Tutta l’energia che consuma l’intelligenza artificiale

L’evoluzione dell’intelligenza artificiale sta portando alla luce un grande problema per il nostro Pianeta: l’impatto energetico sta diventando insostenibile.

Una ricerca effettuata su ChatGpt consumerebbe dieci volte la quantità d’energia necessaria per una ricerca su un motore di ricerca tradizionale come Google. A dirlo è l’Agenzia internazionale dell’energia. L’incredibile ascesa delle intelligenze artificiali generative negli ultimi anni ha spesso distratto da alcuni fattori rilevanti e inquietanti: tra tutti, l’impatto ambientale delle IA generative, che richiedono grandi quantità d’energia elettrica, ma anche di acqua, per funzionare.

Questo tipo di tecnologia si basa infatti sul “lavoro” di data center, ovvero centri di elaborazione potenti e sofisticati, che analizzano e processano enormi moli di dati per elaborare risposte. Ogni banale interazione con ChatGpt o altre IA in grado di generare immagini e video, come quelle presentate da OpenAI, Google e altre aziende in questi mesi, necessita quindi di grande potenza computazionale, e quindi di elettricità.

La rete elettrica statunitense è in affanno per l’intelligenza artificiale

L’aumento dell’interesse per servizi simili, ha scritto il Washington Post, sta già mettendo in difficoltà la rete elettrica statunitense, costringendo questi centri a risucchiare ancora più energia, anche da fonti sporche, il ritorno del carbone, insomma.

Un dato su tutti: un singolo data center di Meta consuma ogni giorno quanto consumano sette milioni di laptop che vengono usati per otto ore al giorno per un anno intero.

Questo avviene proprio in un settore dominato da pochi giganti che, nel corso degli anni, hanno investito molto, e con buoni risultati, per rendere questi data center più sostenibili. Google ha per esempio adottato un “approccio trasparente” sui suoi consumi d’acqua, necessaria per raffreddare i macchinari in continua elaborazione, e promesso di utilizzare 24 ore al giorno energia pulita per alimentare i propri data center, entro il 2030.

Da dove arriva tutta questa energia?

Ma la corsa alle IA sta rivedendo le loro priorità e quindi anche questi annunci, e sta favorendo una rete di realtà minori, attualmente sono presenti 2.700 centri di elaborazione negli Stati Uniti, che non sempre hanno a cuore l’ambiente, né sentono la pressione sociale e politica all’utilizzo di fonti pulite. “Cominciano a pensare come le industrie chimiche e del cemento”, ha spiegato al Washington Post Ganesh Sakshi, dirigente della Mountain V Oil & Gas, un’azienda di gas naturale: “Quelli che ci hanno contattato hanno un approccio agnostico riguardo la provenienza dell’energia”.

Per far funzionare gli chatbot su cui praticamente ogni azienda tecnologica sta puntando tutto, quindi, si ricorre sempre più spesso a combustibili fossili, “sporcando” uno dei pochi settori che, almeno di facciata, aveva da sempre puntato molto sull’utilizzo di alternative sostenibili.

A questo punto, la Silicon Valley potrebbe fermarsi per un secondo e considerare quanto fatto finora, gli investimenti miliardari in una tecnologia ancora sperimentale che, al di là dei risultati sorprendenti, secondo alcuni avrebbe creato una bolla speculatoria di puro hype. Come scritto recentemente dal Wall Street Journal, “la rivoluzione delle IA sta già perdendo forza”, con molte delle aziende che per prima hanno adottato strumenti come le IA di Microsoft che sollevano i primi dubbi, e il persistente timore che questa tecnologia non sia sostenibile economicamente. Anche perché, come visto, per farla funzionare serve energia, ma anche strumenti tecnologici potenti, richiesti e molto costosi, come i chip di Nvidia.

Il settore Big Tech sembra però destinato a scegliere un’altra strada, ben lontana dalla cautela appena descritta, e pare voglia risolvere il problema energetico inseguendo una miracolosa fonte d’energia pulita e abbondante: la fusione nucleare.

Il sogno? La fusione nucleare entro il 2028

Sam Altman, co-fondatore e capo di OpenAI, ha investito in Helion Energy Inc., una startup che mira a costruire una centrale a fusione nucleare entro il 2028. Per capirsi, si tratta dello stesso fenomeno nucleare che alimenta il Sole e ogni altra stella dell’universo: da decenni centri studi e aziende investono per portare sulla Terra, in scala minuscola, questo processo, che potrebbe produrre enormi quantità d’energia pulita.

Recentemente il consorzio europeo Eurofusion, di cui fanno parte 31 paesi tra cui l’Italia con Enea, ha annunciato di aver concluso con successo il più grande esperimento di fusione nucleare al mondo, producendo 69 megajoules di energia con appena 0,2 milligrammi di combustibile, in un processo che unisce i nuclei di due isotopi fino a fonderli, rilasciando un’enorme quantità d’energia. L’obiettivo è rendere questo processo meno straordinario, e quindi più continuo e soprattutto sicuro.

Helion Energy insegue una strada simile, anche grazie ai fondi di Altman, che vede nella startup la chiave per risolvere il problema energetico delle AI. E anche Microsoft, azienda che con OpenAI ha un’alleanza ormai consolidata, ha investito nel progetto, promettendo di comprare energia prodotta in tal modo dall’azienda. Ma siamo, come si suol dire, al vaporwave. Alla fuffa. Certo, sarebbe bello poter produrre energia pulita e sicura simulando i processi stellari ma siamo sicuri che questa svolta sia dietro l’angolo? E soprattutto, qualora ci riuscissimo, la prima applicazione dovrebbe davvero essere l’alimentazione dei data center per le AI?

Lo stesso Altman nei mesi scorsi aveva dichiarato che per risolvere i problemi tecnologici e ambientali del settore, producendo chip potentissimi e meno energivori, servivano soldi. Tanti. Quanti? Settemila miliardi di dollari, ecco quanto, una cifra poco inferiore al doppio del Pil tedesco, per dare un’idea. Insomma, un settore insostenibile economicamente che sta già causando danni ambientali, il tutto senza citare i discussi problemi che queste aziende hanno con il diritto d’autore, il rapporto con gli artisti e il pubblico stesso. Ma, certo, settemila miliardi di dollari dovrebbero bastare a risolvere tutto.

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