Come costruire un nuovo multilateralismo climatico? Secondo Mark Watts, alla guida di C40, la risposta è nelle città e nel loro modo di far rete.
Greenpeace si finge petroliere: così abbiamo corrotto gli scienziati
Attivisti di Greenpeace, spacciandosi per emissari di grandi imprese, hanno convinto scienziati e docenti a farsi pagare per smontare le tesi ambientaliste.
Quando leggete uno studio scientifico che scredita le tesi ambientaliste, non dategli troppo peso. Potrebbe trattarsi semplicemente di un testo “ordinato” dalle multinazionali del carbone e del petrolio. Se non stupisce più di tanto sapere che alcuni nomi del mondo accademico internazionale possano scrivere, a fronte di lauti pagamenti, ciò che è più congeniale alle industrie che maggiormente inquinano nel mondo, ciò che lascia attoniti è la facilità con cui è possibile contrattare contenuti e prezzo.
250 dollari l’ora per fare il gioco dei colossi del petrolio
Mentre il mondo intero è col fiato sospeso in attesa di conoscere l’esito dei negoziati alla conferenza sul clima di Parigi, l’0ng Greenpeace ha svelato i metodi utilizzati dalle industrie dei combustibili fossili per corrompere scienziati e docenti universitari. Alcuni esponenti di Greenpeace Regno Unito, spacciandosi per rappresentanti di grandi imprese, hanno contattato professori di prestigiose università come quelle di Princeton e della Pennsylvania.
BREAKING : nous révélons comment le secteur fossile peut acheter des universitaires et des études académiques https://t.co/opv6N3iF2I #COP21
— Greenpeace France (@greenpeacefr) 9 Dicembre 2015
Al fisico William Happer, uno dei maggiori scettici del riscaldamento globale, è stato proposto di scrivere un rapporto per conto di “una compagnia petrolifera del Medio Oriente”. L’attivista di Greenpeace che lo ha contattato, spacciandosi per un consulente in pubbliche relazioni con sede a Beirut, in Libano, è stato esplicito: “Le scrivo per conto di una società preoccupata per l’impatto che potrebbe avere la Cop 21 che si terrà tra poche settimane. Pensiamo che, tenendo conto del suo importante lavoro sul tema, un breve articolo scritto o firmato da lei possa rappresentare un’operazione importante per il nostro cliente”.
Happer – già alto responsabile per la ricerca in seno al dipartimento americano dell’Energia – accetta senza remore, e precisa che il suo onorario per il servizio è pari a 250 dollari l’ora. Il docente, però, chiede che la somma non sia versata direttamente a lui ma alla CO2 Coalition, un’associazione climatoscettica che lo può rimborsare. Il falso emissario chiede allora ad Happer se sia possibile mantenere segreta la forma di finanziamento: “Se scrivo da solo l’articolo – risponde lo scienziato – non vedo alcun problema a precisare nel testo che l’autore non ha ricevuto alcun compenso per il testo”. D’altra parte, è lo stesso Happer a spiegare che anche l’industria del carbone americana Peabody lo ha pagato per un’audizione nel Minnesota. Contattato dal quotidiano Le Monde, il docente “non ha commentato, né smentito la ricostruzione di Greenpeace”.
“Quanto vuole per dire che il carbone non fa male?”
Allo stesso modo, anche al professor Frank Clemente, sociologo, è stato proposto un pagamento per scrivere “un rapporto che contrasti le ricerche che stabiliscono un legame tra il carbone e le morti premature. Con particolare riferimento alle cifre pubblicate dall’Organizzazione mondiale della sanità, secondo le quali tale fonte di energia sarebbe responsabile, con l’inquinamento che produce, di 3,7 milioni di decessi ogni anno”. Anche in questo caso la risposta è immediata e positiva. La tariffa è di 15mila dollari per un articolo di 8-10 pagine.
“La nostra inchiesta – ha commentato il direttore di Greenpeace Regno Unito, John Sauven – svela una rete di docenti universitari disposti a vendere i loro servizi per permettere alle imprese delle energie fossili di influenzare, in modo anonimo e senza lasciare alcuna traccia, il dibattito sul clima”.
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