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Hokusai, Hiroshige, Utamaro a Milano Dedicata ai tre maestri assoluti dell’ukiyoe (“immagini del mondo fluttuante”), la mostra presenta un’ampia selezione di opere, tra le stampe più rilevanti dei tre artisti, e racconta le diverse declinazioni dei temi ricorrenti maggiormente rappresentati: paesaggi e scorci naturalistici, ambientazioni cittadine, eleganti e sensuali figure femminili. “Hokusai, Hiroshige, Utamaro. Luoghi
Dedicata ai tre maestri assoluti dell’ukiyoe (“immagini del mondo fluttuante”), la mostra presenta un’ampia selezione di opere, tra le stampe più rilevanti dei tre artisti, e racconta le diverse declinazioni dei temi ricorrenti maggiormente rappresentati: paesaggi e scorci naturalistici, ambientazioni cittadine, eleganti e sensuali figure femminili.
“Hokusai, Hiroshige, Utamaro. Luoghi e volti del Giappone che ha conquistato l’Occidente” – questo il titolo per intero della mostra che apre il 22 settembre a Palazzo Reale a Milano – è curata dalla professoressa Rossella Menegazzo, docente di Storia dell’Arte dell’Asia Orientale dell’Università degli Studi di Milano.
L’ukiyoe è forse la produzione artistica giapponese più nota, studiata ed esposta nel panorama internazionale. È stata il punto di partenza di mode e movimenti di fine Ottocento, esercitando un grande fascino sul mondo dell’arte europea, al punto da influenzare nomi del calibro di Manet, Monet, Van Gogh, Degas, Toulouse-Lautrec e perfino la produzione fotografica fino al Novecento.
Scrive Rossella Menegazzo:
Il termine ukiyoe è inizialmente legato al pensiero buddhista che insegnava il distacco dalle cose terrene in quanto transitorie, illusorie e d’impedimento al raggiungimento dell’illuminazione. Fu con lo sviluppo urbano e della vita cittadina a partire dal Seicento che l’interpretazione del termine cambiò, esprimendo la riscoperta dei piaceri da ricercare e da godere proprio in quanto fuggevoli, impermanenti. Il testo ‘Racconti del mondo fluttuante’ (Ukiyo monogatari) di Asai Ryōi (1612‐1691), scritto nel 1660, segnò il punto di svolta in questo senso e nel giro di pochi anni il termine ukiyo andò a indicare tutto ciò che era di moda o tsū, con una leggera connotazione anche erotica.
Ci fu dunque una fioritura del mercato dell’immagine in epoca Edo sotto il potere degli shogun Tokugawa, durante un periodo di pace di oltre duecentocinquant’anni.
Il termine ukiyo, indicante dunque il senso di fugacità provocato dall’attaccamento ai beni terreni e quotidiani a cui il saggio doveva e voleva rifuggire, nel Seicento viene usato valorizzare e desiderare proprio quei piaceri effimeri e fuggevoli, “fluttuanti”, in cui la nuova società giapponese amava perdersi e rinnovarsi. Le feste, la moda, il mondo dello spettacolo, dell’amore mercenario, la passione clandestina si sviluppavano ruotando intorno al teatro popolare kabuki e alle “città senza notte”. Sono i quartieri di piacere come il famoso Yoshiwara, dove le grandi cortigiane creavano nuovi gesti e comportamenti e un’eleganza vistosa e opulenta, basata sull’intrattenimento, sull’essere alla moda, sull’attrarre e respingere al tempo stesso. Le case di piacere oltre ad essere ritrovo di gaudenti in cerca di divertimenti e amori fugaci, erano veri e propri salotti dove si incontravano ricchi mercanti, attori, letterati, artisti, editori e aristocratici che in segreto cercavano di liberarsi da quel rigore formale che l’esistenza quotidiana imponeva loro.
I soggetti più richiesti infatti erano le località e i paesaggi celebri, i temi alla moda e i volti noti di beltà femminili e attori kabuki, luoghi e volti del Giappone che hanno già conquistato l’Occidente da metà Ottocento. Un fascino che permane ancora oggi.
La mostra ricostruisce attraverso autentici capolavori l’immaginario di questi tre maestri che contrapposero il piacere in ogni sua forma all’etica del samurai: Katsushika Hokusai (1760‐1849), Utagawa Hiroshige (1797‐1858) e Kitagawa Utamaro (1753‐1806).
Sono esposte oltre 200 xilografie policrome e libri illustrati provenienti dalla collezione dell’Honolulu Museum of Art, che possiede una vastissima raccolta di opere d’arte giapponese, che mettono in luce le peculiarità tecniche, l’abilità e l’eccentricità dei singoli artisti.
Le immagini rappresentano cascate, ponti, il monte Fuji, fiori, uccelli, pesci, insetti (il genere kachōga che include tutta la produzione di immagini di natura); poesie illustrate, i volti delle bellezze femminili (bijinga) più agognate – cortigiane, geisha, donne dei quartieri di piacere e delle case da tè più rinomate, giovani socialite emblema di bellezza ed eleganza –, ritraggono anche gli attori di teatro kabuki (yakushae) più famosi, divi sul palcoscenico e dietro le quinte colti di sorpresa durante i preparativi. Esprimono le mode del momento, mostrano i costumi, i tessuti, i motivi decorativi, le acconciature, il trucco, gli accessori, i modi di muoversi e di atteggiarsi considerati iki, i divertimenti e i passatempi, le festività e le ricorrenze più importanti, i luoghi e le località più frequentate.
Forse, i più sensibili potranno ravvisarvi anche l’inquietudine di un popolo i cui valori stavano cambiando profondamente rispetto ai secoli precedenti. E chissà che non sia anche questo uno dei componenti del fascino che esercitano su di noi.
La mostra mette inoltre in luce un aspetto un po’ meno noto, ovvero le esigenze del mercato dell’immagine dell’epoca che richiedeva di trattare specifiche tematiche e soggetti, creando talvolta anche rivalità, oltre che tra gli artisti, tra gli stessi editori che producevano le opere.
Il percorso espositivo è suddiviso in cinque sezioni tematiche: Paesaggi e luoghi celebri – Hokusai e Hiroshige; Tradizione letteraria e vedute celebri: Hokusai; Rivali di “natura”, Hokusai e Hiroshige; Utamaro: bellezza e sensualità; I Manga: Hokusai insegna.
Il catalogo Skira comprende il catalogo e le schede delle opere, oltre al glossario, alla tavola dei formati e delle misure delle stampe, a una nota sulla tecnica e tradizione della xilografia policroma in epoca Edo, alle biografie degli artisti e alla bibliografia.
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