenti a seguito di un accordo firmato con la Libia nel 2019, ma in molti hanno contestato il suo contenuto perché finisce con sovrapporsi con la sovranità di altri stati che in esso non sono stati inclusi, come la Grecia appunto. Non riconoscendo Cipro, a parte nella sezione nord auto-procalamata, la Turchia non riconosce inoltre gli accordi di esplorazione siglati da esso con altri stati, tipo quello con l’Egitto di inizio agosto.
Gli altri fronti di tensione
Quello marino è solo uno dei tanti terreni di scontro tra Grecia e Turchia. A Cipro, il nord e il sud sono ancora divisi da muro e filo spinato e non è raro imbattersi in mezzi militari, segno che basterebbe una scintilla per far riesplodere una tensione che in passato ha causato centinaia di morti. Ma di recente si sono aggiunti altri fattori di tensione. La crisi dei migranti, con l’apertura unilaterale delle frontiere da parte di Erdogan e l’ingresso di un enorme flusso di persone in Grecia, un modo con cui la Turchia ha esercitato la sua pressione sull’Unione europea al tavolo negoziale. Ma c’è anche, sempre restano ai giorni nostri, la questione della basilica di Santa Sofia, uno dei monumenti di massimo interesse a Istanbul e simbolo della cristianità.
Il presidente turco Erdogan ha firmato un decreto che stabilisce la sua riconversione in una moschea, dopo che l’anno scorso aveva fatto recitare al suo interno alcuni versi del Corano. La Grecia aveva alzato la voce in quell’occasione, definendo inaccettabile il tentativo turco di islamizzare un patrimonio dell’umanità, e dopo la recente firma del decreto molti greci sono scesi in piazza a difesa di un monumento che sentono appartenere alla loro storia.
Una guerra alle porte?
L’incidente tra le fregate greca e turca nel Mediterraneo orientale è insomma un ennesimo elemento di tensione in un contesto già segnato da scontri più o meno forti nel passato. In una situazione tesa di questo tipo, basta poco a far precipitare le cose e ogni nuova scaramuccia potrebbe essere quella definitiva. Non è un caso che sull’argomento sia intervenuto anche Papa Francesco nelle scorse ore: “Seguo con preoccupazione le tensioni nella zona del Mediterraneo Orientale insediata da vari focolai di instabilità. Per favore, faccio appello al dialogo costruttivo e al rispetto della legalità internazionale per risolvere conflitti che minacciano la pace dei popoli della regione”.
Il rischio è che si possa arrivare a uno scontro interno alla Nato, l’organizzazione internazionale a carattere regionale fondata nel 1949 per la difesa e la cooperazione tra gli stati membri, di cui fanno parte sia la Grecia che la Turchia. Il trattato istituito nel secondo dopoguerra per proteggere i paesi aderenti in caso di attacco esterno rischia di trovarsi una guerra dentro casa, ma è molto probabile che la relazione tra i due paesi resterà nel campo della guerra fredda piuttosto che passare allo scontro militare. Le diplomazie europee, così come quella statunitense, sono al lavoro per scongiurare una escalation della crisi, dal momento che se le cose dovessero mettersi male a uscirne con le ossa rotta sarebbero non solo i due paesi direttamente coinvolti, ma anche l’Unione europea e la Nato.
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