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Il gioco della sabbia
Il Gioco della sabbia viene usato nella psicoterapia dei bambini e sviluppa il valore dell’immaginazione e di oggetti in miniatura.
Il Sandplay – Gioco della Sabbia – ideato dal grande
psicoanalista svizzero Carl Gustav Jung e dalla sua allieva Dora
Kalff, si basa sulla pratica del modellare creativo, un approccio
per prendersi cura di se stessi attraverso le mani.
Ha una validità diagnostica e un’efficacia terapeutica tanto
per gli adulti quanto per i bambini, per i quali viene infatti
utilizzato anche nell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di
Roma.
L’utilizzo della sabbia e di oggetti in miniatura (persone,
animali, piante, case con i relativi utensili, monumenti sacri e
simboli religiosi, automobili, ma anche sassi, legni, conchiglie e
materiali grezzi di tutti i tipi), messi a disposizione per
comporre scenari immaginari permette di liberare le forze
dell’emisfero destro del cervello, quelle intuitive e corporee,
istintuali ed immaginative, allo scopo di compensare ed equilibrare
quelle logiche e razionali, asettiche ed astratte, unilateralmente
privilegiate dalla coscienza collettiva.
Il Sandplay consente di far fluire la libera spontaneità
nell’uso creativo della sabbia ed è in grado di attivare
quegli strati più profondi dell’inconscio, difficilmente
raggiungibili con metodi più verbali.
La sabbia, costituita di tanti minutissimi grani che le
conferiscono una spiccata plasticità e morbidezza, suscita
sensazioni tattili che variano moltissimo a seconda che sia
asciutta, bagnata, e in che quantità sia bagnata; è
liquida come l’acqua, abrasiva come il fuoco, modellabile come la
terra, e contiene in sé il significato degli elementi
naturali primordiali.
La sabbia riporta all’esperienza con la matrice terrestre da cui
tutto origina e da cui origina la vita: favorisce quindi il bisogno
elementare di trovare le proprie origini, come pure riporta al
bisogno infantile e al piacere del manipolare.
Il modo in cui si entra in contatto con la sabbia rappresenta il
modo con cui si è in rapporto col proprio corpo; manipolare
la sabbia ripropone l’antica esperienza di cure materne; con il
toccare, accarezzare, afferrare e costruire si raggiungono livelli
profondi della propria anima e della propria natura.
Il metodo del Sandplay fornisce la possibilità di
un’interazione tra corpo e psiche, tra materia e spirito, e crea un
campo comune in cui spirito e corpo possono reciprocamente
influenzarsi.
Un ciclo di lavoro con la sabbia incoraggia una maggiore
attenzione, veicolata dalle immagini, ad accorgersi delle proprie
risorse poco sviluppate ed utilizzate, dei propri sentimenti e
desideri, mantenendo tutto ciò fuori dalle sollecitazioni
ambientali.
La rappresentazione del proprio mondo interiore può
facilitare anche la rappresentazione di contenuti problematici:
l’obiettivarli, per mezzo delle immagini, risulta più
accettabile e meno spaventoso del sognarli o, ancora peggio, del
percepirli confusamente.
Il Gioco della Sabbia è praticato in presenza di un
terapeuta esperto del metodo del Sandplay: ciò non significa
soltanto che corpo e spirito del bambino o del paziente adulto
interagiscono, ma anche che la personalità del terapeuta
influenza il gioco delle energie in trasformazione. La sabbiera
diventa il campo interattivo tra paziente e terapeuta, e l’immagine
nella sabbia è la forma visibile e tangibile offerta da chi
gioca a questa speciale interazione.
Attraverso una disposizione recettiva della mente, dello sguardo
e delle emozioni, il terapeuta può assistere ad una
composizione delle immagini che vengono giocate come un fantastico
caleidoscopio, da dove nasce una narrazione realizzata per simboli,
che attingono dalle personali memorie, ma anche da immagini
archetipiche che popolano l’inconscio di chi ha costruito ed agito
queste immagini.
Chi gioca con la sabbia fa esperienza del fatto che il terapeuta
accetta le sue produzioni fantastiche, tentando di elaborarle e
comprenderle insieme a lui, e le valorizza: seppur mediato
dall’udito e dalla vista, il silenzio del terapeuta convoglia
l’energia, non svuotata con la verbalizzazione, in un ascolto
totale che tocca l’epidermide e passa per la pancia, il cuore, la
testa, divenendo, solo poi, pensiero.
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