Acqua

Gruppo CAP, l’urgenza delle azioni concrete nel report di sostenibilità 2023

L’ultimo bilancio di sostenibilità di Gruppo CAP, Sorgente di connessioni, ricorda l’importanza di fare rete per rendere concreta la transizione ecologica.

“Ecco, crediamo sia il momento di dire che non abbiamo fatto abbastanza e che dobbiamo fare ancora molto. Che sia arrivato il momento, con grande onestà intellettuale, di mettersi in gioco, guardando in faccia soprattutto la generazione Z”. Non capita tutti i giorni che nella lettera agli stakeholder di un report di sostenibilità compaiano frasi del genere. Questi bilanci, infatti, per le aziende sono più spesso l’occasione per mettere in fila i traguardi raggiunti. Invece Gruppo CAP, tra i principali operatori italiani della gestione del servizio idrico integrato, attivo nella città metropolitana di Milano e in diversi comuni lombardi, ha scelto proprio questo documento per evidenziare l’importanza, in questo momento storico, di azioni più concrete da parte delle aziende. Abbiamo approfondito le motivazioni con Matteo Colle, head of external relations and sustainability.

Matteo Colle Gruppo Cap
Matteo Colle, head of external relations and sustainability di Gruppo CAP

Non è comune che un’azienda dica esplicitamente che si deve fare di più per la sostenibilità. Quali sono gli ambiti in cui c’è più urgenza e quali sono gli ostacoli che bisognerebbe rimuovere per un’azione più incisiva?
Oggi le aziende hanno una responsabilità molto forte nei confronti della società, dell’ambiente e del contesto in cui sono inserite. Questa responsabilità deve tradursi in azioni concrete dirette alla trasformazione del business. La verità è che oggi le aziende non possono più permettersi di fare ‘business as usual’. La produzione di valore resta un obiettivo irrinunciabile, ma c’è la necessità irrimandabile di investire per trasformare la propria attività, le proprie logiche produttive, tenendo conto di altre priorità, come i cambiamenti climatici, il corretto rapporto con il territorio, con i lavoratori e i consumatori. Ambiente, mercato, consumatori, filiera e dipendenti sono aree nelle quali le aziende devono dare prova di essere in grado di cambiare. Fortunatamente, le pressioni dell’Unione europea e la crescita di una sensibilità diffusa sui temi ambientali iniziano a produrre risultati importanti.

In che ambiti si rilevano i maggiori ritardi?
Mi sembra che gli interventi siano meno forti sugli aspetti sociali, sulla catena di fornitura, che spesso è lasciata ancora in balìa delle leggi del mercato. Le conseguenze si leggono nei casi di cronaca visti di recente che, in qualche modo, riflettono un modello di produzione che ormai non ha più ragion d’essere: pensare di fare profitti sulle spalle dei lavoratore, delle sue condizioni di lavoro, dei suoi diritti non è oggettivamente più praticabile.

La situazione è piuttosto differenziata a seconda dei settori. Nel corso degli anni, alcune filiere produttive hanno investito più di altre sulla tutela dei lavoratori, sulla distribuzione del valore economico, sui territori, sulla diversity, sulla tutela dei diritti. Poi ci sono settori anche di grande prestigio per l’Italia, come la moda e l’agricoltura, che scontano ritardi più significativi, forse perché sono più soggetti ai meccanismi di competizione globale, spesso drammaticamente al ribasso.

In questi casi, però, c’è una responsabilità nell’immaginarsi il proprio compratore. Molte aziende sono ancora convinte che si faccia business solo competendo sul prezzo. Se si parte da questo presupposto, è un po’ una profezia che si auto-avvera: siccome io sono convinto che i miei potenziali clienti siano interessati solo al risparmio, nella mia filiera produttiva uso come principio solo il ribasso. In realtà, c’è una fascia crescente di cittadini e consumatori molto più consapevoli, molto più maturi, con i quali si può avviare un dialogo che sposta l’attenzione sul riuso, sul riciclo, su una produzione più consapevole che ovviamente magari è più costosa, ma più durevole. Penso per esempio al settore dell’elettronica di consumo e al principio del diritto alla riparazione promosso dall’Unione europea.

Sempre in quest’ottica di trasparenza, per il secondo anno avete proposto nella dichiarazione non finanziaria una sezione chiamata “Tracce di insostenibilità”, nella quale dichiarate i traguardi non ancora raggiunti. Di quali vi dispiace maggiormente e quali sono gli aspetti su cui potrete recuperare più facilmente a breve?
La scelta di esplicitare anche i risultati non raggiunti è maturata nel tempo. Quando leggo che gli obiettivi di un qualunque piano sono stati raggiunti al 100 per cento, mi è naturale pensare che forse erano poco sfidanti. Se un’azienda si pone obiettivi impegnativi, è normale che non riesca a traguardarli tutti: è una riprova del suo impegno a migliorarsi costantemente. L’impresa dimostra, inoltre, di essere consapevole che la sostenibilità è un percorso: anche se raggiungi l’obiettivo, devi spostare l’asticella, perché l’obiettivo non indica un punto di arrivo, ma una direzione di costante miglioramento.

Degli obiettivi non raggiunti, mi spiace molto quello relativo ai consumi di acqua. In Italia le statistiche parlano di 200 litri pro capite al giorno, mentre in Europa siamo sui 150. E la situazione è ancora più grave se si pensa che è tutta acqua potabile, perché non esiste una rete di acqua non potabile per usi diversi.

L'impianto di Peschiera di Gruppo CAP © CAP
L’impianto di Peschiera © Gruppo CAP

Come si può fare meglio?
Noi aziende abbiamo il compito di far crescere nei cittadini la consapevolezza del fatto che l’acqua è una risorsa sempre più scarsa, anche se per averla a disposizione ci basta aprire il rubinetto. Penso che sia dovere di un’azienda idrica anche mettere a disposizione delle alternative. Per esempio, noi forniamo l’acqua non potabile per lavare le strade: implica un impegno importante, ma è ancora una goccia nel mare.

L’altro obiettivo che credo sarà difficile da raggiungere nei prossimi anni riguarda il consumo dell’acqua in rubinetto invece dell’acqua in bottiglia. Un recente report dell’Istituto superiore di sanità conferma, alla luce di migliaia di controlli analitici, che l’acqua del rubinetto in Italia è sicura, potabile, di ottima qualità. Le situazioni di non conformità sono sporadiche e tempestivamente gestite. Eppure i cittadini non si fidano e bevono l’acqua in bottiglia: è una scelta legittima, ma poco sostenibile.

Parlando di uso di risorse, un aspetto che si sottovaluta è quello dell’energia, nel senso che anche l’energia accanto all’acqua è una risorsa sempre più cruciale per il futuro globale. Quali iniziative avete messo in atto in quest’ambito?
Grazie per questa bella domanda, perché è vero che spesso non ci si pensa: il servizio idrico, ovvero il lavoro di portare l’acqua nelle case dei cittadini e poi trasportarla attraverso le fognature per depurarla, è un’attività energivora, perché consiste nello spostare l’acqua contro la forza di gravità, per esempio ai piani alti delle abitazioni. Anche gli impianti  di depurazione, gli acquedotti e le fognature richiedono energia, per cui nasce l’esigenza di ridurre e decarbonizzare. Su questi aspetti abbiamo fatto investimenti molto importanti di efficientamento degli impianti, per sostituire macchinari e pompe con impiantistica nuova e a minor consumo energetico. Siamo inoltre impegnati nel ridurre le perdite di rete che creano consumi inutili.

Infine, investiamo nell’autoproduzione di energia elettrica, grazie al biogas o biometano proveniente dai nostri depuratori che viene immesso in rete o trasferito in sistemi di teleriscaldamento e teleraffrescamento, in un processo di economia circolare. Gruppo CAP ha anche avviato una strategia di produzione fotovoltaica, installando impianti solari sui suoli già occupati dagli stabilimenti industriali, senza quindi sacrificare terreni vergini. Tutte queste attività consentono di ridurre il fabbisogno di energia fossile acquistata. Anzi, in alcuni casi l’energia prodotta in eccesso viene trasferita alle imprese locali, attraverso le comunità energetiche.

Ci siamo dati un obiettivo molto ambizioso, ovvero ridurre del 42 per cento le emissioni di Scope 1 e Scope 2 entro il 2030: è un target particolarmente impegnativo che richiede un ampio ventaglio di impegni.

Ha citato l’economia circolare e l’importanza di fare rete con altre imprese del territorio, richiamata anche dal titolo della dichiarazione non finanziaria, Sorgente di connessioni: in che modo la collaborazione può accelerare lo sviluppo sostenibile?
È fondamentale. Non a caso, l’ultimo degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdgs) è proprio legato alle partnership per lo sviluppo. Nessuna azienda è una monade che può pensare di agire da sola. È evidente che una strategia di sviluppo sostenibile non può che affidarsi agli stakeholder, a partire ovviamente dallo stakeholder numero uno, cioè i lavoratori. Senza l’impegno di ogni persona di gruppo Cap, nessun obiettivo di sostenibilità sarebbe raggiungibile.

Il primo stakeholder di Gruppo CAP sono i dipendenti © CAP
Il primo stakeholder di Gruppo CAP sono i dipendenti © Gruppo CAP

Poi ci sono ovviamente gli shareholder, in questo caso le amministrazioni comunali con i quali collaboriamo costantemente. Siamo convinti del fatto che la transizione energetica sia possibile attraverso la realizzazione di nuovi poli produttivi dedicati all’economia circolare e all’energia green. Allora è chiaro che occorre un patto con il territorio perché, senza i comuni, non si possono realizzare impianti fotovoltaici né bioraffinerie.

Infine, non possiamo dimenticare la catena di fornitura e i clienti. Un’azienda come CAP non può pensare di trasformare il proprio business in ottica di economia circolare senza contare su una filiera produttiva capace di evolversi, di mettere in campo strategie di riduzione del proprio impatto ambientale e sociale.

Nel 2023 avete creato un bond sostenibile: come è nata questa esperienza e come proseguirà?
Realizzare nuovi impianti significa investire, trovare risorse da destinare alla transizione energetica. Noi abbiamo emesso un sustainability-linked bond, ovvero un’obbligazione i cui tassi di interesse sono legati al raggiungimento di alcuni dei obiettivi di sostenibilità; in particolare alla riduzione delle emissioni e alla riduzione delle perdite, i più sfidanti. Il nesso tra finanza e sostenibilità è fondamentale per aumentare i flussi di capitale che vanno nella direzione di una trasformazione sostenibile del nostro business.

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