Una poetica e struggente allegoria della convivenza tra l’uomo e la natura. Una favola per tutti, con più di una morale. Un racconto mitico e, insieme, un ritratto malinconico. Guardando Honeyland si ha l’impressione di essere di fronte a tutto questo e, al tempo stesso, di entrare in una dimensione sconosciuta. Un luogo fantastico e fuori dal tempo.
Invece Honeyland è uno splendido pezzo di cinema verità. Un documentario, ben ancorato alla realtà e girato da due registi al debutto, in uno sperduto villaggio della Macedonia del Nord. Dopo essere stato accolto con entusiasmo dalla critica internazionale, aver fatto manbassa di premi importanti, registrato primati agli Oscar 2020, il film ora arriva anche in Italia in versione originale, sottotitolata. Distribuito da Stefilm, Honeyland debutterà il 7 ottobre al cinema Anteo di Milano, per poi approdare a Roma, Treviso, Firenze e in altre sale e città selezionate, che verranno aggiornate da qui a metà dicembre.
L’ultima allevatrice di api selvatiche
Tutto ha avuto inizio quando Tamara Kotevska e Ljubmir Stefanov, partiti per fare ricerche per un documentario ambientale, si sono fortuitamente imbattuti in Hatidze, una delle ultime allevatrici di api selvatiche in Europa.
Affascinati da questo personaggio incredibile, i registi l’hanno seguita per tre anni, tra i cigli rocciosi dei Balcani e luoghi cristallizzati nel tempo. Con l’aiuto di un paio di operatori hanno girato un totale di 400 ore, dalle quali hanno saputo trarre un piccolo miracolo cinematografico di 85 minuti.
Il riscontro è stato eccezionale e ha portato Honeyland a fare incetta di premi e riconoscimenti in tutto il mondo, arrivando persino a segnare due primati ai premi Oscar.
Accolto con successo nel suo Paese di origine e dalla critica internazionale, Honeyland è uno di quei film difficili da incasellare e in grado di raccontare tanto con “poco”. Non è un film sulle api o che analizza nello specifico il pericolo che oggi incombe su queste preziose custodi della biodiversità, ma una storia a più strati e dalle tante sfumature, che parla del delicato equilibrio tra uomo e natura e delle conseguenze provocate, con un effetto domino, dall’avidità umana e dallo sfruttamento delle risorse naturali.
Ma la bellezza di Honeyland è anche il frutto di una profonda intimità, costruita dalla piccola troupe con la protagonista. Un rapporto in grado di generare uno sguardo delicato sulla sfera più privata di Hatidze, attraverso i dialoghi con l’anziana madre e la narrazione discreta dei suoi gesti quotidiani. Basta poco per aprire un mondo di riflessioni sul passare del tempo, sulle occasioni mancate, sui desideri profondi, sul valore della resilienza, sulla solitudine e anche sull’eterna fatica di doversi misurare con vicini di casa poco rispettosi e molesti.
Un mondo interiore che si riflette in un paesaggio quasi incantato, catturato da una fotografia illuminata solo dalle luci naturali di giorno e dal lume di una candela di notte. Immagini spesso silenziose, in grado di parlare da sole e di immortalare uno stile di vita ormai quasi scomparso.
Pochi documentari hanno offerto un’allegoria così intimamente esasperante e metodicamente dettagliata delle meraviglie della terra devastate dalle conseguenze dell’avidità umana.
Hatizde è una donna di origine turca che vive in un remoto villaggio della Macedonia del Nord, raccogliendo il miele selvatico in una pacifica e armoniosa simbiosi con le api. La sua regola è “prendere la metà e lasciare l’altra metà”. Un modo semplice per garantire la sopravvivenza delle api e al tempo stesso la propria.
Depositaria di un’antica tradizione di apicoltori, tramandata di generazione in generazione, Hatidze abita in una piccola casupola di pietra, senza corrente elettrica né acqua, e trascorre le sue giornate occupandosi dell’anziana madre malata e delle sue arnie. Gli unici contatti col mondo esterno sono i suoi viaggi al mercato della capitale Skopje, dove si reca a vendere il prezioso miele, e qualche festa di paese, dove antiche tradizioni si mescolano allo zucchero filato.
La semplice filosofia di Hatidze “prendi la metà, lascia la metà” ha definito il cuore del film e ci ha guidato durante le riprese, perché questo approccio non vale solo con le api e il loro miele, ma con tutte le risorse naturali.
Tamara Kotevska, regista di Honeyland
Tutto cambia quando, da un giorno all’altro, una famiglia nomadecon sette bambini e cento mucche si stabilisce nel villaggio, a pochi passi dalla capanna di Hatidze.
La novità viene accolta con ingenua curiosità e apertura dalla donna, che presto familiarizza coi bambini e mostra al capofamiglia Hussein i rituali del suo lavoro con le api. Non passerà molto, però, prima che l’uomo, spinto da contingenze economiche e da mercanti senza scrupoli, tenterà di farne un business personale, dimenticando il principio base della condivisione e intaccando così il precario equilibrio a lungo preservato dalla donna. Uno spunto narrativo eccezionale, in grado di aggiungere alla storia il conflitto necessario a portarla a compimento, in modo del tutto naturale.
Un’illuminante favola neorealista. Una storia commovente di lotta, resilienza e cambiamento.
Diretto da due esordienti, ambientato in un luogo ai confini del mondo, in una lingua poco conosciuta e girato da un piccolissima troupe, Honeyland ha ottenuto risultati eccezionali. La sua conquista più importante è arrivata oltreoceano, alla mecca del cinema, ovvero, agli Oscar. Qui non solo il film ha messo a segno una storica doppietta, con le candidature a Miglior documentario e a Miglior film internazionale, ma ha valicato anche la linea di confine che da sempre divide il cinema di finzione da quello documentaristico. Per la prima volta, infatti, un documentario è stato inserito nella cinquina dedicata ai film in lingua straniera (che dal 2020 si chiama appunto Miglior film internazionale). Un risultato che potrebbe aprire la strada a un nuovo modo di concepire il genere.
Ma Honeyland ha rappresentato un piccolo caso anche in patria, dove è risultato il secondo film locale di maggior successo al botteghino nel 2019 ed è stato il secondo film nord-macedone a concorrere per un Oscar, dopo Before the Rain di Milcho Manchevski, nominato nel 1995. Una nota molto positiva, che si è aggiunta ad un’annata particolarmente fortunata per l’industria cinematografica macedone, che ha visto altri due film affermarsi a livello internazionale: Dio è donna e il suo nome è Petrunya e Willow.
Benedetto da questa lunga scia di successi, ora Honeyland prosegue la sua corsa anche in Italia. Un’occasione preziosa per godere su grande schermo della bellezza delle immagini e di una storia insolita e lontana, ma profodamente legata al nostro tempo.
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