Negli Stati Uniti è stato proposto l’inserimento della farfalla monarca tra le specie a rischio dell’Endangered species act per aumentarne la protezione.
Il cervo in Italia è una specie in pericolo come gli orsi e i lupi
Il cervo deve far fronte alle problematiche che sono appannaggio degli animali selvatici in Italia. Per la sua sopravvivenza è tempo di agire. E in fretta
- I cervi nel nostro paese possono diventare una specie a rischio come altri animali selvatici.
- Bracconaggio e caccia indiscriminata stanno diminuendo, infatti, il numero degli esemplari presenti sul territorio.
- La vicenda del cervo Bambotto, beniamino di un paese di montagna, ucciso da un giovane cacciatore, ne è la testimonianza più probante.
- Cosa si sta facendo in Italia per preservare i cervi? Lo abbiamo chiesto agli esperti.
Il cervo nel nostro paese potrebbe diventare presto un animale a rischio. E l’uccisione di Bambotto, che era il beniamino e il simbolo del paese che lo ospitava da piccolo, rappresenta la punta di un iceberg. Eppure i cervi erano un tempo ampiamente diffusi nel nostro paese. La popolazione è stata, però, oggetto di un intenso prelievo, al punto che alla fine degli anni ’40 si trovavano esemplari solo in alcune località alpine al confine con Austria e Slovenia, presso il Bosco della Mesola in provincia di Ferrara e in Sardegna. A partire dagli anni ’50 sono state avviate numerose operazioni di reintroduzione che hanno consentito a questo ungulato di ritornare in molte delle aree dove una volta era presente maggiormente. Gli interventi sono stati effettuati principalmente all’interno delle aree protette. Oggi il cervo è presente su tutto l’arco alpino e in un’ampia porzione dell’Appennino settentrionale, con nuclei residenti nell’area del Pollino e della Sila. La morte di Bambotto, ucciso dalla fucilata di un giovane cacciatore perché mostrava “aggressività”, sta a dimostrare comunque come la fauna selvatica sia nel nostro paese oggetto di una sistematica distruzione e di una serie di scelte sbagliate da parte di chi dovrebbe averne a cuore il benessere e la diffusione. E, come nota il biologo Mauro Belardi della cooperativa Eliante, a volte è proprio un’eccessiva confidenza verso il selvatico e una poca conoscenza dei meccanismi specifici della specie a cui appartiene, a decretarne la morte precoce. E’ accaduto con gli orsi in Trentino, succede coi lupi e ora, con il povero Bambotto, anche il maestoso cervo ne diventa la vittima.
Il cervo, una specie iconica da secoli
Per il cervo è obbligatorio usare un termine ormai troppo abusato: iconico. Ma, in effetti, l’ungulato dal grande palco di corna è davvero una specie iconica da secoli per la storia umana. I cervi occupano attualmente un areale vastissimo, che va dall’Europa fino al nord Africa e arriva all’Asia centrale, alla Siberia, per raggiungere poi il Canada e gli Stati Uniti. In passato questo animale era largamente diffuso in gran parte di queste zone, ma agli inizi del ventunesimo secolo si incontrano cervi solo nelle regioni occidentali del Nordamerica, con piccole popolazioni reintrodotte in altre aree del continente. E, ai giorni nostri, le popolazioni isolate europee che si trovano in paesi come la Grecia sono il frutto di reintroduzioni successive, a eccezione degli esemplari presenti nel Parnete, che molto probabilmente rappresentano la popolazione originaria della zona. Nei secoli, comunque, emblema di stendardi e di scudi, di case nobiliari e di dinastie vittoriose, il cervo è diventato, ed è ancora, il simbolo della forza, della virilità e della maestosità della natura.
I maschi adulti possono essere lunghi sino a 2,55 metri. Generalmente, gli esemplari delle popolazioni dell’Europa orientale raggiungono dimensioni maggiori, mentre quelli della zona mediterranea hanno dimensioni inferiori (per esempio il cervo sardo che non supera quasi mai il quintale di peso). Tuttavia, se alimentati abbondantemente i cervi sono in grado di crescere ben al di sopra delle misure medie raggiungibili dalla popolazione. Il cervo cosiddetto nobile che con la sua presenza, caratterizza le zone dell’Europa e il nostro paese, deve il suo nome al portamento “altezzoso”. Con il collo eretto, il palco di corna e la camminata elegante si distingue dagli abitanti del bosco e ne diventa il re designato. Si tratta di un animale che si muove leggero ed elegante nella boscaglia più fitta, nelle praterie a diverse altitudini. E’ veloce sia nel trotto che nel galoppo, tanto che in piena corsa può raggiungere e superare i 60 km/h, ed è agile e abile nel salto che, talvolta, può raggiungere in altezza anche i 2 m e più del doppio in lunghezza. Sia i maschi che le femmine vivono in gruppi monosessuali, con queste ultime che portano con sé anche i cuccioli non ancora indipendenti. Nell’ambito dei gruppi, solitamente vi sono sempre un paio di esemplari che fanno da sentinelle mentre il resto del branco si nutre. Durante l’estate, i cervi tendono a migrare ad altitudini maggiori, raggiungendo le praterie in quota, dove il cibo è presente in maggiori quantità. E ciò garantisce la sopravvivenza della specie.
La vita riproduttiva e l’allevamento
All’inizio dell’autunno, precisamente da metà settembre a metà ottobre, inizia la stagione degli amori. In questo periodo, i maschi, che solitamente vivono in piccoli gruppi monosessuali, si separano e iniziano a sfidarsi bramendo per rivendicare il possesso delle femmine su altri pretendenti. Avrà la meglio chi riesce a bramire più forte intimorendo, con il suo verso, gli altri cervi. La forza e la potenza del bramito dipendono dalla stazza dell’animale e dalle sue condizioni di vita. In inverno i palchi vengono persi e i maschi si ritirano nella fitta boscaglia allontanandosi dalle femmine. Gli abbondanti pascoli primaverili hanno rafforzato il loro organismo e gli esemplari sono divenuti vigorosi e pronti a mettersi in cammino per la lunga ricerca delle compagne. Durante questo periodo, i cervi abbandonano le loro consuete abitudini e i luoghi prima frequentati, divenendo inquieti e irascibili. Nella stagione degli amori il cervo raduna intorno a sé da 5 a 15 femmine, che custodisce gelosamente, a prezzo di lotte furiose contro tutti i rivali. Le uccisioni e le ferite tra i maschi sono rare: infatti, prima di “passare alle armi” i contendenti si sfidano “a voce”. Il potente bramito del cervo (una via di mezzo fra un muggito bovino e un ruggito) serve appunto ai rivali per capire chi hanno di fronte. Solo quando le capacità vocali si equivalgono, i maschi si affrontano in campo aperto, ma anche a questo punto, prima di combattere, mettono in atto una serie di comportamenti rituali, come per esempio cominciare a marciare avanti e indietro lungo linee parallele per osservare le dimensioni del palco e la robustezza dell’avversario. La speranza di vita in natura dei cervi si aggira fra i 10 e i 15 anni, ma in cattività essi vivono tranquillamente oltre i 20 anni.
La carne derivante dai capi abbattuti è normalmente commerciata e viene venduta a ristorazione, macellerie, grossisti. Spesso deriva anche da mercati esteri, dove la caccia al cervo viene praticata con meno restrizioni (un esempio è quello dell’Ungheria). In Italia ci sono pochi allevamenti di cervi. Sono situati in Veneto, Friuli e Alto Adige. L’allevamento richiede la concessione di particolari permessi e quindi non è alla portata di tutti gli allevatori di bestiame. In altre nazioni – come la Svizzera – gli allevamenti di questi animali sono più diffusi e la carne di cervo è più facilmente reperibile ( nel paese ci sono, infatti, 300 allevamenti e circa 12.000 capi sono destinati ad alimentazione umana).
Il cervo in Italia
Bracconaggio, caccia indiscriminata, incidenti stradali…ecco alcuni dei pericoli più grandi per i cervi nel nostro paese. Della situazione attuale della specie abbiamo parlato con Gianluca Catullo, responsabile specie e habitat del WWF Italia. Ecco cosa ci ha detto.
- Com’è attualmente la situazione della specie nella penisola?
- Il cervo era un tempo ampiamente diffuso nel nostro paese. La popolazione è stata però oggetto di un intenso prelievo, al punto che alla fine degli anni ’40 il cervo si rinveniva solo in alcune località alpine al confine con Austria e Slovenia, presso il Bosco della Mesola in provincia di Ferrara, e in Sardegna. A partire dagli anni ’50 sono state avviate numerose operazioni di reintroduzione che hanno consentito al cervo di ritornare in molte delle aree dove una volta la sua presenta era certa. Gli interventi sono stati effettuati principalmente all’interno delle aree protette. Oggi la specie è presente su tutto l’arco alpino e in un’ampia porzione dell’Appennino settentrionale, con nuclei residenti nell’area del Pollino e della Sila.
- Che specie di cervi sono presenti in Italia?
- In Italia sono presenti due sottospecie autoctone: il cervo sardo (Cervus elaphus corsicanus), salvato dall’estinzione negli anni ’80 grazie a una campagna del WWF che ha portato all’acquisto dell’area di Monte Arcosu, divenuta poi oasi WWF, e il cervo italico (Cervus elaphus italicus) presente esclusivamente all’interno del Bosco della Mesola. Quest’ultima sottospecie è l’unico cervo autoctono peninsulare giunto ai giorni nostri. Gli interventi di reintroduzione della specie in Italia si sono succeduti fino agli anni 2000. Ulteriori interventi di ripopolamento attivo non sono oggi necessari, in quanto la specie è ampiamente diffusa e continua ad espandersi in modo autonomo. L’unica eccezione è rappresentata dal cervo italico, in quanto, come accennato, questa sottospecie è presente esclusivamente all’interno della Riserva Naturale del Bosco della Mesola, un’area protetta gestita dai Carabinieri Forestali, all’interno della quale si contano circa 250 individui.
- Che programmi si stanno attuando in merito?
- Considerato l’elevato valore di conservazione di questa unità tassonomica, nel 2010 ISPRA e Ministero dell’Ambiente hanno redatto il Programma nazionale di conservazione del cervo della Mesola, documento che definisce le azioni da attuare per garantire la tutela di questa sottospecie. Tra tutte, la costituzione di ulteriori nuclei di cervo italico è l’azione che riveste il maggior grado di urgenza, in quanto funzionale a evitare la perdita della sottospecie in caso di eventi imprevisti che colpiscano la Mesola come, ad esempio, un’epidemia. Consci di questa criticità, WWF Italia, Università di Siena, Carabinieri Forestali e la Regione Calabria hanno messo a punto un progetto per costituire una seconda popolazione di cervo italico presso il Parco Naturale delle Serre, in Calabria. Acquisito il parere positivo di ISPRA, il tutto ha permesso di effettuare nel 2023 due interventi di rilascio dei primi contingenti di cervo italico, di cui l’ultimo a fine ottobre. Il progetto è attualmente ancora in corso.
- Come è regolata la caccia a questo ungulato?
- In alcune regioni il cervo è una specie cacciabile e oggetto di prelievo tramite caccia di selezione, definita sulla base di specifici piani di abbattimento. Questo tipo di attività venatoria è molto diffusa nell’arco alpino ed è prevedibile che possa estendersi anche in aree appenniniche. La caccia di selezione, se effettuata sulla base di criteri scientifici, può essere sostenibile e non intaccare la vitalità delle popolazioni oggetto di prelievo. Da sempre, comunque, il cervo è il signore del bosco. E preservarne la presenza è importante per salvaguardare l’ecosistema. Certamente, insieme a orsi e lupi, si tratta di uno degli animali che più di tutti suscitano emozioni, evocano storie. Bambotto rappresentava in un certo senso il collegamento tra una comunità di persone e la natura selvaggia. La sua uccisione è avvenuta per motivi che appaiono poco comprensibili e questo ha suscitato giustamente sgomento. D’altro canto, Bambotto è anche il simbolo di un rapporto errato con le specie selvatiche. Fornire cibo ad animali come cervi, lupi e orsi è un gesto da evitare, sempre. Questo perché induce gli esemplari a diventare confidenti, a perdere la provvidenziale paura nei confronti dell’uomo. L’esperienza ci dice che purtroppo i soggetti confidenti diventano inevitabilmente più suscettibili a rimanere uccisi per mano dell’uomo.
Proteggiamo gli animali selvatici
Dopo la morte di Bambotto si sono moltiplicate le iniziative delle varie associazioni animaliste per ottenere una giusta condanna dell’azione del cacciatore, ma purtroppo a oggi non sono ancora pervenute notizie certe sui provvedimenti adottati. Come nel caso dell’orsa Amarena e di suo figlio Juan Carrito, è proprio l’eccessiva confidenza di questi animali verso l’uomo a decretarne la fine precoce. I selvatici vanno protetti e aiutati nel loro ambiente, e non trasformati in fenomeni da baraccone privi di un’identità specifica, capaci solo di attirare frotte di turisti e pubblicità occulta nei paesi che li ospitano. Ma al momento l’azione distruttiva dell’uomo verso gli animali e la natura che ci circonda è ancora in una fase attiva. Un esempio per tutti? L’abitudine di lasciare liberi i cani in zone montane o collinari. L’invadenza degli inconsapevoli quattrozampe cittadini, attirati da odori e rumori del bosco che li circonda, porta spesso a incidenti ed eventi pericolosi che l’uomo non è in grado di controllare. Il rispetto per l’habitat naturale dovrebbe essere privilegiato anche e soprattutto quando ci si reca in luoghi ancora incontaminati. Ma, purtroppo, la mancanza di comprensione delle leggi naturali e dell’ecosistema continua a esporre i soggetti più deboli a sofferenze e inutili sacrifici. Il 2024 sarà un anno di svolta? Lo speriamo, malgrado i segnali distruttivi che ci arrivano in questi ultimi mesi. Ma la speranza, si sa, è l’ultima a morire.
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