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Rubens e la nascita del Barocco in mostra a Milano
Fino al 26 febbraio il percorso espositivo curato da Anna Lo Bianco evidenzia i molteplici legami tra Rubens e l’ambiente artistico italiano, oltre al suo determinante contributo alla nascita del Barocco europeo.
Corpi di un pallore eburneo, sfondi quasi sempre oscuri, dinamismo, movimento, spettacolarità: Rubens è approdato a Milano trasferendo tra le sale di Palazzo Reale non solo il fascino delle atmosfere nordeuropee e fiamminghe ma anche il sentore di un clima familiare, o addirittura nostrano, che in numerose occasioni rinvia a forme, motivi e convenzioni rappresentative tipiche dell’arte classica o rinascimentale specificamente italiana.
Su tale chiave interpretativa si impernia la mostra curata da Anna Lo Bianco che fino al 26 febbraio disegna un percorso espositivo articolato in oltre 70 opere, 40 delle quali realizzate da Rubens medesimo, e selezionate, grazie ai prestiti provenienti da alcune delle più prestigiose collezioni del mondo, proprio al fine di evidenziare la molteplicità di legami ed assonanze tra il pittore e l’ambiente artistico italiano.
Grazie agli spunti tratti da celebri maestri rinascimentali quali Tintoretto e Correggio, ma anche agli influssi che a sua volta il genio fiammingo esercitò sui futuri protagonisti del Barocco italiano come Bernini, Pietro da Cortona e svariati altri, la mostra intitolata Pietro Paolo Rubens e la nascita del Barocco consente di apprezzare appieno le affinità elettive con l’Italia, attraverso una serie di percorsi tematici e didascalici.
L’evento, al quale si può accedere anche attraverso la comoda formula di un biglietto “open”, senza vincoli di date e orari, si pone in una prospettiva di ideale continuità con l’esposizione del dipinto rubensiano L’Adorazione dei Pastori, ultima opera realizzata prima della partenza dall’Italia, esposto al pubblico fin dalla fine dello scorso anno su iniziativa del Comune di Milano e di Palazzo Marino.
L’alfiere del Barocco europeo
L’idea di un Rubens precursore e al tempo stesso modello archetipico del Barocco europeo rappresenta un dato ormai solido ed acquisito dalla critica d’arte, da Giuliano Briganti a Luigi Mallè.
Attraverso le immagini rubensiane possiamo infatti apprezzare quella graduale ma evidente transizione dagli stilemi classici e rinascimentali al gusto, tipicamente barocco, per la molteplicità, il movimento, la ridondanza, le “moderne” bizzarrie seicentesche o, più in sintesi, per tutto ciò che produce meraviglia e stupore.
“È del poeta il fin la maraviglia/ chi non sa far stupir vada alla striglia”, avrebbe infatti proclamato, con un’ormai celebre formula, il letterato Giambattista Marino, riassumendo così i tratti salienti dell’anima barocca.
Nella pittura di Rubens un simile imperativo trova piena attuazione poiché il virtuosismo, la complessità e il dinamismo delle scene rappresentate, siano esse di soggetto mitologico, religioso o ritrattistico, testimoniano appunto la volontà di aderire alla realtà contemporanea con un inedito impeto vitale, spingendosi ad eccedere gli equilibri e la misura degli schemi classici.
Un pittore cosmopolita e “italiano”
Nato in terra germanica, ovvero a Siegen, in Westfalia, sir Pieter Paul Rubens (1577-1640) seppe meritare a pieno titolo l’appellativo di “pittore italiano” conferitogli vari secoli dopo dallo storico Bernard Berenson, poiché la sua frequentazione dell’Italia fu così vasta ed articolata che sembra quasi anticipare la famosa moda goethiana del cosiddetto “Voyage d’Italie”: da Genova a Mantova, da Venezia a Roma, l’artista soggiornò nella nostra penisola per ben otto anni, conducendo un’intensissima attività professionale.
Nominato pittore di corte dai Gonzaga, ricevette dallo stesso duca di Mantova l’incarico di recarsi dapprima a Roma (dove assimilerà la lezione decisiva di autori come Michelangelo e Raffaello ma anche di Carracci e Caravaggio) e poi addirittura in visita dal re di Spagna. La mostra di Palazzo Reale, oltre a delineare l’intimità domestica di Rubens attraverso i ritratti di alcuni membri della sua famiglia e la ricostruzione informatica della casa in cui viveva, si sofferma anche sulla spiccata predilezione che l’artista fiammingo manifestò verso la scultura antica e l’archeologia.
Conoscitore del latino e della letteratura classica, convertitosi al cattolicesimo dopo aver trascorso l’infanzia a Colonia per sfuggire alle persecuzioni spagnole anti-protestanti, Rubens sviluppò fin dall’adolescenza una formazione a tutti gli effetti umanistica.
Il peso decisivo della tradizione classica è testimoniato chiaramente non solo dall’interesse verso le statue ellenistiche o dai disegni ispirati dal Laocoonte della collezione Borghese, ma anche dai continui cortocircuiti che l’artista volutamente crea tra l’antico classico e il contemporaneo seicentesco.
Così, nelle tre pale d’altare realizzate per l’abside di Santa Maria in Vallicella (la sua più importante commissione italiana), Rubens conferisce ai santi le fattezze di eroi antichi, ovvero di imperatori e militari romani, mentre il Seneca morente del Prado viene rappresentato alla stregua di un martire cristiano.
Una visione inconfondibile della silhouette femminile
L’aggettivo “rubensiano”, diffusamente impostosi in varie lingue europee, viene spesso e volentieri impiegato con specifico riferimento ad una tipologia peculiare di figure femminili: sono le inconfondibili donne di Rubens, adipose, corpulente, candide e capaci di apparire al tempo stesso maestose e “fânées”.
Ma anche qui, nelle pose e negli atteggiamenti muliebri, non è difficile continuare a scorgere la presenza di precisi riferimenti iconografici italiani: che si tratti di Susanna e i vecchioni o del Martirio di Sant’Orsola, giudicato affine al “Cristo e l’adultera” di Tintoretto, i parallelismi non smettono di riproporsi.
E il volto della rubensiana Maddalena in estasi non può fare a meno di evocare quello delle memorabili protagoniste del Bernini, in preda a rapimenti tanto mistici quanto plasticamente “terreni”.
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