Un documentario che racconta la vita attorno ad una grande quercia attraverso gli occhi dei suoi abitanti. Un film per tutti dal 25 gennaio al cinema.
Il pianeta in mare. Il documentario su Marghera, “un progetto nato da una follia”
Il pianeta in mare è nelle sale dal 26 settembre. Il documentario, presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia atterra su quel che resta di Marghera, “un progetto nato da una follia” secondo le parole del regista.
Venezia non ha terra, da qui l’idea di far emergere letteralmente dalla palude un territorio di 2.000 ettari per creare un polo industriale gigantesco, con impianti siderurgici, metalmeccanici, cantieri navali e un grande insediamento petrolchimico, con il profilo raffinatissimo di piazza San Marco a fare paradossalmente da sfondo. Due microcosmi, Marghera e il centro storico di Venezia, lontani anni luce per natura, identità e immaginario, che invece convivono in un’ unica municipalità e a soli cinque chilometri in linea d’aria. È la trama di Il pianeta in mare, nelle sale dal 26 settembre, un documentario presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia che atterra su quel che resta di Marghera, “un progetto nato da una follia” secondo le parole del regista Andrea Segre.
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Dialoghi dominati dall’incertezza, in dialetto e nelle lingue di mezzo mondo
Segre alterna spaccati di storia, con la proiezione di prezioso materiale di archivio dell’Istituto Luce e del movimento operaio e l’attuale quotidianità dei lavoratori provenienti da oltre 60 nazionalità diverse. L’assenza di sicurezze, il vuoto di progettualità, il desiderio di guadagnare abbastanza da non dover dividere la camera con altre quattro persone e le lunghe videochiamate a casa a ricordare loro perché si trovano lì e perché devono restare.
“Marghera è un luogo che sente poca speranza intorno – aggiunge –, che ha paura di non avere un futuro o, comunque, di non riuscire a governarlo perché in balìa dei meccanismi incontrollabili dell’economia globale. Non c’è più il padrone che sta dentro un ufficio e al quale puoi rivolgerti per chiedergli di cambiarti il salario, ma scatole cinesi di gruppi finanziari in sedi sconosciute e inarrivabili. Speri di poter restare lì, ma non lo sai e nel disorientamento ti affidi a piccole àncore quotidiane, una chiacchiera con un amico e un karaoke la sera. La speranza è un elemento flebile in una zona industriale di oggi e questo è l’altro tema del film”.
La trattoria di Viola è quel che resta per sentirsi a casa
Il porto sicuro è all’angolo di un incrocio, un ristorante dove sai cosa ti troverai sul piatto e chi lo cucinerà, una sala per ballare con leggerezza e un microfono ad amplificare la voglia di cantare, nonostante tutto. È intorno allo spirito di Viola, una donna tutta d’un pezzo dalle ciglia impeccabili, che ruotano la fatica e l’urgenza di non perdersi definitivamente.
Ci gravitano i clienti di sempre con le storie dei tanti mondi attraversati negli anni delle trasferte e i lavoratori stranieri che cercano nella memoria le parole giuste per far capire che sugo vogliono sulla pasta. “Nei luoghi delle riprese si respira lo sforzo di sentirsi ancora una comunità – ha precisato Segre – senza sapere bene come sopravvivere in un mondo che al contrario, tende a scomporle, a spappolarle”.
L’habitat innaturale di una fauna che tenta di resistere
Dall’alto delle impalcature si osserva un panorama frammentato, in bilico tra lente demolizioni, abbandono e squarci di alta produttività. Una lepre e qualche cormorano sono gli ultimi testimoni di un ecosistema distrutto. Sotto il ponte della Libertà, due ex operai ricordano le distese di luci dei pescatori della laguna mentre solitari dragano il fondo, buttando le vongole inquinate per tenere solo i vermi, l’ultima risorsa di quelle acque.
Essere attenti all’ambiente significa osservare cosa ci sta accanto
Il documentario denuncia anche la necessità di staccarsi dagli anni dei processi – sacrosanti – contro le morti da cloruro di vinile, dagli scioperi e dalle lotte sindacali, per tornare a guardare il presente. “Negli ultimi 20 anni abbiamo assistito ad una sorta di rimozione rispetto a questi luoghi e non solo a Marghera; come se queste zone industriali non facessero più parte del nostro tessuto urbano, sociale e non avessero più alcun impatto sulla nostra salute, mentre intorno ci gravitano ancora migliaia di vite. Il risultato di questa distrazione è che chi ha il potere può fare quello che vuole, perché nessuno lo sta guardando. Ho una figlia di 15 anni che segue attivamente Greta Thunberg e la questione importantissima dei cambiamenti climatici; in quest’ottica dimenticare quello che ci sta accanto è un vero errore strategico. Quando dicevo alle persone che stavo girando un film su Marghera, la risposta più frequente era: ma esiste ancora?”.
Il pianeta in mare esiste e qualcosa sembra muoversi; nel luglio scorso infatti sono stati stanziati 9,5 milioni di euro dal Veneto che, però, chiede con forza anche il contributo del ministero dell’Ambiente. I fondi saranno destinati principalmente al costruzione di argini lungo le sponde dei canali, per fungere da barriera anti-erosione dei suoli inquinati e contro l’infiltrazione delle acque inquinate nella laguna.
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