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Guerra in Ucraina, i movimenti femministi e per il clima guidano il dissenso russo
Il movimento femminista e gli attivisti per il clima in prima linea nel dissenso russo contro la guerra in Ucraina.
Il dissenso russo nei confronti della guerra intrapresa dal presidente Vladimir Putin nei confronti dell’Ucraina, in tempi di censura dei mezzi d’informazione mainstream e di manifestazioni di piazza interrotte a forza di arresti da parte della polizia, corre soprattutto su Telegram. E un ruolo particolarmente attivo lo hanno le donne, le femministe russe che si sono riunite nel gruppo dall’evocativo nome di resistenza femminista contro la guerra, e gli attivisti per il clima come i giovani di Fridays for future: realtà che anche in tempi di pace si opponevano al presidente russo e alle sue politiche – tra le altre cose – omofobe, antiabortiste, in generale poco attente all’uguaglianza di genere nonché alla neutralità energetica. In pratica, ai più basilari diritti umani e civili. Gruppi che si stanno mobilitando nonostante le repressioni in atto, tanto che nel mese di marzo sono già in programma diverse manifestazioni, in cui scenderanno in strada. Insieme.
Un manifesto per la resistenza femminista
Dieci anni fa c’erano le Pussy Riot, il collettivo punk-rock che nel 2012 vide condannate due proprie esponenti con l’accusa di teppismo per alcuni eventi di protesta contro la rielezione di Putin, avvenuta nel febbraio di quell’anno. Oggi il dissenso viaggia sui telefoni, attraverso il canale Resistenza femminista contro la guerra che, all’indomani dell’invasione russa, ha lanciato il proprio manifesto, già tradotto in francese, polacco, giapponese, bulgaro e rumeno, spiegando che “il movimento femminista in Russia lotta per i soggetti più deboli e per lo sviluppo di una società giusta con pari opportunità e prospettive, in cui non ci può essere spazio per la violenza e i conflitti militari” e sottolineando che “la guerra intensifica la disuguaglianza di genere e mette un freno per molti anni alle conquiste per i diritti umani. La guerra porta con sé non solo la violenza delle bombe e dei proiettili, ma anche la violenza sessuale”.
Ma la chiamata alla dissidenza del dissenso russo non è stata solo virtuale: attualmente più di 45 diverse organizzazioni femministe operano in tutto il paese, da Kaliningrad a Vladivostok, da Rostov sul Don a Ulan-Ude e Murmansk, e il manifesto chiede ai gruppi femministi russi e alle singole femministe “di unirsi alla Resistenza femminista contro la guerra e unire le forze per opporsi attivamente alla guerra e al governo che l’ha iniziata”.
Queste le richieste d’azione:
- partecipare a manifestazioni pacifiche e lanciare campagne offline e online contro la guerra in Ucraina e la dittatura di Putin, organizzando le proprie azioni, usando il simbolo del movimento femminista di resistenza contro la guerra nei materiali e pubblicazioni, e gli hashtag #FeministAntiWarResistance e #FeministsAgainstWar;
- diffondere informazioni sulla guerra in Ucraina e sull’aggressione di Putin, affinché il mondo intero sostenga l’Ucraina e si rifiuti di aiutare in alcun modo il regime di Putin;
- condividere l’appello per dimostrare che le femministe sono contrarie a questa guerra e a qualsiasi tipo di guerra. È anche fondamentale far vedere che ci sono ancora attiviste russe pronti a unirsi per opporsi al regime di Putin. Siamo tutte a rischio di persecuzione da parte dello stato e abbiamo bisogno del vostro appoggio.
L’attesa per gli appuntamenti del 6 marzo
Il 2 marzo, dalla prigione dove è rinchiuso in Russia, il dissidente politico Aleksei Navalny è riuscito a lanciare un messaggio incitando alla protesta contro la guerra in Ucraina: “Non possiamo più aspettare – ha scritto Navalny –. Ovunque tu sia, in Russia, Bielorussia o dall’altra parte del pianeta, recati nella piazza principale della tua città tutti i giorni feriali alle 19:00 e alle 14:00 nei fine settimana e nei giorni festivi. Se sei all’estero, vai all’ambasciata russa. Se puoi organizzare una dimostrazione, fallo nel fine settimana. E se c’è qualcosa in Russia in questo momento di cui puoi essere più orgoglioso, sono quelle persone che sono state detenute perché sono scese in piazza con cartelli che dicevano No alla guerra”.
Ebbene, tra queste persone ci sono le donne della resistenza femminista contro la guerra che avevano già lanciato un grande doppio appuntamento, due marce contro la guerra, che si svolgeranno il prossimo 6 marzo, in contemporanea a Mosca con partenza da piazza Komsomolskaya e a San Pietroburgo da piazza Sadovaja. Con un avvertimento, lanciato sul canale Telegram a tutte le attiviste per sfuggire agli arresti preventivi: “Non venire direttamente con la metropolitana. Arriva da punti diversi”.
Quello della censura del dissenso è il problema più grande. Secondo la testata indipendente OVD-Infogruppo già 7mila persone sarebbero state arrestate in Russia solo perché contrarie alla guerra. E allora sempre su Telegram, accompagnati dalle chiamate all’azione, si trovano molte raccomandazioni ad agire con le dovute cautele, come nel caso di una campagna di volantinaggio a tappeto intrapresa presso le stazioni di autobus e metropolitane: “ci raccomandiamo di non stampare volantini nelle copisterie. Fatelo con le vostre stampanti casalinghe”.
Ma scorrendo gli aggiornamenti del canale social si trovano anche strazianti appelli delle donne ucraine alle donne russe: a Kherson, la prima città ucraina finita ufficialmente nelle mani dell’esercito russo, “le donne incinte sono costrette a partorire negli scantinati” scrive una donna, disperata, che filma i momenti del parto improvvisato. E poi, campagne di feedback sulle ritorsioni subite sul lavoro da chi, in Russia, rifiuta di manifestare il proprio consenso all’operazione militare del regime: “Se sei vittima di mobbing, lascia una recensione su antijob.net. Se sei costretta a prendere un congedo o a dimettersi, o se vieni licenziata, lascia una recensione su antijob.net”, una sorta di blacklist dei datori di lavoro.
Il clima e la pace, un unico diritto
Oltre alle femministe, una parte delle proteste la stanno giocando anche gli attivisti per il clima. Arshak Makichyan, di Fridays for future Russia, già arrestato in passato dalla polizia per le sue proteste dirette per lo più contro il gigante energetico Gazprom, in questi giorni si è sposato, e aveva con sé due biglietti per l’Armenia, suo paese natale: il viaggio è stato rimandato, il matrimonio trasformato in una protesta contro la guerra e la propaganda locale “che viene fatta per giustificare la guerra in Ucraina. Mi rivolgo a voi, che vi siete posti dalla parte degli occupanti fascisti. Non c’è perdono per questo. Le truppe devono deporre le armi: questa non è più politica. Questo è un crimine”.
Una politica, e un crimine, che si gioca anche e soprattutto per questioni legate a fonti energetiche come il gas, dal quale buona parte dell’Europa dipende e come il nucleare. “Minacciano di iniziare una guerra atomica. Sono completamente impazziti? prima che sia troppo tardi, bisogna fare qualcosa”.
L’ennesima dimostrazione di quanto vi sia una stretta, imprescindibile, interdipendenza tra le questioni climatiche, di genere, per la pace la avremo il 25 marzo, data in cui è indetto il prossimo global strike per il climate change da parte di Fridays for future: in tutto il mondo, Russia compresa, i giovani scenderanno in piazza e questa volta a Mosca e San Pietroburgo la protesta sarà una sola.
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