Un rumore sordo, che ricorda quello di una valanga. Una scia di luce rosso vivo che scivola giù dalla montagna. Del fumo bianco che viene portato via dal vento. Ci troviamo alle pendici del Volcán de Fuego, in Guatemala, in una comunità che vive in una zona ad alto rischio e sta cercando un nuovo luogo – sicuro – da poter chiamare casa.
La storia di La Trininad e del Guatemala
La Trinidad- questo il nome del villaggio – è una comunità che di storie ne ha passate tante. “Abbiamo vissuto venti anni come nomadi” ci racconta Magdalena, che negli anni ottanta è stata costretta a fuggire in Messico per la guerra civile in Guatemala e ha passato la sua gioventù tra un campo di rifugiati e l’altro. Dopo gli accordi di pace del ’96 lei, il marito e i tre figli – il più piccolo aveva appena due mesi – hanno deciso di tornare in Guatemala assieme a un altro centinaio di famiglie, che si stabilirono in un terreno assegnato loro dal governo.
Ricordo quando abbracciai mia madre prima di venire qui – ci dice con le lacrime agli occhi – tutta la mia famiglia restò in Messico, io decisi di tornare per assicurare ai miei figli una terra, e con essa, un futuro. Un sogno quindi, quello di arrivare in un luogo sicuro. Una terra promessa, che doveva portare gioia, stabilità. Ma presto si è rivelata un’illusione, sgretolata all’ombra di vulcano che erutta.
Con i suoi 3768 metri di altitudine, il Volcán de Fuego è uno dei due vulcani de La Horqueta; l’altro è conosciuto come Acatenango, ed insieme fanno parte dell’arco vulcanico dell’America centrale. La comunità di Nueva Trinidad vive alle sue pendici, in una zona dichiarata ad alto rischio dagli esperti. Facciamo la stessa domanda a molte persone e la risposta è sempre la stessa: “il mio rapporto con il vulcano? Ho paura. È bellissimo, ma fa paura.” Nel 2018, un’eruzione ha spazzato via due villaggi vicini, distruggendo anche le strade e i raccolti di questa comunità. Il materiale vulcanico sta erodendo i due fiumi che delimitano il territorio, e si teme che la prossima eruzione possa seppellire vive queste persone.
“Convivere con un vulcano è possibile”
Ce lo dice Don Urbano, il presidente della comunità – ma noi non abbiamo i mezzi per valutare quando è necessario evacuare, e se i due fiumi si ingrossano, rischiamo di restare chiusi dentro. Da cinque anni si sta battendo per fare in modo che alla sua comunità venga assegnato un nuovo territorio per poter vivere, e spera che con l’instaurazione del nuovo governo in Guatemala questo sia possibile.
Come altre comunità che abbiamo conosciuto con Diritto a REsistere, il progetto sulla giustizia climatica e i diritti umani che ci sta portando ad attraversare in tre mesi tutto il Centro America, anche quella de La Trinidad sta lottando per avere il diritto di Esistere. Perché abitare all’ombra di un vulcano è possibile, ma se non si hanno i mezzi per farlo è necessario spostarsi per restare vivi.
Fuego si è formato nella porzione meridionale di un vulcano più antico chiamato Acatenango e fa parte del famoso arco vulcanico dell'America centrale, una particolare catena di vulcani che si estende per ben 1.100 chilometri dal Guatemala a Panama. pic.twitter.com/YcxdclDZpn
— Il Mondo dei Terremoti (@mondoterremoti) March 4, 2022
E mentre guardo il vulcano eruttare in lontananza, all’ombra di un gigantesco albero di ceiba che è il cuore de La Trinidad, mi torna in mente il “sublime” di William Blake, un concetto che racchiude in sé una bellezza terribile, un miscuglio di meraviglia e paura. E non posso fare a meno di pensare che la Natura, qui, è proprio questo. Un rifugio che ha permesso a un popolo di tornare a casa, ma che al contempo lo costringe ogni giorno a temere per il proprio futuro.
La gente qui, immagina una vita diversa, senza paura. Ed è solo attraverso l’immaginazione che trova la forza di lottare ogni giorno per vivere. Perché come disse proprio Blake: “l’immaginazione non è uno stato mentale: è l’essenza stessa dell’esistenza umana”.
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