La maglietta rossa, i pantaloncini corti blu, le scarpette nere. La faccia a terra e le braccia lungo il corpo. Esanime. Sono passati dieci anni dall’inizio della guerra in Siria e, da cinque, quel conflitto atroce ha un “volto”. Un’immagine, un simbolo. Quello di Alan Kurdi, bambino di tre anni, proveniente dalla regione curda della nazione mediorientale, naufragato su una spiaggia della Turchia mentre tentava di raggiungere l’Europa. Oggi Alan avrebbe otto anni.
Alan Kurdi, un bambino simbolo di un conflitto atroce in Siria
La brutalità del conflitto siriano è tutta nella foto di quel povero bambino. Alan era scappato da una nazione, la Siria, che oggi è come se non esistesse più. Dilaniata da un conflitto intestino (e internazionale) atroce. Resa un cumulo di macerie da opposti fondamentalismi che l’hanno trasformata in un teatro di nefandezze efferate. Dieci anni di guerra che ne hanno stravolto l’economia, la demografia e la sociologia. Tanto che, oggi, un siriano che tornasse in patria dopo tanti anni farebbe fatica a riconoscere case, strade, città, negozi, persone. Soprattutto, persone.
Nell’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite, la Siria è crollata tra il 2010 e il 2020 dal 111esimo al 151esimo posto. Circa l’80 per cento delle famiglie vive al di sotto della soglia di povertà. Le prigioni sono sovraffollate. I campi profughi, interni ed esterni al territorio nazionale, sono ancora pieni. Le sanzioni internazionali non hanno funzionato. Il fallimento delle banche libanesi, autentico polmone per le imprese siriane, si è tradotto in un disastro. Così, la società è ormai in larga parte in mano alle bande, nei luoghi in cui non governa ancora il regime di Bashar al-Assad.
La guerra ha provocato più di 388mila morti
La guerra in Siria entra dunque nel suo undicesimo anno. Lasciandosi alle spalle più di 388mila morti, secondo l’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo, organizzazione non governativa con sede nel Regno Unito. Di questi, le vittime civili sono più di 117mila. Nonostante un abbassamento del conflitto nel 2020, provocato dal cessate il fuoco nella porzione nord-occidentale del territorio e dalla pandemia.
These questions may seem familiar. Now, imagine asking them for ten years.
Secondo l’Unhcr, sono 5.5 milioni i rifugiati siriani in oltre 130 paesi del mondo. Il 70 per cento di loro non ha accesso al cibo, all’acqua e ai servizi basilari per la sopravvivenza. Il 45 per cento dei rifugiati ha meno di 18 anni, 1.6 milioni di bambini hanno meno di 10 anni. Un milione è nato in esilio: un’intera generazione segnata che, oltre a soffrire la fame e il freddo, si vede spesso negato anche il diritto all’istruzione.
Le principali tappe del conflitto in Siria
Marzo 2011: la primavera araba e la repressione
Tutto cominciò nel marzo del 2011, con la repressione, da parte del governo di Damasco, delle manifestazioni pro-democrazia. Onda della primavera araba che aveva attraversato buona parte del Maghreb e del Medio Oriente. Nonostante la reazione governativa, la ribellione non demorde. Al contrario, un mese dopo, la contestazione diventa più radicale. A luglio, un colonnello rifugiato in Turchia annuncia la creazione dell’Esercito siriano libero, composto da civili e disertori. Alcuni gruppi islamisti si uniscono ai ribelli.
Luglio 2012: i ribelli attaccano Damasco
Dopo una vittoria dell’esercito regolare, che nel marzo del 2012 riprende il controllo del quartiere ribelle di Baba Amr nella città di Homs, il 17 luglio dello stesso anno i ribelli lanciano l’assalto a Damasco. Il governo mantiene il controllo città, ma alcune zone periferiche passano nelle mani degli oppositori.
Aprile 2013: Hezbollah entra nel conflitto
A partire dall’aprile del 2013 Hassan Nasrallah, segretario generale dell’organizzazione paramilitare e partito politico sciita libanese Hezbollah fa il suo ingresso nella guerra in Siria. La formazione milita a fianco del governo di Assad ed è alleata dell’Iran, a sua volta principale sostenitore sciita di Damasco.
Agosto 2013: le armi chimiche
Il 21 agosto 2013 viene sferrato un attacco con armi chimiche contro due bastioni ribelli alla periferia di Damasco. Secondo gli Stati Uniti, l’operazione ha provocato non meno di 1.429 vittime, tra le quali 426 bambini. Washington minaccia di lanciare l’aviazione contro Assad, ma un accordo raggiunto in extremis con la Russia (sostenitrice di Damasco) sulla distruzione dell’arsenale chimico siriano evita i bombardamenti.
2014: l’arrivo degli jihadisti in Siria
Nel corso del 2014 fanno la loro apparizione nello scenario bellico siriano i miliziani jihadisti dello Stato Islamico, che invadono il nord del paese, prendendo il controllo di un territorio particolarmente vasto. Racca diventa la loro roccaforte, grazie anche al lavoro svolto in precedenza da un altro gruppo estremista, il Fronte al-Nosra (ribattezzato poi Fateh al-Cham).
Nel mese di settembre del 2014 l’allora presidente americano Barack Obama organizza una coalizione internazionale il cui obiettivo dichiarato è quello di combattere l’Isis. I combattenti curdi, che dal 2013 hanno instaurato un territorio autonomo nelle zone settentrionali della Siria, grazie ai bombardamenti degli alleati riescono a strappare agli islamisti alcuni centri di particolare importanza, tra i quali Kobane, liberata nel 2015.
Settembre 2015: Mosca in soccorso di Assad
Un anno più tardi, nel settembre 2015, è il momento dell’interventismo russo. Mosca avvia una campagna di bombardamenti aerei affermando di voler colpire i gruppi terroristi. Ovvero non solo l’Isis, ma anche i ribelli. I raid russi saranno determinanti per la riconquista di alcune zone-chiave del paese da parte di Assad.
Agosto 2016: l’intervento della Turchia
Nell’agosto dello scorso anno, la Turchia entra in gioco in modo diretto. Il governo di Ankara sostiene i ribelli e lancia un’operazione militare a partire dalla propria frontiera, colpendo i miliziani Isis, ma anche i combattenti curdi.
Dicembre 2016: la riconquista di Aleppo
Il 22 dicembre 2016, dopo un assedio lunghissimo e particolarmente sanguinoso, l’esercito di Assad riesce a strappare i quartieri orientali della città di Aleppo ai ribelli. Un accordo siglato da Iran, Russia e Turchia permette di evacuare (non senza innumerevoli difficoltà) i civili e i combattenti ancora presenti nel centro urbano.
2017: la pace parziale e la battaglia di Racca
Un accordo di pace siglato alla fine di dicembre tra ribelli e governo di Damasco (assieme ai rispettivi sostenitori ma senza gli Stati Uniti) permette di avviare una fase di parziale tregua. Nel nord del paese si continua tuttavia a combattere contro l’Isis, in particolare nella città di Racca, feudo degli islamisti, che dal novembre del 2016 è assediata a una coalizione arabo-curda sostenuta da Washington. La Turchia si oppone però al fatto che la città, una volta liberata, venga affidata alle forze curde, che Ankara considera terroriste alla stregua dell’Isis.
2018: il Ghouta ribelle capitola
Il Ghouta, area di aree coltivate alla periferia orientale della capitale Damasco, controllata dai ribelli, capitola. All’inizio del mese di febbraio, l’esercito siriano sferrò un violento attacco. I soldati di Assad circondano l’aria, con l’appoggio dell’aviazione russa.esattamente come accaduto per la riconquista di Aleppo, i militari usano l’arma della fame contro i 400.000 civili e i gruppi ribelli presenti nella zona.
2019: gli jihadisti controllano Idlib
Grazie ad un’offensiva di una decina di giorni, i combattenti islamici vicini al gruppo al-Qaeda si impadroniscono di alcuni territori della provincia di Idlib, fino a quel momento controllata dai ribelli del Fronte nazionale di liberazione, sostenuti dalla Turchia. Ankara non reagisce. Il 6 maggio Assad, ancora una volta con il sostegno dei russi, lancia un attacco sulla zona. I combattimenti proseguono fino all’estate: soltanto il 20 agosto gli jihadisti annunciano il ritiro dalla città di Khan Shaykhun.
#Syria: Ten years of war, and new camps are still being built, like these ones in Idlib – for some of the one million displaced there last year
But new camps is not the solution. What people want is an end to the war, and to be able to return safely to their original homes pic.twitter.com/7EsddU1pr2
Il 17 giugno entra in vigore il Caesar Syria Civilian Protection Act, approvato dal Parlamento degli Stati Uniti, entra in vigore. Il testo prevede nuove dure sanzioni contro il regime di Assad e introduce, per la loro applicazione, un regime di extraterritorialità. Chiunque, di qualunque nazionalità, “apporti un significativo sostegno al governo siriano, sia esso finanziario materiale o tecnologico, o a concluso significative transazioni con lo stesso”, può essere colpito dalle sanzioni. Una norma che dovrebbe essere applicata anche ai settori del Petrolio, dell’aeronautica militare, della finanza e delle costruzioni..
2021: Damasco controlla il 60 per cento della Siria
Si arriva così al 2021. Damasco controllo attualmente poco più del 60% del territorio siriano. E mancano ancora un’ultima enclave ribelle nella provincia di Idlib, le zone controllate dalla Turchia (il cui obiettivo è evitare la creazione di uno stato curdo lungo la frontiera settentrionale), e la porzione nord orientale del paese, attualmente sotto il controllo delle forze curde.
La drammatica situazione dei bambini in Siria
Una situazione ancora caotica. Il cui prezzo è pagato soprattutto dai più deboli, a partire dai bambini. L’Unicef spiega che sono circa 12mila i minori uccisi o feriti: “Ma si tratta dei dati ufficiali – spiega Andrea Iacomini, portavoce per l’Italia dell’agenzia delle Nazioni Unite -. Io sono convinto del fatto che le cifre reali siano ben più alte. Anche il quintuplo.
Ad esse si aggiunge un esodo senza precedenti di civili. E però i riflettori sulla Siria sono ormai da tempo spenti. L’ultima volta che sono andato personalmente in televisione per parlare della situazione risale ad un anno fa. Raccontavo che c’erano 500mila famiglie nel Nord-Est che non avevano nulla neppure per lavarsi le mani, e che un focolaio di Covid-19 lì sarebbe stato una carneficina. Era e resta una tragedia”.
Assad, intanto, ha 55 anni. Ed è ancora al potere. Ogni tentativo di rovesciare il regime è fallito. Si ricandiderà certamente per un quarto settennato al potere: le elezioni sono previste nella prossima estate. Con ogni probabilità sarà rieletto. Il suo volto continuerà a rappresentare quello della Siria: quello di un immenso paesaggio di rovine.
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