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Qual è l’impatto ambientale della musica che ascoltiamo e come ridurlo
Una ricerca inglese ha calcolato l’impatto ambientale della musica consumata, o meglio ascoltata, su vinile, cd, ma soprattutto in streaming.
I tempi cambiano, ma la musica resta. Irrinunciabile per molte persone, anche la musica, come ogni bene di consumo, ha il suo impatto ambientale che dipende da vari fattori, tra cui il tipo di formato e le modalità di fruizione. Due ricercatrici inglesi hanno condotto uno studio per capire quale sia la scelta più ecologica, per esempio, tra l’ascolto di un disco in vinile, su cd o in streaming.
C’è vinile e vinile
Sebbene lo streaming sia oggi il modo più diffuso per ascoltare la musica, un trend peraltro in crescita nel prossimo futuro, vecchi formati come cassette e vinili stanno tornando alla ribalta, registrando dati di vendita impensabili fino a qualche anno fa.
Nel 2018, negli Stati Uniti, le vendite di dischi in vinile sono cresciute del 12% (da 8,8 a 9,7 milioni), mentre quelle di musicassette quasi del 19% (da 99.400 a 118.200 copie, dati BuzzAngle). Ma, visto che l’hype di tali supporti non sembra destinato ad arrestarsi presto, questo significa che potrebbero essere prodotti più dischi non riciclabili aumentando l’impatto negativo sull’ambiente.
I vinili moderni, fabbricati a partire dal 1948, sono realizzati con materiali diversi rispetto ai dischi grammofonici in uso per tutta la prima metà del XX secolo. I primi 78 giri erano in gommalacca, una resina naturale ottenuta dalle secrezioni di un insetto, l’emittero femmina, depositate sulla corteccia degli alberi.
I dischi di oggi, invece, come riportato da Sharon George e Deirdre McKay della Keele University a The Conversation, contengono in media 135 grammi di Pvc, una resina termoplastica con un’impronta (carbon footprint) di 0,5 kg di CO2 (basata su 3,4 kg di CO2 per 1 kg di Pvc, secondo il sistema di conversione inglese).
Pur essendo un materiale plastico riutilizzabile e nonostante alcuni processi tecnologici per renderlo ancora più riciclabile, il Pvc viene recuperato solo parzialmente per via degli alti costi di lavorazione. Le due studiose ritengono che i 4 milioni di LP venduti nel 2017 nel Regno Unito, un aumento del 1.427% rispetto al 2007, produrranno 1900 tonnellate di CO2, pari all’impronta annuale di circa 400 persone, senza tenere conto del trasporto e dell’imballaggio.
Dai cd allo streaming, quanto inquina il digitale
Negli anni Ottanta i vinili sono stati soppiantati dai cd, con la promessa di una maggior durata e una migliore qualità del suono. I cd, fatti di policarbonato e alluminio, che ha un impatto ambientale leggermente inferiore rispetto al Pvc, sono fabbricati utilizzando meno materiali dei dischi. Ma non sono mai stati riciclati perché i materiali misti sono difficili da separare e antieconomici.
I cd sono poi racchiusi in fragili custodie in policarbonato che, pur essendo un materiale unico, non è del tutto riciclabile. Inoltre non sono indistruttibili come si pensava all’inizio, il che significa che molti sono finiti nelle discariche. Una soluzione, tuttavia, dovrebbe arrivare dai ricercatori di Ibm una volta finalizzato il loro rivoluzionario sistema di riciclo del policarbonato senza rilascio di sostanze tossiche.
Purtroppo, ogni volta che un nuovo formato tecnologico sostituisce il precedente (i dischi in vinile, poi le cassette, i cd e ora i servizi di streaming), ci rendiamo complici di un ciclo di sprechi e disfacimenti indotto dal mercato. Mentre i cd di alta qualità possono durare fino a 50 o 100 anni se conservati in condizioni ottimali, gran parte dei cd di bassa qualità si danneggia facilmente per l’esposizione diretta alla luce del sole e al calore, si deforma per le temperature che cambiano rapidamente, si graffia e si sporca, diventa illegibile e quindi si butta via.
Le piattaforme digitali su Internet ci offrono oggi una qualità musicale eccellente senza il problema del deterioramento fisico. La musica può essere facilmente copiata, caricata e trasmessa online senza download. Il dilemma sulla musica digitale posto da George e McKay è più che legittimo: se l’ascolto in streaming è meno tangibile del vinile o dei cd, allora dovrebbe essere più rispettoso dell’ambiente. La risposta, in realtà, non è scontata.
Secondo l’ultimo rapporto Nielsen, negli Stati Uniti lo streaming costituisce il 75% della musica consumata nel 2018, rispetto al 50% del 2016. Anche se i nuovi formati sono immateriali, non significa che non abbiano un impatto ambientale. Anzi, abbiamo già visto quanto Internet inquini e pensato a un progetto per ridurre e compensare le emissioni di CO2 prodotte navigando sul web. I file elettronici che scarichiamo sono archiviati su server attivi che vanno raffreddati. Le informazioni sono recuperate e trasmesse attraverso la Rete a un router, che viene trasferito via wifi ai nostri dispositivi elettronici.
Questo accade ogni volta che trasmettiamo una traccia, che costa energia. Una volta acquistato, il vinile può essere suonato con una certa frequenza, e l’unico costo in termini di gas serra deriva dal funzionamento del giradischi. Se invece si ascolta la musica in streaming attraverso un sistema audio hi-fi, si stima che il consumo energetico sia di 107 chilowattora di elettricità all’anno, il cui costo è di circa 15 sterline per il suo funzionamento. Un lettore cd consuma 34,7 chilowattora all’anno al costo di 5 sterline.
Qual è l’opzione più green per impatto ambientale?
Secondo le due ricercatrici inglesi, la scelta più ecologica dipende da vari fattori, tra cui fondamentale è la frequenza con cui si ascolta la musica. Se mettiamo su un brano solo un paio di volte, lo streaming è l’opzione migliore. Se lo sentiamo ripetutamente, invece, è preferibile averne una copia fisica. Far scorrere un album su Internet oltre 27 volte, per esempio, richiede più energia di quella necessaria a produrre un cd dello stesso.
Se si vuole ridurre il proprio impatto sull’ambiente, in definitiva, il buon vecchio vinile potrebbe essere la soluzione fisica ottimale. Per la musica online, l’archiviazione su telefoni, computer o unità di rete locali permette di conservare i dati più vicini all’utente riducendo l’esigenza di streaming a distanza da server remoti attraverso la Rete, e quindi risparmiando energia.
In un sistema in cui le abitudini di consumo e le relazioni sociali avvengono sempre più online, la rinascita dei dischi in vinile e di altri formati vintage potrebbe rappresentare una felice controtendenza, trainata dal piacere dell’ascolto e non per forza da un effetto nostalgia. Un’esperienza che, con amorevole cura, mantiene il suo valore e dura nel tempo.
I vecchi supporti emanano un senso di importanza e permanenza, ci appartengono in un modo in cui gli acquisti virtuali semplicemente non possono fare. Qualunque sia il formato, concludono George e McKay, possedere copie della nostra musica preferita e riprodurle spesso potrebbe essere davvero l’opzione più felice per l’ambiente.
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