Istituito nel 1922, il Parco nazionale del Gran Paradiso è il più antico d’Italia e al suo interno vivono specie che sono state salvate dall’estinzione.
Il Parco nazionale del Gran Paradiso è il parco più antico d’Italia: è stato costituito nel 1922 a partire dall’ex riserva di caccia del re Vittorio Emanuele II.
Nel parco vivono più di 100 specie nidificanti, 7.800 camosci e 2.700 stambecchi, costantemente monitorati per la loro salvaguardia, ma anche per fornire dati alla ricerca scientifica.
Le specie simbolo del parco sono lo stambecco alpino e il gipeto che, senza la cura da parte del corpo di sorveglianza, si sarebbero probabilmente estinti.
71mila ettari di terreno che si sviluppano su due regioni intorno al massiccio del Gran Paradiso, con i suoi 4mila metri di altezza: il Parco nazionale del Gran Paradiso (Pngp) è un territorio vastissimo e scarsamente antropizzato, dove al primo posto c’è da sempre la tutela delle specie che vivono al suo interno. Era l’ex riserva di caccia del re Vittorio Emanuele II ed è stato costituito parco nel dicembre del 1922: quest’anno festeggia cent’anni.
Il parco e la tutela della biodiversità
In questa grande porzione d’Italia, a cavallo tra Valle d’Aosta e Piemonte, vivono più di 100 specie nidificanti, 7.800 camosci e 2.700 stambecchi che, dalla metà degli anni Cinquanta, vengono costantemente monitorati dal corpo di sorveglianza. Una delle particolarità del Pngp è che, grazie alla legge quadro sui parchi del 1991, ha potuto mantenere, come il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, il corpo dei guardia parco, mestiere durissimo che però fa sì che qui possano continuare a vivere e a riprodursi diverse specie altrimenti a rischio.
Tutti i membri del corpo di sorveglianza hanno infatti una profonda conoscenza del territorio, degli animali e dell’ambiente del parco e, grazie alla presenza capillare di circa quaranta casotti, possono tenere monitorati gli animali durante tutta la giornata: il loro lavoro è essenziale alla tutela, ma anche alla raccolta dei dati che servono per la ricerca scientifica, portata avanti nei centri studi della fauna alpina presenti nel parco.
Le specie simbolo del parco sono essenzialmente stambecchi alpini e gipeti che, senza il lavoro del corpo di sorveglianza i primi e senza un intervento di ripopolamento i secondi, probabilmente oggi risulterebbero estinti: i membri del corpo di sorveglianza infatti non solo tengono gli esemplari monitorati – gli stambecchi vengono censiti due volte all’anno, durante i primi di settembre e durante i primi di giugno, quando i guardia parco conteggiano maschi, femmine e i cuccioli che hanno superato l’anno di età –, ma fanno anche sì che la loro vita e il loro habitat non vengano intaccati dagli escursionisti: le cascate di ghiaccio ad esempio sono molto gettonate per l’arrampicata invernale, ma sono anche un luogo adatto alla nidificazione di molte specie di uccelli.
Gli stambecchi e i cambiamenti climatici
Al momento della costituzione del parco lo stambecco era praticamente estinto, ne rimanevano solo poche centinaia di esemplari, mentre oggi tutto l’arco alpino è stato ripopolato a partire dagli esemplari presenti originariamente sul Gran Paradiso. La specie adesso è fuori pericolo, ma resta minacciata dai cambiamenti climatici.
Questo animale trova infatti trova la sua zona di comfort in ambienti di alta montagna e oggi, complice il fatto che le temperature si stanno alzando e gli inverni durano sempre di meno, è costretto a salire di altitudine per trovare delle temperature consone, vedendo ridursi sempre più il suo spazio vitale. L’inverno rigido era inoltre uno strumento di selezione che faceva sopravvivere solo gli esemplari più forti; ora invece sopravvivono più animali determinando un indebolimento complessivo della specie.
A questo si deve aggiungere uno scostamento tra la crescita della vegetazione e i nati dell’anno. L’erba, che prima nasceva a giugno insieme ai cuccioli, adesso cresce fra aprile e maggio: questo significa che nel momento in cui nascono i piccoli, l’erba contiene molti meno principi e sostanze utili alla loro crescita.
Dei 54 ghiacciai presenti originariamente nel parco, d’altra parte, ne sono rimasti solo trenta. Inoltre, le farfalle di alta montagna hanno “traslocato” 400 metri più in alto rispetto alla loro quota standard: lo spazio vitale di tutte quelle specie che hanno bisogno del freddo e della neve si sta riducendo sempre più.
Il gipeto, il condor delle Alpi
Se gipeto non è proprio un nome epico per una specie, l’esemplare in questione lo è a tutti gli effetti: con i suoi tre metri di apertura alare è l’uccello europeo più grande. Non è un rapace, ma un avvoltoio; la sua fonte di alimentazione sono le carcasse, che lascia cadere a terra in modo che si frantumino per poterne poi mangiare il midollo. Il suo essere carnivoro però ha creato per molto tempo una certa confusione: era considerato un animale nocivo, in concorrenza con l’uomo per la caccia ad alcune specie. Sotto Vittorio Emanuele era legale ucciderli, anzi, addirittura ricompensato: questo ha portato, nel 1913, alla loro estinzione su tutto l’arco alpino.
Ha resistito in Sardegna fino agli anni Sessanta e poi, tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, è stato protagonista di un mastodontico progetto di ripopolazione a partire da alcuni esemplari nati in cattività e liberati sull’intero territorio alpino. Il gipeto ha un ciclo riproduttivo molto lento: raggiunge la maturità sessuale a sette anni e depone solo due uova, di cui in media ne sopravvive solo una. Quindi i primi gipeti nati non in cattività a partire dal progetto di ripopolazione risalgono alla seconda metà degli anni Novanta.
Oggi sulle Alpi ci sono sessanta coppie nidificanti, di cui tre nel Parco nazionale del Gran Paradiso, una per ogni valle: la Valsavarenche, la val di Rhêmes e la val di Cogne che, quest’anno, hanno dato due nuovi nati. La cova delle uova nel gipeto dura tantissimo, da gennaio alla primavera e, trattandosi di un uccello che nidifica oltre i duemila metri, impone che i genitori si diano costantemente il cambio per tenere l’uovo sempre al caldo. Le tre coppie nidificanti presenti nel parco sono monitorate attraverso delle telecamere poste vicino ai nidi e alimentate da pannelli solari: questo permette al corpo dei guardia parco sia di intervenire nel momento in cui ci possano essere dei problemi sia di raccogliere molti dati utili per la ricerca scientifica.
“Biodiversità in volo” è il progetto nato dalla collaborazione tra fondazione Una e Federparchi contro il bracconaggio e volto alla tutela degli uccelli alpini e in particolare del gipeto che dimostra come, grazie alla reintroduzione e alla protezione, sia possibile proteggere determinate specie. Fondazione Una è un ets (ente terzo settore) che ha come obiettivo quello di diffondere una nuova cultura ecosistemica dell’ambiente, in grado di mettere insieme punti di vista anche molto diversi tra loro. Alla fondazione contribuiscono infatti associazioni ambientaliste, ma anche agricoltori, cacciatori, esponenti del mondo scientifico e gli enti dei parchi, riuniti dall’obiettivo comune di portare avanti buone pratiche, progetti positivi e dalla voglia di dimostrare che collaborando tutti insieme si ottengono dei risultati positivi per la tutela della biodiversità e del mondo rurale.
In 100 anni di storia sono stati tanti guardaparco, dipendenti, ricercatori e collaboratori che hanno contribuito a preservare l'area protetta. Auguriamo a tutti loro, e anche e soprattutto chi, purtroppo, è venuto a mancare in servizio, buona festa dei lavoratori.#1maggiopic.twitter.com/OcegFGNNPz
— Parco Gran Paradiso (@PNGranParadiso) May 1, 2022
L’educazione è un fattore cruciale
I fattori che causano la perdita di biodiversità sono tantissimi e quasi sempre c’entra l’uomo: cementificazione, urbanizzazione e bracconaggio sono i principali, ma quello che in pochi sanno è che la seconda causa in assoluto, dopo il cambiamento dell’habitat, è l’introduzione da parte dell’uomo di specie aliene. I nuovi arrivati mettono in pericolo le specie autoctone sotto differenti punti di vista: può succedere che siano predatori e quindi minaccino fisicamente gli esemplari rimasti, ma accade anche che si arrivi a un’inquinamento della specie che poi non la rende più adatta a vivere in certi territori. Nel parco del Gran Paradiso, ad esempio, questo rischio lo corrono capre e stambecchi, accoppiandosi tra loro: ecco che un’altra funzione del corpo di vigilanza è quella di tenere le due specie ben separate.
La tutela della biodiversità è una delle preoccupazioni principali dell’ente del parco, sia per quanto riguarda l’ambiente alpino che quello acquatico: quest’ultimo è fra i più minacciati dal riscaldamento globale e dall’inquinamento, fattore che ha causato, insieme al frazionamento della biodiversità e al bracconaggio, l’estinzione della lontra in quasi tutta l’Europa. Perché questi animali vivano in prosperità e si riproducano ci deve essere buona disponibilità di cibo, acqua limpida e la possibilità di costruirsi una tana vicino alle sponde dei fiumi, dei torrenti o dei laghi. Nel parco, dove un tempo questo animale abbondava, oggi vivono solamente tre esemplari, mantenuti in cattività nel Centro acqua e biodiversità di Rovenaud, inserito in un circuito di interscambio europeo che ha l’obiettivo di salvare questa specie dall’estinzione.
Ha 300 anni e può essere visto persino dallo spazio. È stato scoperto nel Triangolo dei Coralli grazie a una spedizione della National Geographic society.
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