L’esperienza di guida di un’auto a idrogeno dimostra che non c’è nulla di diverso rispetto al possesso di un mezzo alimentato a benzina o diesel o gpl. Se non a livello culturale.
Per capire quanto può essere complesso guidare un’auto a idrogeno, e se farlo può cambiare le proprie abitudini quotidiane, gli esperti cui rivolgersi lavorano presso l’Istituto per innovazioni tecnologiche di Bolzano. È in Trentino-Alto Adige l’unica stazione di rifornimento d’Italia per automobili e autobus. L’esperienza pluriennale fin qui maturata ha dimostrato che guidare un mezzo a idrogeno è come guidare un qualsiasi tipo di veicolo a benzina, diesel o gpl: in linea di massima, l’autonomia è la stessa, la modalità di rifornimento la medesima e il costo equivalente.
Come funziona il rifornimento di un’auto a idrogeno
Innanzitutto, il rifornimento di un’auto a idrogeno è simile a quello per il gpl, “bastano quattro minuti circa”, spiega il fleet manager dell’Istituto Daniel Boni. “C’è un bocchettone standard a incastro per auto e per mezzi pesanti, in quest’ultimo caso con un flusso maggiore si sfrutta una pressione a 350 bar piuttosto che a 700”. Non esiste alcun accorgimento da usare o attrezzatura da indossare: “La continua comunicazione bidirezionale a infrarossi tra il veicolo e la stazione garantisce la massima sicurezza: il rifornimento è autorizzato solo se c’è piena coincidenza tra il bocchettone e l’ingresso”.
Il pieno costa 13,70 euro, Iva inclusa, e con 1 chilo di idrogeno si percorrono circa 100 chilometri. “Considerato un veicolo a benzina dalle stesse caratteristiche, si può dire che il costo è equivalente”, precisa Boni, che rimarca “negli anni abbiamo deciso di lasciare invariato il costo del rifornimento, puntiamo a coprire solo i costi di produzione”.
Il noleggio e l’esperienza di guida
L’Istituto di Bolzano oggi mette a disposizione una flotta di auto a noleggio composta da dieciHyundai Nexo, cinque Hyundai ix35 di prima generazione e tre Toyota Mirai sempre di prima generazione. Le Nexo sono in leasing mentre le altre di proprietà dell’Istituto, acquistati grazie ai fondi europei del progetto LIFEalps. I mezzi “sono usati da enti pubblici e privati come da singoli utenti”, prosegue Boni, “abbiamo forme per il weekend come noleggi di lungo periodo. Talvolta i dipendenti le usano per le trasferte, altre per coprire il tragitto casa-lavoro in car pooling”.
In media garantiscono un’autonomia di 300/350 chilometri, fino a 550 la Nexo, a seconda anche del tipo di guida e del percorso, se su strada, in collina o in autostrada. “I nostri clienti possono scegliere a parità di costo il tipo di rifornimento: il servito, nei nostri orari di apertura, o il self. Abbiamo ricevuto una delega provinciale che ci permette di formare i conducenti e garantire loro piena autonomia”.
Rischi e paure
Per scongiurare qualsiasi problema, inclusi quelli legati all’infiammabilità del vettore, “le stazioni sono dotate di molti sistemi di sicurezza, inclusa la sensoristica che si attiva al minimo segnale”. Le auto possono sostare nei parcheggi sotterranei: “Anche in caso di perdite, eventualità comunque remota, l’idrogeno è molto più leggero dell’aria e tende a disperdersi velocemente, senza concentrarsi a terra e provocare incendi”. In caso di malfunzionamenti, l’Istituto ha previsto un monitoraggio remoto garantito h24 da un tecnico specializzato.
L’idrogeno erogato “è rinnovabile, generato separandolo dall’acqua con un processo di elettrolisi alimentato da energia idroelettrica e certificato da enti terzi”, spiega Boni. Il sito di produzione è collegato al distributore, “il vettore non è trasportato dunque la logistica è a impatto zero”. È un “ciclo chiuso”, specifica, in cui il dispositivo di accumulo assicura la disponibilità dell’idrogeno prodotto durante le notte. “Lo stoccaggio in forma gassosa avviene a pressioni più elevate di quelle per il rifornimento, a 500 o 1.000 bar a seconda che sia per auto o mezzi pesanti”.
Ultimamente le iniziative industriali si stanno moltiplicando, facendo ben sperare nella crescita del vettore di cui si parla e su cui si fa ricerca da oltre venti anni. “Walter Huber, fondatore del centro, è stato lungimirante. È stato lui a spingere a livello politico ed è stato lui a pensare un ecosistema a idrogeno circolare che va dal produttore al consumatore”. aggiunge Boni. C’è da dire, riflette, “che da parte dell’offerta c’è poca scelta: sono solo due al momento le case costruttrici di riferimento”.
Sicuramente, “i prezzi dei veicoli di seconda generazione sono calati a fronte di un miglioramento delle prestazioni, della tecnologia di bordo, della sicurezza e dell’autonomia del mezzo”, conclude. Perché la percentuale di auto a idrogeno circolanti possa aumentare i prezzi dovranno ulteriormente calare, anche per effetto delle economie di scala, e ci sarà bisogno di un cambio di passo culturale. Senza abbattere timori e pregiudizi non si può abbracciare nessuna novità, nemmeno quella tecnologica.
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