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Essity trasforma gli scarti delle arance in tovaglioli e fazzoletti
Consumare sempre meno cellulosa proveniente dagli alberi e ricavarla dagli scarti agroalimentari e dalla paglia: è l’impegno di Essity, leader nel settore dei prodotti per l’igiene.
Gli scarti della lavorazione di arance, mais e caffè diventano fazzolettini, tovaglioli, carta da cucina e carta igienica: è il nuovo progetto di Essity, una delle più importanti aziende globali nel campo dell’igiene e della salute. Crush – questo il nome della carta, biodegradabile e biocompostabile – è un’idea tutta made in Italy, già introdotta nei processi produttivi degli stabilimenti toscani.
Ma come funziona, nello specifico? L’intuizione risale a circa quattro anni fa, quando Essity ha incontrato Favini, storica cartiera del vicentino che ha già sperimentato con successo la carta a base di fagioli e lenticchie. Poi, dietro le quinte, tanto lavoro di ricerca scientifica, test, selezione dei fornitori. L’obiettivo è quello di ridurre il fabbisogno di alberi e utilizzare invece la fibra contenuta negli scarti di produzione di mais e caffè oppure nel pastazzo di arance, cioè quell’insieme di residui di bucce, polpa e semi che rimane al termine della produzione industriale di succhi di frutta.
Il 28 maggio a Milano è arrivato il momento di svelare il risultato: una carta dermatologicamente testata, ipoallergenica, morbida e raffinata, certificata con il marchio Ecolabel. Una carta in cui, soprattutto, il 15 per cento della cellulosa è ricavato dai sottoprodotti alimentari e il processo di lavorazione richiede meno sostanze chimiche rispetto a quello della fibra interamente riciclata, in un’ottica di economia circolare.
La carta si fa anche con la paglia
Consumare il meno possibile le risorse della natura, alberi in primis, è una delle sfide per cui Essity si sta spendendo. Se in Italia la soluzione arriva dagli scarti alimentari, a livello globale si scommette sulla paglia. Merito di Phoenix Process, una tecnologia sviluppata e brevettata in esclusiva dalla società statunitense Sft, inedita per l’industria del tissue (cioè la carta igienica sanitaria).
Quest’innovazione è ancora un work in progress: per ora l’azienda ha investito circa 37 milioni di euro nello stabilimento di Mannheim, in Germania, per implementare i macchinari capaci di convertire la paglia da grano in carta bianca, morbida e resistente, paragonabile a quella prodotta con la cellulosa degli alberi. L’avvio della produzione è in programma per il 2020. “Sceglieremo materie prime locali, vicine agli stabilimenti produttivi, e riutilizzeremo i residui del processo produttivo come fertilizzante naturale”, spiega l’amministratore delegato di Essity Italia Massimo Minaudo.
Essity, i traguardi raggiunti in Italia
Essity, che fino al 2017 si chiamava Sca Hygiene Products, è un nome che deriva dalla fusione di due parole inglesi: essentials e necessity. Nonostante l’apparenza anglofona, l’azienda ha le sue radici in Svezia e nel 2017 si è quotata alla Borsa di Stoccolma. “Abbiamo una strategia di sostenibilità globale che prevede due grandi obiettivi da raggiungere entro il 2030: ridurre del 33 per cento il nostro impatto ambientale e contribuire al benessere di 2 miliardi di persone”, ha spiegato Massimo Minaudo il 28 maggio a Milano, nel corso di una mattinata dedicata proprio al tema della sostenibilità. “A ogni singolo paese spetta il compito di declinare queste linee guida”.
Ha risposto all’appello anche l’Italia, dove l’azienda è nota soprattutto per i marchi Tena, Libero, Demak’up, Nuvenia, Tempo, Tork, Leukoplast, Jobs e Actimove. Nel nostro paese Essity è presente con tre stabilimenti produttivi, tutti in Toscana e dedicati al comparto tissue, oltre a una sede commerciale in provincia di Milano e una sede BSN Medical in Brianza. I risultati raggiunti negli ultimi anni sono tangibili: meno 4 per cento nei consumi di energia tra il 2015 e il 2018 e meno 11 per cento delle emissioni di CO2 tra il 2010 e il 2018.
Nel 2015 lo stabilimento di Altopascio ha introdotto un impianto di filtrazione dell’acqua piovana, un prototipo per il settore tissue, che ha permesso di sforbiciare del 20 per cento l’approvvigionamento di acqua dalla falda sotterranea, risparmiando l’equivalente di dieci piscine olimpioniche. Più di recente è stato il turno dello stabilimento di Lucca, che ha investito in un nuovo impianto di trattamento delle acque reflue a elevata automazione.
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