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Peter Schellenbaum: il corpo racconta… anche i sogni
Intervista a Peter Schellenbaum, psicanalista junghiano di fama mondiale, in occasione dell’uscita del suo ultimo libro “Vivi i tuoi sogni” in cui sottolinea la funzione ispiratrice e creativa dei messaggi della notte.
I suoi precedenti successi, “la ferita dei non amati“, “Il no in amore“, “Alzati dal lettino e cammina“, hanno già messo in luce il suo messaggio, quello di uno psicoterapeuta che ha fiducia nel potenziale creativo ed evolutivo delle persone e che, dolcemente, guida le persone a prendersi in mano, coccolarsi, accettarsi e trovare nuove strade per essere e “diventare“, se stessi, nel mondo. Nel suo nuovo libro “Vivi i tuoi sogni” Peter Schellenbaum consolida la sua visione integrata di corpo, emozioni, mente e anima, attraverso un approccio originale ai sogni, visti come espressioni della totalità del proprio essere e proprio per questo da decodificare con la totalità del proprio essere, corpo incluso.
Peter Schellenbaum, qual è dal suo punto di vista il peso e l’importanza del sogno nella vita quotidiana? Per Freud è un nesso con il passato, per Jung è un ponte verso il futuro, lei come lo vede?
Per Freud il sogno ha a che fare col passato nel senso che durante l’infanzia a un certo punto ci sono state delle esperienze che il bambino ha dovuto rimuovere – e questa è una reazione sana a una situazione non sana – perché erano troppo intense per il suo io. Però l’adulto sviluppa dei sintomi che corrispondono a queste rimozioni, sintomi di angoscia o di fobia che si possono rendere cosci grazie al lavoro con il sogno. Poi c’è il punto di vista di Jung, che dice “no, c’è anche altro nei sogni”, non solo immagini frutto di interiorizzazioni – per esempio un padre cattivo interiorizzato come super io – ma ci sono anche immagini che rivelano qualcosa del potenziale di sviluppo del sognatore. E Jung analizza i sogni da questo punto di vista, interessandosi alle immagini archetipiche con cui si esprime la natura più profonda di chi sogna. Le due visioni si completano ed entrambi gli elementi, quelli passati e quelli futuri si trovano effettivamente nel sogno. Ma integrando la psicologia del profondo con la terapia corporea, e quindi coinvolgendo anche il corpo, si fa un passo in più nella lettura del sogno e si possono cogliere importanti riferimenti per non solo comprendere ma addirittura interagire con il presente della persona.
Quindi entrare nel corpo per entrare più profondamente in contatto con se stessi… Ci può fare un esempio?
“Entrare nel corpo” sì, non in modo qualsiasi, in modo meccanico, stereotipato, ma seguendo i segnali del paziente. Se qualcuno mi racconta un sogno presto attenzione non solo al racconto, ma anche alla posizione, all’espressione ai movimenti di chi parla. Di volta in volta, il segnale da cui partire per l’invito al coinvolgimento del corpo può essere diverso. Per esempio, un mio paziente molto dipendente dal capo, dalla moglie, dai figli, mi ha raccontato una volta un sogno in cui vedeva il padre – nella realtà già morto – come se si trattasse di una scena reale, in cui questo lo rimproverava aspramente, come aveva abitudine si fare in passato.
Ho notato, mentre raccontava, che tutto il suo corpo era teso e gli ho detto di esagerare – come si fa nella gestalt – sino a sentire il dolore… siamo così abituati alle nostre corazze che non sentiamo più il dolore. Gli ho detto di “entrare completamente” in questo atteggiamento. A un certo punto non ne ha potuto più, si è alzato, ha respirato profondamente, ha guardato dritto davanti a sé e ha affrontato suo padre come mai aveva fatto prima nella realtà. Dopodiché qualcosa si è sbloccato, dopo mesi che analizzavamo, senza risultato, il problema da tutti i diversi possibili punti di vista, con questo episodio di integrazione del corpo c’è stato un sostanziale cambiamento in tutti i diversi aspetti della sua vita, nei rapporti sia familiari che lavorativi.
Gli orientali entrano nel corpo e hanno un atteggiamento di testimone mentre invece gli occidentali restano saldamente ancorati al corpo, senza però veramente entrarci dentro. Quale è l’obiettivo che lei si pone facendo lavorare con il corpo?
Nel “raccontare il sogno anche con il corpo”, quindi includendo gesti e movimenti per integrare il resoconto di immagini ed emozioni nel racconto, si favorisce la scoperta di una dimensione in più, che non è solo una dimensione del corpo ma una nuova dimensione della coscienza. Qualcosa di molto vicino allo zen: se nello zen sei completamente presente nel respiro – non dirigi il respiro come in certe regole di yoga – allora emergono le spinte che fanno veramente parte di una persona.
Chiamo questo stato “coscienza sensibile”, ed è qualche cosa di più del semplice testimone, è una presenza vigile neutra che non valuta, ma registra. È allo stesso tempo corporea e emotiva, prende più sul serio il corpo e lo integra nell’idea e nella percezione che si ha di sé Se c’è questa consapevolezza allora si sveglia anche la saggezza dell’essere umano, perché soltanto le messe in scena – per esempio drammatizzazione, psicodramma e tutto quanto – non bastano, ci vuole questa dimensione di meditazione, dimensione di coscienza interiore affinché una drammatizzazione abbia un senso per la persona con cui si lavora.
Lei definisce i sogni come “un tentativo di armonizzare i bisogni dell’organismo, le tendenze evolutive innate, la situazione concreta di vita e le offerte dell’ambiente”, per lo sviluppo psichico, quindi, sono preziosissimi. Possiamo fare qualcosa di più per ricordare i sogni?
Sì, prima di tutto rendere sul serio il fatto di sognare. Realizzare che i sogni sono importantissimi per l’omeostasi fisica e psichica. Per la nostra salute abbiamo bisogno di sognare e se, per un periodo lungo, si sveglia qualcuno mentre sta sognando, questo si ammala. Prima di dormire devo dirmi “io voglio ricordare questo sogno”. Alla mattina, svegliandomi – e questo non si può fare tutti i giorni, ma alla domenica, quando abbiamo più tempo – prendo il mio tempo, sono in uno stato mezzo vigile mezzo sonnolento, mi aggancio a un piccolo dettaglio, rimango con una attenzione un po’. È importante non alzarsi subito, non cambiare posizione, per non svegliarci troppo presto. Ci vuole una fase intermedia in cui ci si prende tempo, per ricordare un sogno ci vuole tempo, dettaglio dopo dettaglio e poi scriverlo, scrivendolo si ricorda molto meglio. Paradossalmente, dedicare tempo ai sogni – cercare di ricordarli e di capire il loro messaggio -, porta proprio al “risveglio”, a una vita più desta, più completa e più adeguata alle esigenze personali.
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