Idrogeno nel siderurgico: a Tenaris Dalmine via alla sperimentazione

Dalla collaborazione tra Tenaris, Snam e Tenova una possibile svolta per la decarbonizzazione nel settore hard to abate per antonomasia.

  • Iniziata la sperimentazione di 6 mesi presso l’impianto Tenaris di Dalmine che prevede l’impiego di idrogeno nella lavorazione dell’acciaio.
  • Il settore siderurgico fa parte dei cosiddetti hard to abate, cioè dove è più complicato tagliare le emissioni per la transizione energetica.
  • Al contempo, è un settore che pesa moltissimo nell’economia italiana, ed europea in generale: il passaggio all’idrogeno sarebbe una vera svolta.

Un impianto siderurgico, quello di Tenaris Dalmine, alimentato a idrogeno. Sembra ancora una ipotesi futuristica, soprattutto in alcune realtà da cui non si riesce a uscire, ma proprio in questi giorni ha preso il via la prima sperimentazione prevede l’impiego di idrogeno in un impianto per la lavorazione di prodotti in acciaio. La sperimentazione nasce dalla collaborazione tra Tenaris, azienda leader nella produzione di tubi e servizi per l’energia, Snam, uno dei principali operatori europei di infrastrutture energetiche, e Tenova, azienda che ha nello sviluppo e fornitura di soluzioni sostenibili per la transizione energetica ed ecologica dell’industria metallurgica il proprio core business, e sarà effettuato presso lo stabilimento di Tenaris Dalmine, in provincia di Bergamo.

Il futuro si sperimenta a Dalmine, per 6 mesi 

Il progetto avrà una durata iniziale di 6 mesi e intende valutare le prestazioni e l’affidabilità dell’utilizzo dell’idrogeno nell’industria siderurgica e, più in generale, nei settori hard to abate, come si definiscono quelli maggiormente difficili da decarbonizzare, proprio come la siderurgia. L’obiettivo è utilizzare idrogeno prodotto direttamente nello stabilimento, e che verrà usato per alimentare un bruciatore recentemente sviluppato da Tenova (100 per cento H2 ready) installato in un forno di riscaldo per la laminazione a caldo di tubi senza saldatura.

Il test contribuirà anche a definire e implementare linee guida sulla sicurezza e procedure di gestione dell’impianto, dando così avvio allo sviluppo di soluzioni integrate che possano ridurre in modo sostanziale le emissioni di CO2 dei processi produttivi delle industrie hard to abate.

Tenaris Dalmine metterà a disposizione il sito e il forno di riscaldo; Snam, valorizzando le proprie competenze nelle tecnologie collegate all’idrogeno e nel trasporto di molecole, metterà un sistema per l’elettrolisi alcalina a disposizione di Tenaris Dalmine, che lo opererà per produrre l’idrogeno necessario al test. Tenova, infine, completerà la value chain del processo, fornendo bruciatori specificamente realizzati per essere alimentati con idrogeno.  Il progetto ha previsto anche il contributo di Techint Engineering & Construction, in particolare nella progettazione, nello sviluppo dell’analisi dei rischi e nella verifica degli standard di sicurezza.

Secondo Michele Della Briotta, presidente di Tenaris in Europa, “con questo progetto stiamo verificando la fattibilità e creando le competenze per utilizzare l’idrogeno come combustibile verde nei nostri processi industriali; ciò contribuisce agli obiettivi globali di Tenaris di ridurre la propria impronta di carbonio del 30 per cento entro il 2030”. Più in generale, si tratterebbe, in caso di successo della sperimentazione, di un grande passo avanti verso l’impiego dell’idrogeno senza emissioni all’interno di stabilimenti produttivi industriali o di altri contesti applicativi.

L’impatto dell’industria siderurgica 

L’industria siderurgica è fondamentale per l’economia dell’Europa, dove si contano circa 500 impianti attivi, e anche italiana, rientrando tra i principali comparti produttivi nazionali. Nel 2022, secondo i dati di Federacciai, solo nel nostro Paese si è registrata una una produzione di 21,599 milioni di tonnellate: l’Italia è il secondo produttore siderurgico in Europa, dopo la Germania e prima della Francia, con un terzo dell’acciaio italiano che viene prodotto a Taranto e Piombino. Il giro d’affari della filiera siderurgica italiana è stato di 70 miliardi di euro, grazie anche alla crescita in settori come le costruzioni e gli elettrodomestici, occupando oltre 30mila lavoratori.

L'ex Ilva di Taranto
L’ex Ilva di Taranto © Flickr/Mafe De Baggis

Allo stesso tempo però il siderurgico rappresentato forse il settore hard to abate per antonomia, quello in cui abbandonare il fossile è più complicato: in Italia lo dimostra plasticamente il caso dell’ex Ilva di Taranto, ora affidato ad Acciaierie d’Italia, di cui la Corte di giustizia dell’Unione europea solo pochi giorni fa ha chiesto la chiusura degli impianti, nel caso in cui la valutazione di impatto sulla salute presenti ancora gravi rischi per la salute come è stato per decenni. E come, forse ha continuato a essere anche dopo il passaggio ad Acciaierie d’Italia, dal momento che è stata da poco aperta dalla Procura di Bari una inchiesta che riguarda una presunta falsificazione di dati relativi alle emissioni di CO2 riconducibili alle attività di Adi negli anni più recenti. Forse una riconversione totale di questo e degli altri impianti siderurgici potrebbe finalmente arrivare a coniugare diritto al lavoro e diritto alla salute e a un ambiente salubre.

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