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Ikal Angelei. Dobbiamo offrire alle comunità indigene le conoscenze per difendersi
La vincitrice del Goldman prize Ikal Angelei è in Italia per il Festival per la Terra. L’abbiamo intervistata per conoscere la situazione dei popoli della valle dell’Omo dopo la costruzione della più grande diga africana.
Nel 2012 l’attivista africana Ikal Angelei è stata insignita del Goldman environmental prize, la più alta onorificenza che dal 1990 premia coloro che si dedicano alla salvaguardia della natura. La giovane donna è stata premiata per la sua lotta contro la realizzazione della gigantesca diga Gibe III e la canalizzazione del lago Turkana, situato tra Kenya ed Etiopia. L’opera minacciava la sopravvivenza di quasi 400mila persone che vivono lungo il fiume Omo, il principale emissario del lago Turkana. La diga avrebbe infatti alterato irrimediabilmente il ciclo naturale delle esondazioni del fiume, con gravi conseguenze per la pastorizia e l’agricoltura.
La condanna del lago Turkana
Il lago Turkana è inoltre patrimonio dell’umanità, nei pressi vi sono stati ritrovati alcuni dei più antichi fossili umani mai rinvenuti, risalenti a circa due milioni di anni fa, e ospita una ricca biodiversità. Per proteggere il lago e i suoi abitanti, non consultati per la realizzazione della diga, nel 2008 Ikal Angelei ha fondato l’associazione Friends of Lake Turkana (FoLT) con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica. Nonostante la battaglia di Angelei la diga è stata costruita, realizzata dal colosso delle costruzioni italiano Salini-Impregilo, e inaugurata nel gennaio 2015.
Ikal Angelei al Festival per la Terra
Angelei è stata invitata al Festival per la Terra, che si svolgerà dal 16 al 18 novembre all’Università Ca ‘Foscari di Venezia. La manifestazione, alla sua prima edizione e nata da un’idea dell’artista Maria Rebecca Ballestra, rappresenta un’opportunità per discutere di nuovi modelli realizzabili per vivere in maniera sostenibile sul pianeta, grazie al contributo di studiosi, ricercatori, creativi e attivisti ambientali. Per l’occasione abbiamo chiesto a Ikal Angelei come stanno i popoli della valle dell’Omo.
A distanza di otto anni dalla fondazione del gruppo Friends of Lake Turkana, qual è la situazione del lago Turkana e delle persone che abitano lungo il fiume Omo?
La situazione continua ad essere immutata per quanto riguarda i loro mezzi di sostentamento e l’ambiente naturale, ovviamente fatta eccezione per l’impatto dei cambiamenti climatici. I popoli della valle sono tuttavia più consapevoli dei piani del governo di aumentare lo sviluppo dell’area che li riguardano e sono a conoscenza di possibili strategie per resistere, nonostante il regime autoritario presente in Etiopia.
In molte aree del mondo gli interessi di piccole comunità vengono calpestati in nome del progresso e del profitto. Come si possono difendere i diritti delle minoranze dalla costruzione di opere dall’elevato impatto ambientale?
Informando e coinvolgendo le comunità interessate poiché non possiamo difenderle senza il loro aiuto, anche se a volte non è semplice. Gli investimenti per la realizzazione di grandi opere sono solitamente internazionali, è importante lavorare con i partner dai paesi da cui arrivano questi investimenti per dare risalto globale alle lotte indigene.
Che impatto ha avuto la costruzione della diga Gibe III sulla biodiversità locale?
Il flusso del fiume Omo al lago Turkana è fondamentale per l’intero ecosistema. La diga lo ha modificato distruggendo il flusso di nutrienti e di acqua dolce che bilancia la salinità del lago e da cui dipendono uomini, animali e piante. L’aumento della salinità dell’acqua avrà inevitabilmente impatti sulla fauna e sulla flora e modificherà le abitudini delle popolazioni che vivono in prossimità del lago. Non sappiamo ancora se i pesci saranno in grado di sopravvivere a questi cambiamenti.
Quando hai deciso che avresti dedicato la tua vita alla tutela dell’ambiente e delle piccole comunità?
Questa passione è iniziata quando ero ragazzina e frequentavo il liceo. La mia decisione si è basata sulle persone, la lotta per le risorse naturali innesca conflitti e nessuno sviluppo umano può avvenire quando ci sono conflitti in corso. Quando mi sono resa conto che l’assenza di educazione impedisce alle comunità indigene di svilupparsi, ed è utilizzata contro di loro per impedirgli di autodeterminarsi, ho deciso di dedicare la mia vita a proteggere l’ambiente e le persone. Per rendere reale la parola “sostenibile” dobbiamo offrire alle comunità le conoscenze e gli strumenti per difendere sé stesse.
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