In Sudan la più grave crisi umanitaria al mondo dopo un anno di guerra

In Sudan c’è la più grave crisi umanitaria al mondo, nonostante la poca attenzione della comunità internazionale sul conflitto iniziato un anno fa.

Era il 15 aprile del 2023 quando nella capitale del Sudan Khartoum, le forze armate sudanesi (Saf) guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan e le Forze di supporto rapido (Rsf) Mohamed Hamdane Dagalo detto Hemedti hanno iniziato a scontrarsi in quella che è diventata una vera e propria guerra civile che ha coinvolto tutto il Paese.

Nonostante la poca attenzione mediatica e politica del mondo occidentale, il bilancio a un anno dall’inizio del conflitto è catastrofico: quasi 16mila vittime, almeno 30mila feriti e oltre 8 milioni di rifugiati. Con la cifra record di 25 milioni di persone che necessitano di aiuti umanitari, in Sudan c’è la più grave crisi umanitaria al mondo.

La diplomazia è in completo stallo e nel suo discorso di lunedì il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha esplicitamente parlato di crimini di guerra e contro l’umanità per la condotta delle fazioni in conflitto nei confronti della popolazione civile.

La catastrofe umanitaria e la situazione in Darfur

All’inizio il conflitto era circoscritto nella capitale Khartoum, ma con il passare delle settimane si è allargato a gran parte del Paese e ha portato al collasso dei sistemi infrastrutturali, compresi i servizi sanitari e igienici, oltre a causare migliaia di morti e lo sfollamento di milioni di persone. Secondo l’Onu circa l’80 per cento delle strutture sanitarie nelle aree di conflitto è stato distrutto.

Il collasso infrastrutturale dei sistemi sanitari ha complicato anche il tracciamento preciso del numero di vittime e di feriti. Secondo l’ultimo report dell’Armed conflict location and event data project (Acled), ad un anno dall’inizio della guerra sono morte quasi 16mila persone, compreso il personale militare, ma la stessa Acled l’ha definito una sottostima.

Un rapporto dell’agenzia Onu per i rifugiati, l’Unhcr, di ottobre, ha dichiarato che quasi 4.000 civili sono stati uccisi e 8.400 feriti nel solo Darfur, tra il 15 aprile e la fine di agosto. Secondo un altro rapporto delle Nazioni Unite, l’anno scorso sono state uccise tra le 10mila e le 15mila persone in una sola città, El Geneina, nella regione sudanese del Darfur occidentale.

In Darfur è tornato lo spettro della pulizia etnica e del genocidio contro le etnie minoritarie. Le Rsf sono composte dagli ex janjaweed, le milizie arabe mandate dall’allora dittatore Omar al-Bashir a combattere contro le ribellioni delle popolazioni Fur e Zaghawa. Le milizie, allora, si macchiarono di vari crimini contro l’umanità tra cui il genocidio.

Le Rsf hanno nuovamente conquistato quei territori e stanno nuovamente portando avanti una campagna di violenze, tra cui omicidi di massa e stupri contro i gruppi etnici non arabi della regione. Le milizie stanno anche impedendo l’arrivo degli aiuti alimentari nella regione. Secondo Medici senza frontiere (Msf) nel campo profughi di Zamzam un bambino muore ogni due ore per carenza di cibo e aiuti umanitari.

Lo stallo della diplomazia

Dall’anno scorso sono stati diversi gli sforzi per porre fine alla guerra in Sudan, ma il loro scarso successo è legato alle spaccature regionali tra i Paesi mediatori e agli interessi contrastanti di attori internazionali come Russia, Stati Uniti, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Nell’ultimo anno sono stati raggiunti diversi accordi di cessate il fuoco, ma in ogni caso entrambe le parti si sono accusate di continuare a combattere. Un nuovo negoziato tra le parti in conflitto iniziano oggi 18 aprile, a Gedda, in Arabia Saudita, dove già lo scorso anno si sono fatti diversi tentativi di mediazione.

Questa volta al tavolo è molto probabile che ci siano due nuovi attori: il vicino Egitto, da sempre vicino alle Saf, e gli Emirati Arabi Uniti, apertamente schierati con le Rsf. Secondo molti, i negoziati fino a d oggi sono falliti proprio per l’assenza dei due principali sostenitori delle fazioni in conflitto.

Gli Stati Uniti hanno provato ad infilarsi nell’ambito dei negoziati a febbraio, attraverso la nomina del membro del Congresso Tom Perriello come inviato speciale per il Sudan. Un attore silenzioso è certamente la Russia, con cui il Sudan ha rapporti dai tempi dell’Unione Sovietica, ma anche presente sul territorio con il gruppo Wagner, in particolare in Darfur.

Anche l’Unione Africana (Ua) ha tentato di mediare la pace lo scorso anno attraverso l’avviamento di un dialogo politico tra gli attori militari, civili e sociali del Paese nel tentativo di risolvere il conflitto e istituire un governo civile di transizione. A differenza degli scorsi colloqui di Gedda, al vertice dell’Unione Africana hanno partecipato i membri di una coalizione civile che aveva condiviso il potere con i militari prima del colpo di Stato del 2021. Tuttavia, oltre a tenere riunioni, gli sforzi dell’organismo regionale non hanno prodotto risultati significativi.

E l’Europa?

Dopo un anno di silenzio, alcune cancellerie europee hanno deciso di attivarsi per la crisi in Sudan. Lunedì 15 aprile si è tenuta a Parigi una conferenza sul Sudan, organizzata da Francia, Germania e Unione Europea, a cui hanno partecipato diversi Paesi, tra cui le monarchie del Golfo, le potenze occidentali e le organizzazioni internazionali, con il fine di raccogliere le donazioni per gli aiuti umanitari da inviare al Paese.

Le agenzie dell’Onu e le organizzazioni umanitarie negli scorsi mesi hanno annunciato che la portata della catastrofe dipende anche dal fatto che gli aiuti umanitari non sono stati inviati. Quest’anno è stato finanziato solo il 5 per cento dei 3,8 miliardi di euro previsti dall’ultimo appello umanitario delle Nazioni Unite prima della conferenza. All’apertura della conferenza, erano stati promessi 840 milioni di euro in seguito ad annunci separati da parte di Francia, Germania, Unione Europea e Stati Uniti. A fine conferenza, la cifra pattuita ha superato i due miliardi di euro.

È interessante che sia stato proprio l’Eliseo ad organizzare questa conferenza. L’impressione è che la Francia, che ormai è stata allontanata dai territori del Sahel in cui ha storicamente avuto influenza, stia cercando di trovare spazio in una regione africana in cui non ha mai avuto un peso, per ripristinare il proprio prestigio internazionale.

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