Le opere di Hou Hsiao-Hsien, lontane dagli stereotipi cinematografici hollywoodiani, sono una lente pura attraverso cui osservare la società cinese.
Negli ultimi anni i festival internazionali cinematografici hanno
riservato uno spazio sempre maggiore alle pellicole indipendenti
provenienti da paesi dell’est europeo e asiatici.
In particolare la Cina si è sempre dimostrata poco propensa
a favorire i contatti culturali con l’estero, e ancora oggi una
rigida censura continua a filtrare le produzioni artistiche e
letterarie nazionali.
Nonostante questo le opere di registi come Hou Hsiao-Hsien sono
riuscite a valicare le frontiere nazionali e a proporsi anche
all’estero. Hou Hsiao-Hsien, regista taiwanese, ha ricevuto
parecchi riconoscimenti dalla critica internazionale, anche se il
suo nome non è molto noto al grande pubblico: i suoi film
non sono mai stati distribuiti su larga scala probabilmente per via
di una tecnica di regia poco adatta al gusto occidentale.
I film di Hou, soprattutto i primi, sono contraddistinti da riprese
in campo lungo e dal minimalismo della narrazione, elementi che non
consentono allo spettatore di instaurare un legame emozionale
diretto con i personaggi, se non compiendo un notevole sforzo di
immedesimazione nella “normalità” di un mondo tanto diverso
dal nostro.
Piuttosto che descrivere situazioni eclatanti o prestare attenzione
alla narrazione degli eventi, si concentra sulla rappresentazione
dei mille aspetti della vita quotidiana dei protagonisti. Hou non
racconta storie singolari, ma esemplifica con esempi “umani” uno
stile di vita, quello della sua Cina, servendosi di immagini
delicate, raffinate e di accostamenti di colori che evocano
sensazioni profonde.
Le opere di Hou, lontane dagli stereotipi cinematografici
hollywoodiani e figli di un’arte rappresentativa che non accetta di
adattarsi al gusto del pubblico, costituiscono una lente pura
attraverso cui osservare la società cinese. Tra i suoi
titoli più noti (solitamente reperibili in versione
originale sottotitolata in inglese), Good Men, Good Women (1995) e
Goodbye, South, Goodbye (1996) sono quelli ambientati nella Cina
contemporanea, mentre la pellicola più famosa è
Flowers of Shanghai (1998), dedicata ai “fiori”, cioè le
donne, di un bordello di Shangai di fine ‘800. Nel 2001 ha
presentato al festival di Cannes Millennium Mambo, delicata storia
d’amore tra giovani nella Taipei dei giorni nostri.
Daniele Cerra
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