I pani di Donald Trump per prendersi la Groenlandia l’hanno scaraventata al centro del dibattito internazionale. Su quest’isola artica, dove il ghiaccio è sempre meno, la sfida geopolitica e quella del clima coincidono.
“Non vogliamo essere danesi, non vogliamo essere americani, vogliamo essere groenlandesi”. Con queste parole il primo ministro della Groenlandia Múte B. Egede ha risposto a chi gli chiedeva conto delle parole pronunciate da Donald Trump su una possibile occupazione militare statunitense del territorio artico attualmente dipendente dalla Danimarca. Lo ha fatto nel corso di una conferenza stampa tenutasi a Copenaghen, in cui insieme alla prima ministra danese Mette Frederiksen si è discusso delle nuove forme di collaborazione con Washington. Frederiksen ha parlato di un accordo con gli Stati Uniti che dovrebbe dare i primi frutti nel corso dell’amministrazione Trump per “aprire opportunità di ulteriore cooperazione, dal settore militare allo sviluppo del settore critico delle materie prime della Groenlandia“. Parole che arrivano nei giorni in cui questa gigantesca isola perlopiù disabitata e quasi completamente ricoperta di ghiaccio, ha guadagnato un’improvvisa centralità nel dibattito internazionale.
Greenland’s Prime Minister Múte B. Egede pushed back against speculation the island could be up for grabs, after United States President-elect Donald Trump’s renewed fixation on acquiring it this week sparked a political storm.https://t.co/B3rTkTar3r
Martedì 8 dicembre Donald Trump Jr., figlio maggiore del prossimo presidente degli Stati Uniti, si è recato in visita a Nuuk, capitale della Danimarca. Donald Trump entrerà ufficialmente in carica a giorni, il prossimo 20 gennaio, ma un interessamento riguardo al territorio groenlandese era già stato ampiamente espresso nel corso delle uscite pubbliche successive alla vittoria alle presidenziali. A dicembre aveva definito la questione della Groenlandia “una necessità assoluta”, durante l’annuncio della nomina del nuovo ambasciatore statunitense in Danimarca, Ken Howery, uomo molto vicino a Elon Musk. Proprio Howery era stato uno dei cinque fondatori di PayPal, l’app che offre servizi di pagamento digitali con cui Musk si era fatto conoscere al pubblico più vasto. Successivamente fu nominato ambasciatore in Svezia nel corso della prima amministrazione Trump, salvo poi dimettersi con l’insediamento di Biden. Il lavoro svolto in quei mesi gli ha fatto guadagnare la fama di uomo “addestrato e presumibilmente leale”, come affermato dall’esperto di Groenlandia presso il Danish Institute for International Studies Ulrik Pram Gad al quotidiano danese The Local. L’interesse di Howery per l’Artico sembra dunque essere rimasto intatto, tanto da guadagnarsi questa seconda, prestigiosa nomina.
Dopo il commento di Musk ci ha pensato Trump in persona a mettere il carico da novanta. In conferenza stampa, ha risposto a chi gli chiedeva se avesse intenzione di escludere l’uso della “coercizione militare o economica” per ottenere la Groenlandia con queste parole: “No, non posso assicurarvi che uno di questi due, ma posso dire questo: ne abbiamo bisogno per la sicurezza economica. Parole che hanno ovviamente portato l’attenzione del dibattito internazionale sul futuro prossimo di quest’isola di oltre 2 milioni di chilometri quadrati e appena 53mila abitanti.
Gli occhi di Trump sulla Groenlandia
Non è la prima volta che Trump parla di acquistare la Groenlandia. La prima volta fu nel 2019, nel corso del suo primo mandato. Alcune fonti vicine alla sua prima amministrazione hanno rivelato che, in quell’occasione, un ruolo cruciale sia stato quello giocato dall’geologo e imprenditore minerario Greg Barnes, 76 anni, che scandaglia l’isola dal 1992 e possiede la riserva mineraria Tanbreez nella Groenlandia meridionale, in cima al secondo più grande deposito di terre rare al mondo. Secondo Barnes, a cui la Casa Bianca chiese di fare un briefing sul potenziale minerario e la possibilità di aprire insediamenti estrattivi in Groenlandia nel 2019, le rivendicazioni fatte da Trump durante il suo primo mandato avevano il fine di muovere le acque per riprendere i contatti con il territorio dipendente da Copenaghen, imbastendo un dialogo con i suoi funzionari.
Il tema delle estrazioni ha avuto un ruolo importante nella politica groenlandese come testimoniato dall’esito della vicenda legata alla costruzione di una grande miniera di terre rare e uranio di Kuannersuit alle elezioni del 2021. In quell’occasione il partito Inuit Ataqatigiit ha vinto con la promessa di arrestare il progetto, attirandosi l’ira della società Greenland Minerals, che ha intentato una causa contro il governo davanti alla corte arbitrale di Copenaghen dove chiede di riavviare le operazioni minerarie o ottenere un risarcimento economico per gli investimenti persi. Tuttavia, di recente Egede ha detto che se il prossimo governo di coalizione dovesse includere partiti più favorevoli alle estrazioni potrebbe sottoporre la questione a referendum popolare.
L’interesse di Trump sull’attività mineraria della Groenlandia ha l’obiettivo di allontanare l’isola dalla sfera di interessi cinese, che proprio in Groenlandia aveva iniziato a penetrare qualche anno prima. Nel 2016, una società cinese fu fra i pochi acquirenti a manifestare l’intenzione di rilevare una vecchia stazione navale. Secondo quanto dichiarato Peter Viggo Jakobsen, professore associato presso l’Institute for Strategy del Royal Danish Defense College, “l’obiettivo della Cina è mettere piede nell’Artico e Pechino vede la Groenlandia come una potenziale porta d’ingresso per l’influenza nella regione, soprattutto se la Groenlandia a un certo punto otterrà l’indipendenza”. All’inizio del 2024 Múte Egede era tornato a parlare della possibilità di indire un referendum sull’indipendenza dalla Danimarca, riesumando una questione che va avanti da anni. Nel tempo la Groenlandia ha ottenuto gradualmente maggiore autonomia da Copenaghen, raggiungendo l’autogoverno e a è riconosciuto l’auto-governo e la gestione autonoma – seppur con alcune limitazioni – delle proprie risorse naturali nel 2009.
La presenza di terre rare è uno dei fattori che maggiormente interessano a Pechino. La Cina possiede circa un terzo delle riserve mondiali di questi materiali strategici per la produzione di tecnologie in campo civile e militare, ma ha visto la sua quota di mercato ridursi negli ultimi dieci anni passando dal 98 per cento del 2010 al 60 per cento del 2021, secondo i dati comunicati dalla US Geological Survey. Nel tentativo di assicurarsi le terre rare della Groenlandia, la Cina potrebbe promettere investimenti utili a migliorare le vie di comunicazione e altri elementi infrastrutturali ancora arretrati, contando sul desiderio dei groenlandesi di acquisire maggiore autonomia da Copenaghen anche per quanto riguarda i collegamenti con l’estero utili ad alimentare il turismo. Ciò potrebbe dare alla Cina un vantaggio competitivo nella corsa globale alle materie prime, sottraendo a Washington un obiettivo strategico.
Ma su quest’isola ricoperta di ghiaccio si gioca anche la partita dell’influenza globale, che gli Stati Uniti non intendono abbandonare. Proprio su questa interpretazione ha insistito Eyck Freymann, autore del libro One Belt One Road: Chinese Power Meets the World, citato da Foreign Policy: “Non penso che l’interesse degli Stati Uniti per la Groenlandia riguardi tanto l’accesso ai minerali di terre rare, quanto l’impedire alla Cina di acquisire influenza“. Anche per questo motivo Trump considera il controllo della Groenlandia un tema di sicurezza nazionale.
La fusione dei ghiacci nell’Artico minaccia la Groenlandia due volte
A dicembre 2021, uno studio presentato alla American Geophysical Union ha dimostrato che l’Artico si sta scaldando 4 volte più velocemente rispetto alla media globale, una tesi supportata anche dai dati raccolti dalla Nasa, l’Agenzia spaziale statunitense, e dal Met Office del Regno Unito, il servizio metereologico nazionale. I ricercatori sanno da tempo che la Terra si riscalda più rapidamente al Polo nord a causa di un fenomeno noto come amplificazione artica, che ha che fare con la complessità del sistema climatico globale. L’Artide è infatti una delle aree del pianeta con la maggiore sensitività climatica, ossia dove le variazioni dei parametri climatici producono gli effetti maggiori. Nello specifico, la fusione del ghiaccio marino che diventa così acqua oceanica, impedisce che l’energia solare venga riflessa dal ghiaccio verso lo spazio: in mancanza di ghiaccio viene infatti assorbita dall’oceano e trasformata in calore. Il venire meno dei ghiacci a queste latitudini apre dunque una nuova partita geopolitica ed economica: “La Groenlandia è il luogo in cui si intersecano i cambiamenti climatici, le risorse scarse, la geopolitica tesa e i nuovi modelli commerciali”, dice Geoff Dabelko, professore di sicurezza e ambiente presso l’Università dell’Ohio. L’isola più grande del mondo è ora “centrale per la competizione geopolitica e geoeconomica in molti modi”, in parte a causa dei cambiamenti climatici, continua Dabelko.
Sembra dunque che sui cambiamenti climatici, fenomeno che Trump a sempre definito “a giant hoax” – una gigantesca bufala – siano un nuovo diventati un nuovo driver per gli interessi globali statunitensi. La fusione ha infatti aperto nuove rotte per la navigazione, allargando la finestra di tempo in cui è possibile navigare durante l’estate nell’emisfero settentrionale. Una tendenza confermata dai dati: secondo il Consiglio Artico, infatti, negli ultimi dieci anni il trasporto marittimo nell’Artico è aumentato del 37 per cento, un trend dovuto in parte proprio alle conseguenze della fusione. Una rotta che Washington non intende lasciare a Pechino.
L’ipotesi dello sfruttamento di una nuova rotta transpolare da parte della Cina è contenuta all’interno Libro bianco sull’Artico, pubblicato dal governo nel 2018. Nel libro è sancita l’intenzione di mettere a punto un piano infrastrutturale di collegamenti via terra e via mare tra Cina, Europa e il resto del mondo, e in questo l’apertura della rotta polare significherebbe l’accesso a una terza via marittima dopo quelle che passano per il canale di Suez e Panama, altro luogo sul quale Trump ha rivendicato il controllo nei giorni scorsi. Sembra dunque che la fusione dei ghiacci minacci la Groenlandia tanto dal punto di vista ambientale – mettendo a repentaglio la vita degli sterminati e ancora poco contattati ecosistemi che la caratterizzano – che dal punto di vista politico e della sua autonomia, rischiando di passare dal controllo di Copenaghen all’essere una vera e propria posta in palio per le superpotenze in competizione.
La sfiducia dei groenlandesi, desiderosi di indipendenza
L’irrequietezza dettata dalla sensazione di essere una nuova terra di conquista si è diffusa largamente nella seppur esigua popolazione della Groenlandia, per l’85-90 per cento composta da indigeni Inuit. Intervistata al New York Times Aaja Chemnitz, una delle due rappresentanti della Groenlandia nel Parlamento danese, ha detto di essere preoccupata Trump possa cercare di dare impulso al movimento indipendentista della Groenlandia per promuovere i propri interessi. “Rischiamo di diventare una pedina in una partita tra Danimarca e Stati Uniti”, ha affermato. Il sentimento anti-danese tra gli Inuit di Groenlandia non arriva, però, dal nulla. Secoli di dominazione e trattamento iniquo, portati avanti reprimendo la cultura locale e priviligiando la comunità danese sull’isola, molto minoritaria ma prevalentemente impiegata in settori cruciali e sotto il dirett controllo di Copenaghen, hanno alimentato il desiderio di indipendenza della popolazione nativa. Un malcontento che ha raggiunto l’apice quando, due anni fa, sono emerse rivelazioni su medici danesi che negli anni Sessanta e Settanta hanno applicato dispositivi contraccettivi intrauterini a migliaia di donne e ragazze indigene, spesso a loro insaputa.
Nel tempo il governo di Copenaghen ha concesso alla Groenlandia maggiore indipendenza, come quella relativa all’uso delle risorse minerarie e alla possibilità di chiedere un referendum per l’indipendenza, che resta tuttavia un tema molto discusso. Il sentimento dominante nella classe politica sembra tuttavia essere diffidente e cauto quando si parla di Trump. I funzionari danesi hanno ripetutamente affermato che la Groenlandia non è in vendita, pur sottolineando il loro desiderio di instaurare relazioni cordiali con gli Stati Uniti e manifestando la loro disponibilità al dialogo. Mai come oggi quest’enorme isola coperta di ghiaccio nell’Artico appare meno remota, perché al centro della partita geopolitica.
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