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La Gsk mente sugli antidepressivi. Secondo i dati spingono bambini e adolescenti al suicidio
Nell’assordante silenzio di molti specialisti, una delle più autorevoli riviste mediche del mondo conferma i sospetti di parte della comunità scientifica: a fini di business, la multinazionale farmaceutica GlaxoSmithKline (Gsk) aveva alterato i dati su uno psicofarmaco che, somministrato ai bambini e agli adolescenti, può stimolare in loro l’idea del suicidio. Un film di pessimo
Nell’assordante silenzio di molti specialisti, una delle più autorevoli riviste mediche del mondo conferma i sospetti di parte della comunità scientifica: a fini di business, la multinazionale farmaceutica GlaxoSmithKline (Gsk) aveva alterato i dati su uno psicofarmaco che, somministrato ai bambini e agli adolescenti, può stimolare in loro l’idea del suicidio. Un film di pessimo gusto sulla spregiudicatezza di big-pharma? Magari, invece è realtà di questi giorni.
La recente revisione sistematica promossa dalla più autorevole rivista medica del mondo non lascia spazio a dubbi: i dati che finora hanno giustificato la prescrizione a bambini e adolescenti del potente antidepressivo paroxetina – usato anche in Italia – erano stati falsati dal produttore. In realtà quella molecola è “inefficace e pericolosa”.
Lo studio cosiddetto 329 era stato pubblicato nel 2001, a firma di 22 ricercatori, e originariamente pareva confermare l’appropriatezza d’uso di questa molecola nei casi di depressione. In realtà la ricerca fu redatta da Sally K. Laden, una ghostwriter pagata dalla casa farmaceutica che aveva finanziato la ricerca allo scopo di dimostrare l’efficacia della molecola. Ci sono voluti poi quattordici anni – e la tenacia di validi ricercatori – per ribaltare i risultati dello studio, e dimostrare che la paroxetina aumenta il rischio di suicidio per i minori che la assumono. Parrebbe davvero la trama di un film.
Dopo lo Studio 329 del 2001, le vendite della paroxetina e di altri Ssri, gli “inibitori selettivi del re-uptake della serotonina” cioè gli antidepressivi non triciclici, subirono una fortissima impennata, grazie anche a prescrizioni di medici generici e pediatri, con il risultato che molti adolescenti subirono effetti negativi e alcuni morirono, come ha raccontato lo psichiatra esperto Professor Paolo Migone in un suo recente articolo. La paroxetina divenne l’antidepressivo più venduto, con guadagni per centinaia di milioni di dollari e più di due milioni di ricette emesse ogni anno per i soli bambini e adolescenti.
Mentre la GlaxoSmithKline continuava a utilizzare lo Studio 329 come dimostrazione dell’efficacia e sicurezza della paroxetina, già nel 2004 la procura generale di New York denunciò la multinazionale per frode contro i consumatori per aver contraffatto i dati e diffuso informazioni false. La causa si concluse con un accordo: la Gsk doveva pagava 2,5 milioni di dollari di sanzione (quasi 2,3 milioni di euro) e si impegnava a pubblicizzare sul suo sito i dati effettivi dello Studio 329. Successivamente, anche il Dipartimento di giustizia americano denunciò la Gsk per truffa nei confronti di Medicare e Medicaid – le principali agenzie assicuratrici pubbliche che finanziano la Sanità in America – in quanto aveva diffuso affermazioni false o fraudolente. La Gsk si dichiarò colpevole e accettò di pagare 3 miliardi di dollari ovvero la multa più alta comminata a una azienda farmaceutica nella storia americana.
La GlaxoSmithKline fu allora definitivamente obbligata a rendere noti i dati relativi alla paroxetina. Ma lo fece a modo suo. La multinazionale pubblicò infatti oltre 77mila pagine di resoconti clinici visibili solo in remoto a video, senza che i file potessero essere scaricati o stampati. Una scelta ridicola e anche dannosa sia dal punto di vista reputazionale che sostanziale: di fatto questi manager intralciarono deliberatamente le verifiche scientifiche, danneggiando la salute di bambini e adolescenti pur di continuare a fare soldi.
Il team guidato dal professor Jon Jureidini presso l’Università di Adelaide ha successivamente identificato lo studio finanziato da GlaxoSmithKline come un esempio di un processo autorizzativo da rivedere, e utilizzando documenti in precedenza riservati ha rianalizzato i dati originali e ha scoperto che i dati all’epoca forniti dalla casa farmaceutica erano fortemente fuorvianti, e che il pericolo per i minori che utilizzano questo psicofarmaco è “clinicamente significativo”.
L’articolo pubblicato ora sul British Medical Journal – reso accessibile a tutti senza restrizioni, in virtù dell’assoluta importanza del tema trattato – è accompagnato da numerosi altri documenti che confermano l’aumento di crimini violenti nei giovani che assumono farmaci antidepressivi Ssri, categoria farmacologica cui appartiene sia la paroxetina – commercializzata come Daparox, Dropaxin, Eutimil, Sereupin e Seroxat – che l’altrettanto tristemente famoso Prozac, cioè la fluoxetina.
Ciò che sconcerta di più è l’assordante silenzio di una parte significativa della neuropsichiatria infantile, anche italiana: risultati così sconcertanti – e per certi versi sconvolgenti – non hanno meritato neanche una dichiarazione da parte del Sinpia, la società scientifica che raggruppa gli specialisti in disturbi mentali dei minori; anche l’Istituto Mario Negri tace, sul loro sito neanche un comunicato; stesso dicasi dello Stella Maris, come della maggior parte dei centri più attivi nella somministrazione di psicofarmaci ai bambini nel nostro paese. D’altra parte non stupisce: all’associazione gemella del Simpia negli Stati Uniti, l’American academy of child and adolescent psychiatry, è stato chiesto per anni di ritrattare lo Studio 329, ma inutilmente. Tutte queste realtà dovrebbero vigilare sulla salute mentale dei più piccoli. Dovrebbero, appunto. Mai condizionale fu più appropriato.
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