Il riuso visto da un designer

“Chi riusa bene, consuma bene”, ci ha detto Francesco Faccin, che ha iniziato a fare design utilizzando oggetti usati. Con lui abbiamo provato a immaginare una società del riuso, che dà nuovo vita a tutto quello che produce.

Milanese, classe 1977, Francesco Faccin è un designer che nel curriculum vanta collaborazioni e pubblicazioni prestigiose. Al suo lavoro si è avvicinato iniziando a raccogliere scarti o parti di cose all’apparenza inutili, che poi trasformava in nuovi oggetti o riutilizzava dando loro una seconda vita. Oggi considera il design come un’opportunità di approfondire il rapporto con il mondo che ci circonda, di suscitare riflessioni e dibattiti. Interessato ai temi di sostenibilità ed ecologia, con lui abbiamo parlato di riuso e del valore che ha nell’epoca in cui viviamo.

Il riuso ha sempre fatto parte della storia dell’uomo o ha interessato particolari periodi storici rispetto ad altri?
Il riuso è sempre esistito, ma in accezioni molto diverse. Se lo intendiamo come “necessità” è qualcosa che si pratica in tutti quei luoghi della Terra, poveri, dove non è possibile fare altro. Qualche anno fa ho curato una mostra in Triennale, “Made in Slums”, con gli oggetti che gli abitanti di una baraccopoli di Nairobi hanno creato per le loro esigenze quotidiane recuperando i rifiuti dalla capitale: l’esposizione ha raccontato come una comunità di milioni di persone ha basato la sua economia sullo scarto, trasformando qualcosa da inutile a utile e perfino necessario. Nella nostra società, invece, chi fa riuso in questo momento storico, lo fa perché è “politicamente corretto”, per lanciare un messaggio culturale, sociale, ambientale. Certo, sarebbe bello che si arrivasse a un punto in cui il riuso avesse davvero una ricaduta significativa sulla produzione e sui consumi globali.

Francesco Faccin
Il designer Francesco Faccin

Quali sono gli oggetti, i beni che si riusano più facilmente?
Il riutilizzo di alcune cose è socialmente accettato, ad esempio i vestiti che si passano di figlio in figlio o che vengono scambiati tra mamme; in altri casi  si percepisce nelle persone dell’imbarazzo come se ci fosse qualcosa di cui vergognarsi nell’utilizzare cose usate. Forse perché avendo acquisito un certo benessere, pensiamo che usare le cose degli altri sia un passo indietro. Credo sia anche una questione di mentalità: in altri paesi, come l’Olanda è assolutamente normale scambiarsi cose o prendere cose usate.

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Quali sono i materiali e gli oggetti più adatti al riciclo e al riuso?
Prima di pensare a come riutilizzare dobbiamo ripensare al modo in cui produciamo, a come farlo in modo che, a fine vita, un oggetto o un materiale possa essere smaltito senza scarti o essere facilmente riciclato. In questo senso, credo che la chiave per mantenere una produzione industriale di massa, ma allo stesso tempo sostenibile, sia quella di utilizzare materiali naturali, resi però più preformanti dalla tecnologia. Ad esempio, in questo momento sto usando un legno che, trattato con una particolare tecnica ecologica, resiste all’aria e all’acqua. Sempre pensando al legno, poi, si tratta di un materiale che si rigenera e di cui possiamo disporre in modo sensato e organizzato immaginando che la crescita di una foresta, che è una magia della natura, venga informatizzata, programmata e controllata dall’uomo. È assurdo, invece, come oggi si utilizzino combustibili fossili preziosi, che ci hanno messo milioni di anni per formarsi, per produrre posate di plastica che vengono gettate dopo il primo utilizzo. Uno spreco senza senso.

Secondo Faccin, la sfida del futuro è l’utilizzo di materiali naturali, come il legno, resi più performanti dalla tecnologia ©Ingimage

Il design sta andando nella direzione del riuso?
Molte aziende con cui lavoro sono sempre più sensibili, dal punto di vista ambientale, nella messa a norma degli impianti di produzione: ad esempio, si attrezzano con pannelli solari e acqua di falda per il funzionamento dei macchinari. Sul prodotto finito, invece, pensando alla sostenibilità, c’è ancora molta strada da fare.

Quanto il riuso fa parte del tuo lavoro e della tua vita personale?
Per anni, prima di essere un designer, ho raccolto spazzatura – dico spazzatura ma per me si tratta di oggetti usati bellissimi trovati in tutto il mondo – e continuo a farlo. Casa mia è fatta in gran parte di cose recuperate. Una volta a Milano, quando la raccolta rifiuti non era così efficiente, passavo le notti a recuperare quello che la gente buttava e trovavo anche oggetti preziosi, come alcune sedie di Gio Ponti che sono tuttora parte del mio arredamento. Allo stesso modo, oggi, quando vado nelle discariche o nelle riciclerie, vedo cose stupende che la gente butta e che purtroppo però, per regolamento, non posso prendere. È uno spreco. Ancora, camminando per Milano, raccolgo quelle piccolissime stecche di metallo nascoste tra il pavé o tra i binari del tram – se ci fai caso ne noti tantissime – che non sono nient’altro che parti delle spazzole delle macchine che puliscono le strade: ci faccio delle sculture o semplicemente ci faccio giocare i miei figli.

riuso
Dare nuova vita agli oggetti usati è cool e fa bene all’ambiente

Cos’è per te il riuso?
Chi è capace di riusare bene, è capace di consumare bene. Si tratta di persone che vivono bene con poco, con lo stretto necessario. Sembra una banalità, ma ha tantissimo a che fare con il problema globale del consumo compulsivo, dell’iper-consumo che vuol dire poi iper-produzione. Non possiamo non consumare, ma possiamo farlo in modo intelligente e riusare in modo intelligente. Sarebbe bello immaginare un giorno una società futura che riusa tutto quello che produce.

 

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