Il pensiero e la ricerca progettuale di Toyo Ito

Il processo di ricerca progettuale dell’architetto giapponese Toyo Ito risulta evidente nella sua opera più significativa: la Mediateca di Sendai

Il processo di ricerca progettuale dell’architetto giapponese Toyo Ito
risulta evidente nella sua opera più significativa: la
trasparenza della Mediateca di Sendai (1995-2001).
La costruzione assomiglia ad un gigantesco acquario. Le vetrate
filtrano la luce all’interno, che pare illuminato da un liquido di
diverso colore a seconda dei riflessi filtrati dalle vetrate.
La struttura subisce una metamorfosi: le colonne composite in
tralicci d’acciaio sono piegate lungo l’asse verticale e acquistano
una valenza naturalistica. A dispetto della loro conformazione i
pilastri interni creano dei vuoti che tagliano tutto l’edificio e
nel liquido luminoso che attraversano mimano le alghe marine,
completando così l’immagine che di sé la costruzione
intende comunicare.
Ai filamenti fluttuanti nell’acquario Ito affida il compito di
liberare definitivamente lo spazio da ogni immagine evocante la
necessità, il bisogno, l’uso. L’edificio diventa un
acquario: un luogo, un oggetto, uno spaccato sul quale poter vedere
la nostra società.

Società e realtà sono in un continuo movimento, al
contrario di quello che avviene per un edificio. Diventa
affascinante allora il tentativo di farlo interagire, muovere con
quello che lo circonda che è la nostra società,
cosmopolita, indefinibile, senza strutture, invisibile.
L’architettura diventa scoprire questo invisibile attraverso la
trasparenza, l’immaterialità.
All’origine di quanto Ito ha costruito o progettato, vi è
quindi il tentativo di rendere l’architettura immateriale,
liberandola dai consueti involucri, dalla gravità e dalla
ricerca di belle forme spaziali.
Ito ha imposto al suo linguaggio una progressiva rarefazione.
Seguendo questo indirizzo di ricerca, le opere di Ito finiscono per
esaltare le valenze ottiche dei materiali e, al contempo, per
ricorrere a forme sempre più libere.
Ossessionata dalla leggerezza, l’architettura di Ito sembra
rifuggire tutto ciò che può evocare gravità e
appoggio. Anche gli spessori (“torre acrilica”) tendono a
scomparire e gli edifici a diventare veri e propri schermi vaporosi
(“torre dei venti”).

L’opera di Ito è l’esempio che scelte coraggiose e
innovative non possano far altro che arricchire il territorio su
cui sono fondate.

Tomaso
Scotti

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