Una indagine di Greenpeace mostra che i quotidiani italiani parlano poco di crisi climatica, lasciando invece spazio alle aziende che la causano inquinando
Per Greenpeace, i quotidiani italiani parlano poco e male di clima.
In compenso, largo spazio è lasciato a pubblicità e commenti di aziende inquinanti.
Solo Avvenire, tra i giornali principali, raggiunge la sufficienza.
Aggiornamento del 9 novembre. Nonostante un’estate flagellata dagli eventi estremi, sui quotidiani e in televisione la crisi climatica continua a trovare poco spazio e viene raccontata dai media italiani come se non avesse responsabili, a riprova dell’enorme influenza esercitata dall’industria dei combustibili fossili sul mondo dell’informazione. È quanto emerge dal nuovo studio che Greenpeace Italia ha affidato all’Osservatorio di Pavia, a tre mesi dal precedente.
I risultati mostrano come nel secondo quadrimestre dell’anno i principali quotidiani italiani abbiano pubblicato in media tre articoli al giorno in cui si parla esplicitamente della crisi climatica. Si tratta di un aumento significativo rispetto al primo quadrimestre, con un picco nel mese di luglio, dovuto soprattutto alle preoccupazioni per la siccità e per le ondate di calore che hanno colpito l’Italia, ma ancora distante dall’attenzione che meriterebbe l’emergenza ambientale più importante della nostra epoca.
“La maggiore attenzione mediatica osservata nel secondo quadrimestre dell’anno è un segnale positivo, ma purtroppo si deve in gran parte agli impatti ormai visibili che la crisi climatica ha sul fragile territorio italiano, in un crescendo di danni e vittime che risulta ancora più insopportabile al cospetto dell’inazione della politica”, dichiara Giancarlo Sturloni, responsabile della comunicazione di Greenpeace Italia. “Si conferma inoltre un problema strutturale l’influenza che le aziende del gas e del petrolio esercitano sulla stampa italiana, pericolosamente dipendente da inserzioni pubblicitarie infarcite di greenwashing che inquinano l’informazione e impediscono all’opinione pubblica di conoscere la verità sull’emergenza climatica”.
———————————————————————————————————————-
Fa caldissimo, non piove da mesi e quando piove lo fa in maniera torrenziale, provocando più danni che benefici per agricoltura e scorte idriche. I ghiacciai quasi non ci sono più, e quando si sciolgono fanno rumore per i danni che recano, come nel caso della tragedia della Marmolada. L’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, lancia allarmi su allarmi sui rischi che corriamo, in particolare nella fascia del Mediterraneo. Eppure, sui principali quotidiani italiani lo spazio dedicato al riscaldamento globale è inferiore a quello lasciato alle pubblicità dell’industria dei combustibili fossili e delle aziende dell’automotive, aeree e navali, tra i maggiori responsabili del riscaldamento del pianeta. È il responso di una indagine realizzata dalla ong Greenpeace che, insieme all’Osservatorio di Pavia, si è “divertita” a contare e comparare gli articoli che parlano di crisi climatica, stilando una vera e propria classifica in cui il migliore, purtroppo, è più che altro il meno peggio.
Più pubblicità che informazione sui quotidiani nazionali
Lo studio ha esaminato gli articoli pubblicati fra gennaio e aprile 2022 dai cinque quotidiani più diffusi: Corriere della Sera, La Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa. I risultati mostrano che i principali quotidiani italiani pubblicano in media due articoli al giorno che fanno almeno un accenno alla crisi climatica, ma gli articoli che trattano esplicitamente il problema sono appena la metà.
Al contrario, come detto, viene dato ampio spazio alle pubblicità dell’industria dei combustibili fossili: su Il Sole 24 Ore si contano più di cinque pubblicità di queste aziende inquinanti a settimana. Negli articoli esaminati, inoltre, le aziende sono il soggetto che ha più voce (18,3 per cento dei casi), superando esperti (14,5 per cento) e associazioni ambientaliste (11,3 per cento). Inoltre la crisi climatica è raccontata principalmente come un tema economico (45,3 per degli articoli), quindi come un tema politico (25,2 per cento) e solo in misura minore come un problema realmente ambientale (13,4 per cento) e sociale (11,4 per cento).
In sintesi: c’è un problema evidente di percezione della realtà, che inevitabilmente passa dal quotidiano al lettore, che viene influenzato a sottovalutare la questione ambientale. “Questo studio dimostra la pericolosa influenza esercitata dalle aziende inquinanti sulla stampa italiana, basti pensare che in quattro mesi, nei 528 articoli esaminati, le compagnie petrolifere sono indicate tra i responsabili della crisi climatica appena due volte”, dichiara Giancarlo Sturloni, responsabile della comunicazione di Greenpeace Italia. “Grazie alle loro generose pubblicità, che spesso non sono altro che ingannevole greenwashing, le aziende del gas e del petrolio inquinano anche il dibattito pubblico e il sistema dell’informazione, impedendo a lettori e lettrici di conoscere la gravità dell’emergenza ambientale che stiamo vivendo. Se vogliamo che il giornalismo svolga il suo ruolo cruciale di watchdog, cioè di cane da guardia, nella lotta alla crisi climatica, anziché di megafono delle aziende inquinanti, dobbiamo liberare i media dal ricatto del gas e del petrolio”.
I TG dedicano alla crisi cimatica meno dell’1% delle notizie. Questo risulta da uno studio commissionato da @Greenpeace_ITA all'osservatorio di Pavia. Dato preoccupante, come servizio pubblico #Rai abbiamo il dovere di fare molto di più per rendere consapevole il cittadino. pic.twitter.com/Ju3RhUFovd
In base ai risultati dello studio, Greenpeace ha elaborato una classifica dei principali quotidiani italiani, valutati mediante cinque parametri:
quanto parlano della crisi climatica;
se tra le cause citano i combustibili fossili;
quanta voce hanno le aziende inquinanti;
quanto spazio è concesso alle loro pubblicità;
se le redazioni sono trasparenti rispetto ai finanziamenti ricevuti dalle aziende inquinanti.
Quest’ultimo parametro è stato valutato con un questionario che Greenpeace ha inviato ai direttori delle cinque testate, a cui ha risposto parzialmente solo Avvenire. Considerando la media dei cinque parametri, Avvenire raggiunge una risicata sufficienza (3 punti su 5), scarsi invece i punteggi di Corriere e Repubblica (2,2 su 5), mentre in fondo alla classifica si trovano La Stampa e Il Sole 24 Ore (2 su 5). La classifica sarà aggiornata e pubblicata ogni quattro mesi e sarà seguita da una indagine analoga sui telegiornali e sulle trasmissioni televisive di intrattenimento.
Per vietare le pubblicità e le sponsorizzazioni delle aziende legate ai combustibili fossili, Greenpeace sostiene, insieme a più di trenta organizzazioni internazionali, una Iniziativa dei cittadini europei (Ice). Se entro ottobre la petizione Stop alla pubblicità delle aziende inquinanti raggiungerà il traguardo di un milione di firme raccolte, la Commissione europea sarà obbligata a discutere una proposta di legge per mettere fine alla propaganda ingannevole delle aziende inquinanti che alimentano la crisi climatica.
Secondo i dati preliminari il 2023 è stato un anno anomalo, in cui l’assorbimento netto della CO2 da parte degli ecosistemi terrestri si è quasi azzerato.
La comunità energetica nata all’inizio degli anni Duemila è diventata un porto sicuro nella Florida esposta alla minaccia degli uragani, grazie a una pianificazione efficiente basata su innovazione e fonti rinnovabili.