Dal 17 al 23 giugno, Survival International mobilita l’opinione pubblica con una settimana dedicata ai diritti dei popoli incontattati.
Guatemala, le donne Maya lottano per proteggere i tessuti indigeni dall’industria della moda
Le donne Maya del Guatemala hanno deciso di difendere i loro tessuti tradizionali, gli huipiles, dall’industria. Un possibile precedente per la protezione dei diritti della proprietà intellettuale collettiva.
In Guatemala un’organizzazione che riunisce più di mille donne, prevalentemente Maya, ha lanciato l’allarme su come i prodotti indigeni di artigianato, in particolare i tessuti chiamati “huipiles”, siano minacciati dai tessuti industriali sottocosto che si sono appropriati dei modelli indigeni e che hanno invaso il mercato guatemalteco, privando così le donne native della loro principale fonte di reddito.
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Una questione di proprietà intellettuale collettiva
A maggio 2016 l’Associazione delle donne per lo sviluppo di Sacatepéquez (Afedes), un movimento popolare contro la disparità di genere in Guatemala, ha presentato una mozione alla Corte costituzionale affinché i tessuti indigeni vengano protetti sotto la Costituzione, che garantisce di “riconoscere, rispettare e promuovere le forme di vita, i costumi e le tradizioni indigene”.
Per contrastare i tessuti di produzione industriale, a novembre 2016 l’Afedes ha proposto una riforma legislativa che riconoscerebbe la nozione di proprietà intellettuale collettiva e le popolazioni indigene come autori collettivi del proprio patrimonio culturale. Il progetto di legge proteggerebbe le tessitrici Maya dal plagio dei loro modelli – un fenomeno frequente nell’industria della moda – e risulterebbe nel diritto di ricevere royalty per il loro uso commerciale. Il progetto di legge (numero 5247) è stato ufficialmente accettato per una discussione ed è in attesa di essere preso in considerazione dal Congresso.
Il Guatemala fa parte della World intellectual property organisation (Wipo), un’agenzia delle Nazioni Unite che protegge la proprietà intellettuale a livello internazionale. Il paese ha attuato una serie di misure in materia ma non ha regolamentato la proprietà intellettuale collettiva, sebbene il 51 per cento della popolazione guatemalteca appartenga al gruppo Maya, la cui visione dell’universo si basa sull’idea di collettività.
La battaglia delle donne Maya
Questa non è la prima volta che dei gruppi indigeni chiedono il riconoscimento dei propri diritti di proprietà intellettuale collettiva. Nel 1999, ad esempio, la Union of yagé healers of the colombian Amazon ha richiesto di riconoscere lo yagé, un infuso tradizionale usato nei riti spirituali e in medicina, in quanto appartenente al sapere tradizionale delle popolazioni indigene. Queste erano principalmente spinte dall’urgenza di fermare la devastante commercializzazione di piante tradizionali che stava profanando la loro cultura.
Analogamente, le tessitrici Maya sottolineano come i loro tessuti siano un’espressione essenziale della propria identità culturale e spirituale, con fantasie che raffigurano elementi spirituali come il calendario Maya, e la loro battaglia rappresenti la lotta per l’empowerment indigeno. “Anche se dal punto di vista occidentale l’atto di produrre i propri vestiti è sinonimo di arretratezza o povertà, per noi costituisce la strada per la libera autodeterminazione delle nostre comunità”, ha affermato Angelina Aspuac, organizzatrice di Afedes, durante un’udienza alla Corte costituzionale.
“Siamo figlie delle nonne che non moriranno, perché vivono nell’universo dei nostri tessuti”, ha aggiunto Aspuac per enfatizzare la continuità culturale protetta dai huipiles.
La popolazione Maya è stata la vittima principale della guerra civile che ha devastato il Guatemala tra il 1960 e il 1996. Delle 200mila persone uccise o scomparse durante il conflitto tra il governo e le guerriglie di sinistra, l’83 per cento era di origine Maya. E, intensificando gli sforzi per riacquisire il controllo sul proprio patrimonio culturale, la popolazione indigena non solo reclama simbolicamente il proprio operato culturale e sistema il passato, ma intraprende anche una battaglia sull’empowerment che si merita nel nuovo ordine sociale.
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