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Didjeridu, i maestri del “bastone suonante”
Simbolo dell’aboriginalità, il didjeridu – bastone suonante – è senz’altro lo strumento principe degli nativi australiani
Simbolo dell’aboriginalità, il didjeridu – bastone suonante – è senz’altro lo strumento principe degli nativi australiani, il cui uso è tradizionalmente riservato agli uomini. Si tratta di un tronco d’albero, generalmente eucalipto, di varie dimensioni e lunghezza, svuotato dalle termiti che si nutrono delle sostanze organiche presenti nel midollo, ripulito dagli Aborigeni con ceneri ardenti, e decorato con disegni di argilla e ocra, usando complessi simboli totemici.
Didjeridu, come si suona
Si suona facendo vibrare le labbra e utilizzando la tecnica della respirazione circolare. Durante la performance, il musicista scandisce il tempo usando contemporaneamente un paio di sticks (bastoni di legno di varia grandezza e diversa provenienza vegetale, tenuti in ciascuna mano i quali, vengono percossi l’uno sull’altro in punti diversi della loro lunghezza) o picchiettando le dita su un lato dello strumento. Con una tecnica simile a quella del ventriloquo, egli emette dei borborigmi sul quale contemporaneamente modula ritmi e melodie di diverse tonalità, imitando al tempo stesso richiami di animali del bush e del deserto: kookaburra, dingo, possum o addirittura il saltellare del canguro.
Il didjeridu può raggiungere la lunghezza di oltre tre metri, ma in questo caso è destinato alle grandi cerimonie, come quella di Julunggui (Rainbow Serpent), il mitico Serpente Arcobaleno. Dobbiamo a Basedow una descrizione particolarmente precisa e al contempo curiosa, del modo in cui gli Aborigeni del Golfo di Carpenteria suonano il didjeridu. “La canna è imboccata nell’estremità più stretta, mentre il musicista fa vibrare le labbra “borbottando” o “sputando” (sputter) una serie indistinta di parole come: tidjarudu, tidjarudu, tidjaruda. Il ronzio ritmato ed ininterrotto del corno, col suo effetto lamentoso nella notte, si accompagna ad un canto che pretende di imitarlo: Didnodiddo, didnadu, didnadiddo, didnadu…didnarib“.
Non è stato ancora localizzato con precisione il suo luogo d’origine ma certamente il didjeridu proviene dall’Arnhem Land (Northern Territory). Didjeridu è il nome dato dagli europei a questo strumento aerofono ad ancia labiale, anche se in alcune regioni è conosciuto con nomi diversi. Se ne contano almeno quaranta di uso corrente (yedaki, mago, yraki, kanbi, magu, ihambibilg, wonga, yurlungurr), ma quello più comune è yidaki.
Il didjeridu in altre culture
Introdotto negli ambiti musicali più disparati, è ormai adottato anche da molti musicisti occidentali – anche se la cosa non è accolta felicemente da tutti gli Aborigeni – ma la maestrìa dei nativi è ineguagliabile.
David Blanasi, discendente della tribù Mayali (Northern Territory), è stato senz’altro uno dei più importanti suonatori di didjeridu. Nato nel 1930 nei pressi di Katherine, ha fondato il White Cockatoo Group e dal 1952 al 1999 si è esibito nei teatri più prestigiosi del mondo. Rispetto ad alcuni musicisti aborigeni più inclini alla contaminazione, Blanasi non aveva subìto influenze moderne e il suo modo di suonare è sempre stato fortemente radicato nella tradizione. Un virtuoso del “bastone suonante” che possedeva una eccezionale memoria musicale. Godeva di grande rispetto e autorità, e tra la sua gente era considerato uno degli ultimi depositari delle conoscenze ancestrali. Oggi, si parla di lui al passato, anche se in realtà, non è stato ancora possibile accertarne la presunta morte. Nell’agosto del 2001, infatti, Blanasi è misteriosamente scomparso dalla sua comunità e da quel momento nessuno ha più avuto notizie di lui.
Tuttora, un alone di mistero circonda la sua scomparsa. Mark Atkins, discendente della tribù Yamitji (Western Australia), è senz’altro uno dei musicisti Aborigeni più conosciuti per la sua versatilità che lo ha messo al servizio di artisti di calibro internazionale. Oltre a suonare il didjeridu è anche percussionista e pittore. Ha inciso numerosi dischi e fondato il Kooriwadjula ensemble. Atkins, che si è esibito anche con la London Philharmonic Orchestra, ha dato vita insieme a suo cugino Janawirri Yiparrka, ad Ankala, una band molto seguita in Australia. Anche Diakapurra Munyarryun, famoso per aver fatto risuonare il suo didjeridu alla cerimonia d’apertura dei giochi olimpici di Sydney, possiede una tecnica impeccabile e il suo stile è molto legato alla tradizione.
Un marcatore di nuovi territori, uno a cui piace esplorare le possibilità del suo strumento, soprattutto nell’ambito del jazz moderno, è invece Alan Dargin. Nato nell’Arnhem Land, ha iniziato a suonare il didjeridu all’età di 5 anni. I suoi dischi sono un mix di musica tradizionale e risonanze moderne. Infine, un posto speciale tra i maestri moderni del “didge” spetta a David Hudson, discendente della tribù Tjapukai/Guguyalangi (Queensland) che, oltre ad essere un bravissimo danzatore, pittore, attore e prolifico artista multimediale, è anche co-fondatore della compagnia Tjapukai Dance Theatre. Hudson ha raggiunto una profonda conoscenza della musica e dei codici tradizionali dopo una lunga e rigida disciplina tribale.
Attraverso l’insegnamento della danza e della musica ha avvicinato migliaia di giovani Aborigeni alla cultura nativa. Il suo lavoro viene considerato “contemporaneo” ma con forti richiami alla tradizione. E’ stato spesso in tourneè in Europa, Usa e Asia, ha inciso numerosi dischi per “solo” didjeridu e collaborato con musicisti occidentali.
di Maurizio Torretti
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