Il clima che cambia sta delineando una nuova geografia del cibo con l’agricoltura chiamata a rispondere alle sfide ambientali e di sicurezza alimentare.
L’atto rivoluzionario di salvare il cibo nella serie tv voluta dalla gente
La seconda stagione di Green storytellers racconta le storie di chi, in Italia, lotta contro lo spreco alimentare con fantasia, ingegno e tanta solidarietà.
“Se non è perfetta, la mela non me la compra nessuno”. Imperfezione estetica, produzione in eccesso, acquisto sconsiderato; anche l’enorme spreco di cibo ha la sua filiera, ma c’è chi è riuscito ad entrare in queste maglie per cambiare il corso delle cose. Green storytellers, la serie tv nata dal basso grazie al crowdfunding, torna su Infinity+ con la seconda stagione per raccontare i protagonisti di un atto rivoluzionario, quello di salvare il cibo.
Restituire piena dignità al cibo, sono le persone a chiederlo attraverso il crowdfunding
Come per la prima serie dedicata al Pianeta, il progetto degli storytellers Marco Cortesi e Mara Moschini raggiunge e supera l’obiettivo della campagna lanciata su Produzioni dal basso, ottenendo di nuovo il cofinanziamento di Infinity. Sei puntate dallo stile chiaro, efficace e motivante per far conoscere 18 realtà italiane, chef stellati compresi, che combattono lo spreco alimentare partendo dalla missione numero uno: creare consapevolezza su un tema dall’impatto mastodontico.
Nell’era del cibo da mangiare con gli occhi, che spopola su Instagram con oltre 218 miliardi di immagini con l’hashtag #foodporn, il dato della Fao è che, a livello mondiale, un terzo degli alimenti prodotti viene sprecato. Fa effetto, ma spiega solo minimamente i termini reali della questione, perché gettare il cibo significa sprecare a monte tutte le risorse utilizzate per produrlo e anche inquinare a valle per smaltirlo.
Risorse sprecate per produrre cibo che nessuno mangerà
Molti i dati riportati da Green storytellers, food rescue: “Di tutta l’energia impiegata nel sistema alimentare mondiale, il 38 per cento viene utilizzato per produrre cibo che nessuno mangerà”. In termini di risorse ambientali, sfruttate e poi sprecate, si parla di “1,4 miliardi di ettari di terreno, quasi il 30 per cento dell’area coltivabile del mondo, e 250 chilometri cubi di risorse idriche, un quarto di tutta l’acqua impiegata nell’irrigazione.
In più, sempre secondo la Fao, se due miliardi di persone sono in sovrappeso oppure obese, 700 milioni soffrono per carenza di cibo. Il paradosso è che un quarto degli alimenti sprecati basterebbe a sfamarli”. Da qualsiasi punto lo si guardi, ci si trova di fronte ad un sistema rovinoso e distorto che deve essere ricostruito.
Salvare il cibo fa stare bene
Oltre alla lotta allo spreco alimentare, in tutti i protagonisti della serie si riconosce un altro denominatore comune, ovvero il bisogno di “Trovare il posto giusto nella propria vita e nella comunità”. Concetto grande spiegato con parole semplici da Antonio di Giovanni che, a Firenze, produce funghi con il fondo di caffè, uno scarto ancora ricchissimo di nutrienti che ogni giorno recupera dai bar della zona.
Sono invece coltivati con metodo giapponese, con l’inoculazione del micelio nel tronco degli alberi, i funghi shiitake dell’azienda agricola Guà di Cavedine, in Trentino, che diventano uno degli ingredienti ricercati della cucina di Senso dello chef Alfio Ghezzi, due stelle Michelin, che attraverso l’alta ristorazione sceglie di valorizzare le persone che lavorano sul territorio.
La fame è un problema di accesso al cibo, non di disponibilità
Nella puntata dedicata alla città di Bologna, non poteva mancare il contributo di Andre Segrè, docente di Politica agraria internazionale e comparata all’Università di Bologna e presidente fondatore di Last minute market che, solo in Emilia-Romagna, nel 2020 ha messo in rete 146 supermercati, recuperando oltre un milione di chilogrammi di alimenti invenduti che sarebbero finiti nelle discariche per distribuirli ad enti e associazioni benefiche.
“Basterebbe tornare a quello che facevano le nostre nonne – commenta Segrè –. Acquistare quello che serve, usare al meglio il frigorifero per conservare gli alimenti e consumare gli avanzi. Poche semplici abitudini che abbiamo perso. Finalmente ci si è resi conto che incrementare la produzione ha poco senso, perché il problema della fame è un problema di accesso al cibo, di povertà economica che diventa poi alimentare”.
Quello verso il cibo è un impegno che unisce le generazioni e include le fragilità
A Bari c’è Antonia, 87 anni, che con gli altri volontari di Avanzi popolo 2.0 distribuisce gli alimenti donati dagli esercenti a circa 80 famiglie dei quartieri vicini. A Firenze invece, con Disco soupe, grandi e piccoli cucinano insieme il cibo recuperato, rigorosamente ballando in una vera e propria festa. Perché la gioia è un traino incredibile. A Rovereto, gli orti di Mi coltivo vengono curati da ragazzi diversamente abili e con fragilità, mentre a Bari, Semi di vita lascia che sia la terra a redimere, facendo lavorare ex detenuti o giovani in carico ad istituti penitenziari. “Perché un pomodoro non giudica, lo possono coltivare tutti”.
Ci sono poi uomini che portano la carriera ad alta quota, dove il connubio cibo e ambiente può compiersi più spontaneamente: un esempio è lo chef Juri Chiotti, che a 25 anni si intasca una stella Michelin, uno dei più giovani ad ottenerla, per poi abbandonare le sale dei ristoranti lussuosi e andare a gestire un rifugio a oltre 1.800 metri di altitudine. Oggi lo potete trovare in val Varaita a Cuneo, al Reis cibo libero di montagna, dove l’attenzione viene focalizzata sulla produzione – che significa fatica e responsabilità – più che sul consumo.
L’estetica dello spreco
Siamo così distanti dalla terra, da pensare che le zucchine pressoché uguali che troviamo al supermercato siano una risultante naturale, quasi scontata, e non il frutto di una selezione implacabile applicata proprio per aderire agli standard estetici di noi consumatori. Perché, se una zucchina ha un difetto, di forma, colore, calibro o ammaccature, semplicemente non la acquistiamo. Green storytellers dà una luce forte a questo aspetto, mettendo anche sul piatto numeri incredibili: “Un terzo della frutta e della verdura prodotta in Europa viene sprecata nel campo, non raccolta perché non conforme ai canoni richiesti dal consumatore. Stiamo parlando di 50 milioni di tonnellate di vegetali che finiscono al macero”.
“Bella dentro” e i difetti che sono negli occhi di chi guarda
Ridare valore al cibo significa pagare per averlo, anche quando viene abbandonato. Oltre a produttori e distributori, piccoli e grandi, che donano prodotti invenduti perché vengano ridistribuiti e consumati, c’è ha costruito il business investendo sul meccanismo contrario: raccogliere e pagare al prezzo giusto quanto viene lasciato nel campo perché imperfetto e venderlo, valorizzandone proprio i difetti.
Il marchio “Bella dentro. Il gusto del buon senso” è di Camilla Archi e Luca Bolognesi e sulla pagina Facebook è possibile gustare la bellezza di un asparago in posa imbarazzata e quella di un paio di cetrioli che sembrano infradito. È la rivincita degli esclusi che restituisce la consapevolezza delle nostre scelte miopi.
Seguire la via del pane e arrivare alla birra
Metti insieme un’antica ricetta egizia e del pane raffermo: così nasce la birra premium artigianale della startup torinese Biova project, “l’ultima chanche del pane prima che venga buttato”, come racconta la presidente Emanuela Barbano. Perché ne buttiamo eccome: 13mila quintali al giorno; il 20 per cento in ambito domestico e fino al 50 per cento nella grande distribuzione.
Raccontare lo spreco, dandosi da fare insieme a chi è in prima linea per evitarlo
Lo spaccato che esce da Green storytellers food rescue non lascia indifferenti, perché sono molteplici le abitudini scorrette in cui ci si ritrova ed è impossibile negarlo. “La difficoltà più grande è stata quella di fare i conti con un mondo che è molto complesso raccontare per immagini”, spiegano a LifeGate gli autori Marco Cortesi e Mara Moschini. “Davanti a noi, in questa seconda stagione, non avevamo più la meraviglia delle Dolomiti, la bellezza del Tirreno o altri scenari da cartolina”.
“Spreco alimentare significa recupero di cibo, discariche, periferie problematiche e fasce di povertà. Abbiamo scelto anche di assumere un tono più serio, quasi d’inchiesta, mantenendo comunque la positività che ci contraddistingue. Chi guarda la serie non è ora solo spettatore, ma anche testimone di un problema che denunciamo con rigore. La nostra è una troupe minimale, siamo solo in due e questo ci permette non solo di avere più tempo a disposizione, ma soprattutto di creare una confidenza profonda con le realtà che incontriamo”.
La sostenibilità arriva anche in teatro
“Nasciamo come attori e, complice una maggiore tranquillità sul fronte Covid-19, abbiamo davanti a noi quasi un centinaio di date per raccontare la sostenibilità a teatro – aggiungono –. Abbiamo messo in scena uno spettacolo in cui raccontiamo quattro storie personalissime che ci hanno permesso di riscoprirci più green. Lo facciamo con ironia ed entusiasmo, cercando anche di far sorridere il pubblico, ma senza perdere la serietà dell’approccio scientifico. L’accoglienza della gente ci sta davvero sorprendendo e presto arriveremo anche nelle scuole”.
Accanto al riscaldamento globale, quella dello spreco di cibo è l’altra rotta da invertire per evitare lo schianto. Il punto di partenza è sempre la consapevolezza e la deriva è così evidente da non permettere alibi.
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