Carbon neutrality, economia circolare e comunicazione: questi i temi su cui si sono confrontati le imprese nei primi Impact table condotti da LifeGate.
L’11 ottobre, dopo la presentazione dei risultati dell’ottavo Osservatorio sullo stile di vita sostenibile di LifeGate, c’è stato spazio per i tre Impact table.
Si tratta di tre tavoli di lavoro in cui le aziende si sono confrontate su altrettanti temi: carbon neutrality, economia circolare e comunicazione.
A quali condizioni un’azienda ha il diritto di definirsi sostenibile? Interpellati per l’ottava edizione dell’Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibilecondotto da LifeGate, gli italiani mettono sul podio la sostenibilità dei processi produttivi, l’uso responsabile delle risorse e l’attenzione ai lavoratori, rispettivamente con il 38 per cento, il 33 e il 22 per cento delle preferenze (un dato, quest’ultimo, che sale al 32 per cento per la generazione Z). Le aziende non sono rimaste a guardare e danno sempre più rilevanza a questi temi, anche attraverso congrui investimenti. Attenzione, però, perché solo il 46 per cento degli italiani crede che si stiano davvero impegnando per assicurare un futuro al pianeta; una percentuale quasi identica, il 45 per cento, è convinta che le loro promesse siano pure e semplici operazioni di marketing. LifeGate, che da più di vent’anni si occupa tanto di affiancare le imprese quanto di informare i consumatori, ha deciso di dibatterne direttamente con chi sta dietro le quinte delle strategie di sostenibilità. L’11 ottobre, dopo la mattinata di presentazione dei risultati dell’Osservatorio, quindi, i suggestivi spazi di Villa Necchi Campiglio hanno ospitato gli Impact table: tavoli di lavoro in cui confrontarsi, in modo aperto e diretto, sulla direzione da percorrere.
Perché impact? Perché ciò che fa la differenza tra le azioni concrete e le parole altisonanti ma vuote (il cosiddetto greenwashing) sta proprio nell’impatto positivo che l’azienda riesce a generare sul contesto che la circonda. Un impatto che può essere ambientale, sociale oppure economico. Un impatto che – compito ancora più sfidante – bisogna riuscire a monitorare, misurare attraverso indicatori quantitativi e infine comunicare in modo corretto e trasparente a tutti gli stakeholder, clienti e non solo.
Come suggerisce il nome, gli Impact table sono i tre tavoli di lavoro in cui i referenti di varie aziende italiane si sono scambiati idee e aggiornamenti sulle iniziative che li vedono coinvolti e sulle prospettive per il futuro. Nella graduatoria dei criteri di valutazione delle imprese indicata dagli italiani all’Osservatorio, al quarto posto a pari merito ci sono due argomenti in gran voga: carbon neutrality ed economia circolare, con il 15 per cento delle preferenze ciascuno. Sul primo si sono confrontati Banca Sella, Coop Italia, Firriato, Poste Italiane, Atm, Bosch, Cirfood, Vaillant e Iveco Group. Il secondo invece è stato al centro del dibattito tra i referenti di Fratelli Guzzini, Nespresso, Cooperativa Cartai Modenese, Ecostore, Bolton Group, Ponti, Pizzoli, Enel X, Erion e Grundig. Il terzo tavolo, infine, era dedicato a un tema traversale: la comunicazione. Protagonisti, Coop Italia, Perfetti Van Melle, Vibram, Inwit, Ponti, Poste Italiane, Bosch, Pizzoli, Erion, Mapa Spontex Italia, Cooperativa Cartai Modenese e Icam. A guidare il dibattito, i membri del management e del team di consulenza di LifeGate.
Cosa è emerso dal confronto tra le aziende
Allo stesso tavolo, dunque, erano seduti colossi del food&beverage e della grande distribuzione, banche, consorzi, grandi nomi della tecnologia e altro ancora. Soprattutto agli occhi di chi non è addetto ai lavori, viene spontanea una domanda: cos’hanno in comune aziende così eterogenee?
In realtà, molto più di quanto sembri. Perché un obiettivo come il taglio delle emissioni di gas serra non è limitato ai confini di una singola impresa; al contrario, è vincolante per l’Unione europea nel suo insieme, la cui tabella di marcia prevede un calo pari almeno al 55 per cento già entro il 2030 (un orizzonte strettissimo, agli occhi di chi deve stanziare investimenti ad hoc) per poi arrivare allo zero netto entro il 2050. I partecipanti sono consapevoli di quanto tale traguardo sia raggiungibile soltanto se anche la rete di fornitori remerà in questa direzione: una transizione di questo calibro però dev’essere sostenuta e non imposta dall’alto, soprattutto se – come accade in Italia – si ha a che fare con piccole e medie imprese per cui è materialmente impossibile farcela da sole.
Anche l’economia circolare, a pensarci bene, sprigiona al massimo il suo potenziale quando c’è la possibilità di collaborare. Perché ogni singola azienda può fare tutto il possibile per limitare a monte gli sprechi, prediligere i materiali riciclati e allungare la vita utile del prodotto, fin dalla fase di design; a valle, invece, può avviare percorsi virtuosi di recupero e gestione dei rifiuti. Esperienze virtuose che i partecipanti agli Impact table hanno messo in pratica e raccontato. Ma ci sono anche risorse che in una filiera vengono inevitabilmente scartate, per vincoli tecnici e normativi, ma in un’altra diventano preziose: ecco allora che stringere alleanze significa creare valore per il sistema nel suo insieme.
A #Milano metà della popolazione sa cos'è l'economia circolare, mentre il dato a livello nazionale scende al 37%.
"È un concetto nuovo ma che viene compreso sempre di più dagli italiani, che nel momento in cui lo conoscono lo sostengono", sottolinea @RMannheimer.#ONS22pic.twitter.com/qv2O2HDMQP
Anche la comunicazione, tema del terzo tavolo, funge da minimo comune denominatore. Perché, indipendentemente dal settore merceologico a cui fa riferimento, è proprio attraverso il marketing e la comunicazione che un’azienda può creare consapevolezza nei consumatori, fino al punto da incentivarli ad adottare nuovi comportamenti. Un’ambizione tutt’altro che semplice da concretizzare, tanto più in un momento storico in cui la fiducia nei confronti delle dichiarazioni dei brand è bassissima. Per riconquistarla si rende quindi necessario lavorare su nuovi territori e nuove audience, anche stringendo alleanze con voci percepite come autorevoli.
Una questione di volontà e metodo
A seconda delle proprie caratteristiche, ogni azienda dovrà poi declinare questi princìpi attraverso progetti specifici, facendo leva su competenze e risorse molto diverse. Resta il fatto che, com’è emerso chiaramente da questo confronto, le grandi sfide della sostenibilità sono comuni e condivise. E per affrontarle servono due cose. Serve una volontà chiara e salda che non può essere espressione soltanto del sustainability manager, ma dev’essere condivisa dall’organizzazione nel suo insieme e dai suoi stakeholder. Perché quello che ci aspetta è un cambiamento di sistema e non è pensabile che a portarlo avanti sia una singola funzione aziendale. E infine, serve un metodo. Un metodo per progettare, implementare, misurare e comunicare le iniziative di sostenibilità e i loro obiettivi, mettendo bene in chiaro anche i loro limiti e gli ostacoli contro i quali si dovranno scontrare.
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