Da Platone a Hillman vi sono filosofi e psicologi che sostengono che siamo chiamati a decifrare il codice della nostra anima, affinché possiamo cogliere con nitore il senso compiuto della nostra presenza nel mondo.
Il mito dell’Iperuranio
Nel Fedro, Platone descrive il percorso dell’anima, che prima di incarnarsi si affaccia sulla “Pianura della Verità”. Sarà la qualità di questa visione a determinare il tipo di esistenza che avrà sulla Terra.
Il termine Iperuranio indica letteralmente “il luogo sopra il
cielo, sopra il cosmo fisico”, ovvero un non luogo; in pratica,
rinvia a un’immagine aspaziale e atemporale, a una dimensione
squisitamente spirituale, metafisica.
Nel Fedro, Platone narra come le anime, prima di incarnarsi e prima
ancora della nascita dei corpi, cerchino con tutte le loro forze
spirituali di contemplare, cioè di “vedere” in senso
metafisico, tutto ciò che si trova nella “Pianura della
Verità”.
E più le anime hanno contemplato, più hanno potuto
scrutare il volto della verità, tanto più avranno
dignità etica e consistenza d’essere.
Detto in altri termini, l’uomo è uomo per la contemplazione
della verità!
Ma ecco il bellissimo passo platonico, quanto mai attuale per
l’uomo d’oggi spesso prigioniero delle mode, degli anonimi “si
dice”, delle opinioni, dei pallidi riflessi della verità:
“L’anima che ha visto il maggior numero di esseri è legge
che si trapianti in un seme di uomo che dovrà diventare
amico del sapere e amico del bello, o amico delle Muse, o
desideroso d’amore. Quella che viene seconda, è legge che si
trapianti in un re che rispetti la legge o in uomo abile in guerra
e adatto al comando. La terza in un uomo politico o in un
economista o in un finanziere. La quarta in un uomo che ama le
fatiche, o in uno che pratichi la ginnastica o che si dedichi alla
guarigione dei corpi. La quinta è destinata ad avere la vita
di un indovino o di un iniziatore ai misteri. Alla sesta
converrà la vita di un poeta o di qualcun altro di coloro
che si occupano dell’imitazione. Alla settima la vita di un
artigiano o di un agricoltore. All’ottava la vita di un sofista o
di un corteggiatore di popolo. Alla nona la vita di un
tiranno”.
Come si vede non sono gli onori, le ricchezze, l’appoggio dei
potenti a determinarci come uomini e a condizionare il nostro stare
nel mondo, bensì il grado di contemplazione della
verità.
Fabio Gabrielli
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In questo passo estremamente lucido e puntuale, accompagnato, di conseguenza, da uno scarno commento, Seneca si presenta al lettore in tutta la sua schietta umanità.
E’ vero asceta colui che sa vivere in armonia la sua duplice dimensione spirituale e corporea, trovando il giusto equilibrio tra anima e corpo.