Uno studio su carotaggi raccolti nel 1966 da ricercatori militari ha confermato che la Groenlandia si è già fusa una volta nella storia. Ecco come andò.
La scoperta di vecchi carotaggi risalenti agli anni Sessanta ha permesso ad un gruppo internazionale di ricercatori di effettuare un’analisi sui ghiacci della Groenlandia. Lo studio, pubblicato il 15 marzo sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas), indica che la fusione dei ghiacci si è già verificato almeno una volta nell’ultimo milione di anni. E conferma che oggi siamo vicini ad un “punto di non ritorno”, simile a quello che si verificò all’epoca.
I carotaggi effettuati per nascondere missili durante la guerra fredda
I ricercatori hanno potuto analizzare campioni finora mai “concessi” alla comunità scientifica. Ciò perché i carotaggi furono realizzati nel 1966, in piena guerra fredda, da esperti americani che perforarono il ghiaccio nei pressi della base militare segreta di Camp Century. Ufficialmente, appunto, per ragioni di studio. In realtà, per trovare la maniera di nascondere 600 missili nucleari agli occhi dei sovietici. I carotaggi furono congelati e trasferiti poi in un deposito a Copenaghen.
Lo studio pubblicato su Pnas indica che la calotta della zona di Camp Century, oggi spessa più di un chilometro, un tempo aveva lasciato spazio ad una vegetazione simile a quella della tundra e forze anche ad alcuni alberi. All’epoca, la temperatura media globale era cresciuta di circa 2,5 gradi centigradi rispetto alla metà del diciannovesimo secolo (rispetto cioè ai “valori pre-industriali” ai quali oggi si fa riferimento). E il livello dei mari era di 10 metri più alto rispetto ad oggi.
Meno certo è che la Groenlandia si sia sciolta anche circa 400mila anni fa, in periodo in cui la temperatura era di 1,5-2 gradi superiore ai livelli pre-industriali. La calotta glaciale ha invece resistito circa 125mila anni fa, con una temperatura compresa tra 1 e 1,5 gradi. È proprio da queste constatazioni che gli scienziati hanno identificato il tipping point, il punto di non ritorno. Situato con ogni probabilità proprio tra 1,5 e 2,5 gradi.
Il tipping point della Groenlandia tra 1,5 e 2,5 gradi centigradi
Secondo quanto indicato al quotidiano Le Monde da Pierre-Hendi Blard, glaciologo francese dell’università della Lorena e coautore dello studio, “si tratta di un’osservazione empirica geologica che conferma l’importanza di limitare il riscaldamento globale antropico ad un massimo di 2 gradi, meglio 1,5 gradi, come previsto dall’Accordo di Parigi”.
Problema: nel 2020 la temperatura media globale è già risultata superiore di 1,2 gradi al periodo pre-industriale. Inoltre, la concentrazione di CO2 nell’atmosfera, all’epoca della fusione della Groenlandia era solamente di 280 parti per milione, mentre oggi siamo già a più di 410. La fusione della calotta potrebbe già comportare, inoltre, sconvolgimenti climatici nell’emisfero settentrionale, e in particolare in Europa. Ciò per via del rallentamento della corrente del Golfo.
Quest’ultima è stata definita dal meteorologo e divulgatore scientifico Paolo Corazzon di 3bmeteo.com, come “un immenso nastro trasportatore che trascina quantità d’acqua enormi dal mar dei Caraibi fino all’Atlantico settentrionale e alle coste occidentali del continente europeo”. La corrente, continua Corazzon, “ha il grandissimo merito di rendere più miti i nostri inverni”.
Il rallentamento della corrente del Golfo provocato dalla fusione dei ghiacci polari
L’ultimo studio che analizza come questo fenomeno globale stia cambiando è stato pubblicato da Nature geoscience col titolo Current Atlantic meridional overturning circulation weakest in last millennium ed è stato ripreso da un webdoc del New York Times. Qui si vede chiaramente cosa sta succedendo negli abissi oceanici, a oltre 150 metri di profondità.
“Stiamo registrando un rallentamento della corrente dovuto, con ogni probabilità, al riscaldamento globale che sta causando una fusione dei ghiacciai alle alte latitudini, soprattutto in Groenlandia – continua Corazzon –. La fusione fa riversare in mare enormi quantità di acqua dolce e fredda che cambia la salinità delle acque del Nord Atlantico causando un probabile rallentamento della corrente del Golfo. Se questo fenomeno dovesse accentuarsi potrebbe portare a conseguenze climatiche importanti anche per il continente europeo nel prossimo futuro. Paradossalmente, anche se si va verso anni sempre più caldi, potremmo ritrovarci con inverni particolarmente freddi per l’assenza del contributo della corrente”.
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