Verso un piano industriale europeo per la neutralità climatica: è il Green deal industrial plan. L’annuncio di Ursula von der Leyen a Davos.
“La strada che conduce al raggiungimento dell’obiettivo net zero segna la più grande trasformazione dei nostri tempi. L’Europa ha tutte le carte in regola: talenti, ricercatori, industria. E ha un piano per il futuro”. Così la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato il 17 gennaio al World economic forum di Davos, in Svizzera, la nascita di un nuovo piano industriale europeo, il Green deal industrial plan.
Cos’è e in cosa consiste il Green deal industrial plan europeo
Arriva la conferma di quanto anticipato solo pochi giorni fa dal commissario europeo per il Mercato interno, il francese Thierry Breton, durante la sua visita in Spagna del 10 gennaio. Il piano, ha spiegato la numero uno di Bruxelles, supporterà gli investimenti di quelle industrie che operano e adottano tecnologie a ridotto impatto ambientale, con l’obiettivo di sostenerne la competitività all’interno dei mercati globali e di rendere l’Europa la patria dell’industria verde, della tecnologia pulita e dell’innovazione industriale.
Il Net zero industry act
Si partirà con la scrittura e la presentazione da parte dell’esecutivo europeo del Net zero industry act, una legge per stimolare la nascita e la crescita dell’industria verde, attenta alla promozione dello sviluppo sostenibile per comunità e territori. “L’obiettivo sarà quello di concentrare gli investimenti su progetti strategici lungo l’intera catena di fornitura. In particolare, valuteremo come semplificare e accelerare le autorizzazioni per i nuovi siti di produzione di tecnologie pulite”, ha spiegato la von der Leyen. Tra questi, si prevede, anche gli Ipcei (Importanti progetti di interesse comune europeo) per accelerarne la nascita e lo sviluppo.
Il Critical raw materials act
A questa legge si affiancherà il Critical raw materials act per cercare di ridurre la dipendenza dell’Europa dall’estero, da un lato, lavorando con i “partner commerciali per cooperare su approvvigionamento, produzione e lavorazione per superare il monopolio esistente”, e, dall’altro, per “migliorare la raffinazione, la lavorazione e il riciclaggio delle materie prime in Europa”.
Le misure per far crescere l’industria europea: rinnovabili, batterie, auto elettriche, idrogeno verde
Come sarà sostenuto il Green deal industrial plan e quale direzione indicheranno queste nuove leggi? La presidente della Commissione europea ha parlato di mirati aiuti di Stato e, nel medio termine, di un Fondo europeo sovrano. Quest’ultimo, in particolare, dovrà rendere ancora più attrattivo per le imprese mettere radici in territorio europeo piuttosto che all’estero: la Cina ha “apertamente incoraggiato le aziende energivore europee a delocalizzare nel suo territorio”, ha sottolineato. La collaborazione con la Cina non è in dubbio ma l’Unione Europea sarà attenta a monitorare eventuali “pratiche inique” e ad ” aprire inchieste” in caso di distorsioni provocate dai sussidi su “le nostre forniture o altri mercati”.
I timori, poi, riguardano anche il fascino esercitato dagli Stati Uniti: con l’Inflaction reduction act – che è anche la più importante legge sul clima della loro storia – mettono in campo 369 miliardi di dollari per supportare una produzione industriale più sostenibile. “Per questo proporremo di adeguare temporaneamente le nostre norme sugli aiuti di Stato per velocizzarle e semplificarle”, ha rimarcato. “Abbiamo lavorato con i nostri amici degli Stati Uniti per trovare soluzioni”, ha proseguito, “in modo che anche le aziende della UE possano beneficiare della legge sulla riduzione dell’inflazione. Dovremmo garantire che i nostri rispettivi programmi di incentivi siano equi e reciprocamente rafforzati”.
I timori legati all’attuazione del Green deal industrial plan
Come avvenuto nel corso dell’ultimo anno, fortemente segnato dagli effetti dell’invasione russa dell’Ucraina, le divisioni all’interno dei paesi membri si fanno sentire. I timori maggiori ruotano attorno alla disparità tra le economie, emergenti e sviluppate, che questo tipo di finanziamenti potrebbe accentuare. Un esempio? Il 53 per cento dei 672 miliardi di euro di aiuti di Stato approvati dalla Commissione europea quest’anno è andato alla Germania, riporta l’agenzia di stampa britannica Reuters, e il 24 per cento alla Francia (per chi se lo stesse chiedendo, l’Italia ha beneficiato del 7 per cento).
Il ministro dell’Economia danese, Troels Lund Poulsen, ha concretizzato questo timore affermando: “Non credo che nuovi e massicci modelli di aiuti di Stato siano utili all’Europa”. Della possibile inefficienza degli aiuti di Stato, però, ne è conscia anche la von der Leyen, che ha citato problemi quali “concorrenza sleale” e “frammentazione del mercato”.
La soluzione sembrano essere i fondi europei, dunque aumentare i finanziamenti dell’UE: “Per il medio termine prepareremo un Fondo europeo sovrano nella fase di revisione del nostro bilancio 2023”, ha detto la von der Leyen. Una “soluzione ponte” che offrirebbe sia sovvenzioni che prestiti per un sostegno mirato.
Questa dei finanziamenti sembra un’opzione bene accetta, se attuata “attraverso meccanismi europei che garantiscano l’uguaglianza all’interno dello spazio europeo”, ha dichiarato il ministro delle Finanze portoghese, Fernando Medina, per scongiurare una battaglia intestina tra gli Stati Membri. Per l’Italia, il ministro Giancarlo Giorgetti ha suggerito la modellazione del programma di finanziamento sull’attuale NextGenerationEU, il fondo di ripresa da 800 miliardi di euro, che offre sovvenzioni e prestiti, e sul programma Sure, strumento a sostegno dell’occupazione.
Al di là dei dubbi e degli scetticismi tra gli stati membri, la speranza è sempre una: che al centro della visione comune ci sia la volontà di favorire la concorrenza e il commercio di un’industria che sia la chiave per accelerare l’adozione di tecnologia pulite atte a contenere gli effetti dei cambiamenti climatici e a favorire il raggiungimento della neutralità climatica al 2050.
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