Roberta Redaelli, nel suo saggio Italy & Moda, raccoglie le voci del tessile. E invita il consumatore a fare scelte che lo spingano alla sostenibilità.
Il nudo femminile è un atto politico
La nudità delle donne, nella società occidentale, è ancora un problema. C’entra la gerarchia di genere, e c’entra il controllo della società patriarcale.
- Nella nostra società il nudo femminile è ancora un problema, lo dimostrano le polemiche in diverse occasioni legate a personaggi pubblici.
- La questione è complessa perché riguarda come la rappresentazione del corpo femminile negli anni sia stata funzionale a rafforzare la gerarchia di genere, ma ha anche a fare con la libertà delle donne di mostrare liberamente il proprio corpo.
- Anche all’interno dello stesso movimento femminista ci sono opinioni contrastanti a riguardo, abbiamo provato a tirare le fila del discorso grazie al pensiero di autrici, studiose e attraverso le parole delle protagoniste delle polemiche in questione.
Perché nel 2024 il nudo femminile, quando a mostrarlo è la persona che quel corpo lo abita, fa ancora scalpore? Succede alle star, succede alle persone comuni quando mostrano sui social qualche centimetro di pelle in più, quando queste sono donne. Quando si tratta di nudità, infatti, quella femminile è soggetta ad attente dissertazioni da parte dell’opinione pubblica, in particolare quando si tratta di una nudità agita, e non subita, ovvero quando sono le stesse donne a voler mostrare il proprio corpo.
C’entra il pudore e c’entra l’immaginario femminile, entrambi potenti strumenti attraverso i quali la struttura patriarcale esercita il proprio controllo sulle donne. Una delle primissime cose che viene insegnata alle bambine e alle ragazze è che il corpo non si mostra e che, per essere considerate rispettabili, bisogna comportarsi e vestirsi in un certo modo. Essere rispettabili è infatti il requisito fondamentale per essere considerate desiderabili dall’universo maschile: quello che ci viene insegnato fin dalla più tenera età è, quindi, in buona sostanza, di rispettare un pacchetto di norme che hanno come fine ultimo quello di compiacere il genere maschile. Questi strumenti di controllo sono funzionali al prosperare della società patriarcale, che si basa tanto sul privilegio maschile quanto sulla convinzione delle donne di dover fare o non fare qualcosa per meritare la considerazione e l’approvazione degli uomini che costellano la propria vita, siano questi genitori, partner o datori di lavoro.
La rappresentazione del nudo femminile, visioni femministe a confronto
Il mondo accademico femminista presenta diverse visioni e teorie sul nudo femminile in una prospettiva non sempre unanime. L’accademica A. W. Eaton, ad esempio, nella sua pubblicazione “What’s wrong with the (female) nude? A feminist perspective on art and pornography” sostiene che l’arte erotica e in particolare il nudo femminile siano strumenti funzionali a rendere attraente la tradizionale gerarchia di genere, enfatizzando la dominanza maschile, la sottomissione femminile e l’oggettificazione del corpo della donna.
Afferma infatti che tale erotizzazione giochi un ruolo cruciale nel perpetuare l’ineguaglianza di genere analizzando i diversi modi in cui le opere d’arte appartenenti al genere del nudo femminile possano essere sessualmente oggettificanti e lo fa mettendo in relazione le produzioni pornografiche con il tradizionale nudo femminile: quest’ultimo non solo erotizza, ma anche estetizza l’oggettificazione sessuale delle donne, e lo fa “dall’alto”, investendo il messaggio di inferiorità femminile di un’autorità speciale. Secondo Eaton questo è un modo particolarmente efficace per promuovere la disuguaglianza sessuale in un modo che la normalizza e la rende accettabile, anche agli occhi delle donne stesse.
Un’altra riflessione chiave sul nudo femminile nel mondo femminista è quella dell’autrice e accademica australiana Germaine Greer che, nel suo saggio del 1970 “The female eunuch”, si chiede se il corpo femminile nudo possa mai essere veramente libero e se lo spogliarsi rappresenti l’espressione ultima dell’emancipazione di una donna o se invece il suo corpo svestito sai sempre soggetto all’oggettificazione sessuale.
Germaine Greer immaginava un femminismo che avrebbe garantito alle donne la libertà di correre, gridare, parlare ad alta voce e sedersi con le ginocchia divaricate. Greer sosteneva infatti che che, nonostante l’instinto femminista possa portare molte donne a respingere automaticamente qualsiasi rappresentazione del corpo nudo femminile a causa del suo sfruttamento commerciale, il nudo femminile autentico e agito meriterebbe di essere riscoperto dalle donne stesse, felici mostrare con gioia la propria natura.
La scrittrice critica infatti l’idea che la nudità femminile sia umiliante in sé e sostiene al contrario che ciò che offende sia la mercificazione di un corpo alterato rispetto a quello vero, messo in pose che enfatizzano certi aspetti e non altri. Per questo Greer stessa posò nuda per il magazine erotico “Stuck” in una posa per niente sensuale, con le gambe incrociate dietro la testa e un’espressione divertita e di sfida sul volto. L’autrice sostiene inoltre che il pudore, sentimento che viene inculcato alle donne fin dalla più tenera età, sia stato un mezzo per annullare la genialità femminile e che la censura non possa essere in alcun modo un’arma nella lotta di liberazione delle donne. Greer, in ultima analisi, invita le donne a non respingere la rappresentazione del loro corpo nudo, ma piuttosto a smascherare l’ipocrisia dell’etica e dell’estetica sessuale dominante. L’autrice sottolinea infatti come sia necessario riconsiderare il concetto di bellezza femminile e di andare oltre gli stereotipi commerciali.
Il mito della bellezza
Di questo avviso è anche Naomi Wolf, autrice de “Il mito della bellezza”, uno dei testi chiave della terza ondata femminista in cui l’autrice sostiene come ogni aspetto di come sia stata costruita l’idea di perfezione relativa all’immagine del corpo femminile sia una diretta espressione del potere e dell’oppressione patriarcale. Questo comprende tanto gli standard di bellezza che negli anni sono stati imposti alle donne, facendo impiegare loro energie e risorse per adeguarvisi a tutti i costi, quanto la repressione degli istinti sessuali e la glorificazione del corpo in quanto tale. Secondo Wolf infatti nel momento in cui le idee della rivoluzione sessuale del 1968 hanno incontrato i modelli di comportamento consumistici si è venuta a creare l’esigenza di rinfocolare il senso di colpa femminile nei confronti del sesso e della sessualità. Secondo Wolf le donne contemporanee sono vittima di una repressione culturale della sessualità femminile, intavolata con il preciso scopo di mutilare il crescente potere che le donne stavano acquisendo nella società.
Negli anni settanta infatti le donne non solo stavano sperimentando costumi sessuali più liberi, ma avevano iniziato ad avere accesso alle posizioni di potere anche in ambito lavorativo, da questa congiuntura secondo Wolf si è reso necessario elaborare per l’immaginario femminile un modello di bellezza basato sul corpo “ideale” e e su un immaginario legato alla sessualità tutt’altro che libero. La libertà delle donne è sempre stata una prospettiva pericolosa per la società patriarcale, che ha trovato il modo, attraverso l’oggettivazione sessuale del corpo e la promozione di determinati standard di bellezza, di esercitare nuovamente il controllo sulle donne.
Le questioni di FKA Twigs ed Elodie
La maggior parte dei testi citati fin qui sono frutto delle analisi e delle teorie femministe degli anni Settanta, oggi, a cinquant’anni di distanza, la cultura occidentale fa ancora fatica ad accettare il nudo femminile quando questo sia espressione di sé e lo dimostrano i casi recenti delle dello spot censurato di Calvin Klein che vedeva come protagonista la cantante FKA Twigs e le polemiche che hanno investito Elodie per le immagini promozionali del suo nuovo album. In entrambi i casi l’oggetto del contendere era la nudità delle artiste, esibita in maniera fiera e consapevole.
Nel caso di FKA Twigs lo spot in questione è stato addirittura censurato nel Regno Unito dall’Asa, l’Autorità per gli standard pubblicitari che ne ha vietato la diffusione. Nello scatto in questione, poi pubblicato dalla stessa cantante sui social, si vede il corpo dell’artista avvolto in una camicia, che però lascia completamente nudo il lato destro. La motivazione che ha portato L’Asa a sanzionare l’advertising in questione risiede nella “composizione dell’immagine, che focalizzava l’attenzione degli spettatori sul corpo della modella piuttosto che sull’abbigliamento pubblicizzato” e che le sue caratteristiche fisiche la presentavano come un “oggetto sessuale stereotipato”. La cantante, lungi dal sentirsi come un oggetto sessuale stereotipato, ha risposto sottolineando di essere fiera della propria fisicità di donna di colore forte, il cui corpo “ha sopportato più dolore di quanto possiate immaginare” (la cantante con questa frase si riferisce al fatto che abbia superato un tumore molto aggressivo). In molti poi hanno notato il doppio standard riservato al protagonista maschile della campagna, Jeremy Allen White la cui immagine non è stata censurata e il cui nudo, al contrario, è stato glorificato anche dagli stessi media con titoli come “fisico da urlo” ed esternazioni simili.
Quanto all’Italia, ad essere stata investita dalle polemiche è stata la cantante Elodie, “colpevole” di aver pubblicato lo scorso settembre una foto di nudo per promuovere il suo nuovo singolo “A fari spenti” e di aver indossato, durante la data romana del suo tour, un abito di Valentino aperto con un cut out sulla pancia e caratterizzato da un profondo spacco nella gonna mini. “Il mio corpo non dovrebbe suscitare scandalo: questo è il mio corpo, il mio manifesto di donna libera“, ha detto Elodie rivendicandosi femminista. “Tanti mi hanno detto che non c’è bisogno, invece ce n’è eccome! Il corpo è nostro e siamo libere di decidere come utilizzarlo: per me è arte e libertà”. Una libertà, quella rivendicata da Elodie, da Fka Twigs e da tutte le donne che scelgono di mostrare la loro nudità, che viene costantemente repressa da un sistema che accetta la rappresentazione del corpo femminile solo quando è controllata e conforme ai propri standard, quando è strumento di controllo e non di libera espressione. Mostrare il proprio corpo può essere un atto rivoluzionario perché normalizza il rivelarsi della sessualità femminile in tutta la sua potenza e libertà.
Si è parlato molto di doppio standard rispetto a queste vicende: nel caso della pubblicità di Calvin Klein infatti lo spot che vede protagonista Jeremy Allen White è molto più allusivo dal punto di vista sessuale, ma non è stato sanzionato. Allo stesso tempo gli artisti uomini che mostrano il proprio corpo, proprio come Elodie, non vengono sottoposti allo stesso vaglio morale in una discrepanza di trattamento che vede glorificati gli artisti maschi che mostrano il proprio corpo e sanziona le artiste donne, colpevoli di voler esprimere liberamente la propria sessualità.
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