La campagna Vote for animals, promossa da Lav e altre organizzazioni, mira a far assumere a candidati e partiti un impegno maggiore sul tema dei diritti animali.
Il ritorno del lupo in Italia
Secondo il monitoraggio dell’Ispra, nella nostra penisola vivono 3.300 lupi. Un successo ecologico che, tuttavia, mette di fronte a qualche riflessione.
Il lupo è tornato. E lo ha fatto alla grande, con numeri rilevati che non lasciano adito a dubbi. Nell’intero territorio nazionale, infatti, si stima una presenza di circa 3.300 esemplari, di cui circa 950 nelle regioni alpine e 2.400 distribuiti nel resto del nostro paese. È il quadro che emerge dal monitoraggio realizzato nel corso degli ultimi tre anni dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) per conto del ministero della Transizione ecologica. La raccolta dei dati ha coinvolto circa tremila persone, tra membri di parchi nazionali, regioni, province, università e musei, elementi dei reparti dei carabinieri forestali e una grande quota di volontari — circa la metà del totale — di varie associazioni ambientaliste e animaliste nazionali e locali sparse su tutto il territorio italiano.
Il lupo è una specie rigorosamente protetta con la normativa internazionale (Direttiva Habitat CEE 1993/43, Convenzione di Berna) e nazionale (l. 157/92, DPR 357/97) e tale protezione ha sicuramente contribuito significativamente alla ripresa demografica e geografica rilevata negli ultimi decenni. Ma la presenza del grande predatore in Italia non era mai stata mai adeguatamente documentata su scala nazionale e i dati scientificamente attendibili raccolti dal monitoraggio potranno indirizzare azioni di mitigazione dei conflitti con le attività umane, favorendo la coesistenza uomo-lupo.
Il lupo, una presenza importante ecologicamente
Del ritorno del lupo e dei numeri relativi alla sua presenza in Italia abbiamo parlato con Mauro Belardi, biologo, esperto di sostenibilità ambientale e presidente della cooperativa Eliante. “I dati raccolti sono senz’altro positivi e significa che la specie è sostanzialmente fuori pericolo nel nostro paese. Dico ‘sostanzialmente’ per due motivi. Il primo è che il processo di ricolonizzazione ancora non si è completato ovunque, per esempio in alcune zone di pianura e nelle Alpi centrali. E il secondo è che si contano in ogni caso circa 300 lupi morti di cause non naturali in Italia (bracconaggio, incidenti). Parliamo del 10 per cento della popolazione, che non è poco. In ogni caso, vista l’elevata densità di ungulati (cinghiale, capriolo e cervo soprattutto), ma anche di altre specie come le nutrie, l’aumento dei lupi è decisamente una buona notizia anche per gli equilibri ambientali. Segnalo tuttavia che moltissimi titoli e commenti usciti dopo la pubblicazione dei risultati, sono errati. Non vi è alcun raddoppio o tantomeno crescita esponenziale di lupi.
È bene premettere che questo è il primo monitoraggio effettuato con metodi standard da moltissimi anni e quindi non esiste un precedente per un confronto. Prima di questi dati avevamo solo stime e gli stessi numeri di quest’anno sono parzialmente derivati dai conteggi precedentemente effettuati. In ogni caso, si tratta soprattutto di un’espansione territoriale verso zone dove prima il lupo non era ancora tornato e, solo molto secondariamente, di un aumento di densità. Non esiste alcuna stranezza né alcun allarme. Il lupo aumenta soprattutto perché ci sono moltissime prede disponibili. Altre cause sono secondarie, come quelle relative all’abbandono di alcuni territori, alla protezione legale, alle aree protette, ecc.”, spiega Belardi.
Il lupo in Italia, il dibattito è in corso
Quali sono le problematiche che possono presentarsi con il ritorno del lupo nel territorio italiano? “La sua presenza porta problemi all’allevamento e questo è un dato di fatto. Attrezzarsi per proteggere il proprio bestiame è certamente possibile, ma rappresenta una difficoltà e un costo. Con l’aumento dei lupi, il problema si estende via via nelle zone dove questo predatore si è stabilizzato e prima non c’era. Non cambia nulla per gli allevatori che lavorano in zone dove c’era già, perché si tratta di animali territoriali e ogni branco occupa un territorio circoscritto con un numero limitato di individui. Il branco normalmente è in grado di cacciare prede selvatiche anche grosse e, contrariamente a quanto si può pensare, sono i soggetti solitari a portare spesso problemi agli animali allevati”, risponde Mauro Belardi.
“Ciò che sarà più problematico, a mio avviso, sarà il rapporto con le popolazioni umane anche in pianura e in zone abitate, dove le persone non sono abituate alla presenza della specie e potrebbe crescere la paura. Si pensi per esempio all’abitudine comune di lasciare libero il proprio cane quando si fa una passeggiata in campagna. Il tutto crea gravi problemi agli ecosistemi ed è illegale, tuttavia è molto comune.
I casi di predazione di lupo su cane domestico aumenteranno certamente, pur restando non frequenti. Anche la probabilità di contatto o incidenti con l’uomo aumenterà, restando sempre un’improbabile rarità, ma sicuramente ci saranno dei problemi, reali o percepiti come tali. Certamente un lupo che frequenta ripetutamente e costantemente un ambiente molto antropizzato (per esempio una città) non è qualcosa di normale né di positivo e andrà in qualche modo gestito”.
Il problema dell’ibridazione
Lupi che sembrano cani? O cani che diventano lupi per effetto di ibridazioni manipolate ad arte da allevatori senza scrupoli? Il problema dell’ibridazione è più che mai attuale, visto anche il ripopolamento del grande predatore nel nostro territorio e il suo avvicinarsi a nuclei abitati e metropolitani frequentati, ovviamente, dal cane domestico. “L’ibridazione lupo-cane (che, ricordiamo, sono la medesima specie) è presente da millenni e non ha impedito la sopravvivenza del lupo come specie selvatica. Occorre osservare che il caso più probabile è costituito da geni di cani domestici che arrivano presso un gruppo di lupi. Meno comune è il caso opposto in cui un cane domestico mette alla luce dei cuccioli ibridati con il lupo”, dice Belardi.
“I cani posseggono alcune caratteristiche frutto di selezione artificiale che è bene non si diffondano tra i lupi. E certamente il fenomeno dell’ibridazione aumenta con l’aumento dei lupi in zone urbanizzate. Al momento la letteratura scientifica esclude che gli ibridi (concetto per cui esiste ancora qualche problema di definizione) abbiano comportamenti differenti dai normali lupi, non sono cioè né più confidenti né più dannosi. Prevenire l’ibridazione è comunque importante per salvaguardare la specie selvatica. Il primo colossale problema alla base di tutto è, comunque, il randagismo canino che vede in Italia qualcosa come 900mila cani vaganti senza padrone. Il problema non sono solo questi animali chiaramente randagi, ma anche tutto quel grande numero di situazioni intermedie che si sovrappongono.
Parliamo, in questo caso, di soggetti che hanno un padrone, ma sono di fatto liberi di vagare: cani di cascine, quelli che vivono presso i rifugi, gli stessi animali di proprietà di allevatori… ma anche normali amici a quattro zampe di persone che li lasciano liberi pensando di fare il loro bene. I dati scientifici dicono cose molto chiare: i cani uccidono decine di migliaia di animali selvatici l’anno e si possono accoppiare con i lupi. Entrambe queste cose possono avvenire anche senza che i padroni se ne accorgano. I cani in natura vanno dunque tenuti al guinzaglio e di notte vanno tenuti all’interno o in recinti. Fanno eccezione solo i cani da lavoro, come per esempio quelli da protezione delle greggi. Quando il danno è fatto, poco si può fare. L’opzione di rimuovere lupi ibridi vede favorevoli e contrari, anche tra gli esperti, ma di certo con una sorgente così ingente di cani randagi, si tratta di un intervento probabilmente velleitario sul piano dei risultati”, conclude l’esperto.
Il problema dei cani lasciati liberi di vagare da soli – in città, in campagna, in collina, sulle spiagge – è stato più volte dibattuto e affrontato dagli esperti che ho intervistato. Non si tratta solo di potenziali pericoli per quelli che circolano regolarmente al guinzaglio e si trovano improvvisamente aggrediti da un cane libero e, magari, aggressivo. Ma anche durante le passeggiate, le escursioni, le gite fuori porta il problema della mancanza di guinzaglio e collare, e quindi di un necessario coordinamento da parte del proprietario, costituisce uno dei più gravi attentati alla salute dell’ambiente e dell’ecosistema. Forse più che la paura del grande predatore e dei suoi attacchi, andrebbe stigmatizzato il comportamento del vicino maleducato o dell’escursionista incivile che gironzolano con uno o più cani liberi senza controllo. Ma questa è un’altra storia…
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