Grazie alle nuove tecnologie, Atelier Riforma ha creato un marketplace B2B per far incontrare domanda e offerta di abiti usati. La moda circolare è tech.
Favini racconta: Orange Fiber, il tessuto ricavato dagli scarti degli agrumi
L’idea della start up Orange FIber è stata quella di creare un tessuto sostenibile utilizzando i residui alimentari della lavorazione degli agrumi, così da preservare le risorse naturali e favorire l’economia circolare. La stessa cosa che Favini fa con la carta Crush.
Gli scarti della produzione agroalimentare per molto tempo sono stati considerati solo dei rifiuti da smaltire, talvolta attraverso pratiche costose per le aziende. A un certo punto, invece, qualcuno ci ha visto un’opportunità, pensandoli in un’ottica di economia circolare. Oggi, per la rubrica Meet the Makers, raccontiamo il caso di Orange Fiber, un’azienda italiana che, così come Favini nel 2012 ha creato Crush, la linea di carte prodotte con i residui dell’industria agro-alimentare che sostituiscono fino al 15% della cellulosa, utilizza i sottoprodotti agrumicoli per produrre tessuti.
L’intuizione guardando un’arancia
Ad avere l’idea, nel 2011, è Adriana Santanocito, catanese: “Durante un corso in Fashion Design allʼAFOL Moda di Milano ho intuito che anche il settore dell’abbigliamento stava andando nella direzione della sostenibilità e ho iniziato a pensare di poter creare un tessuto dagli scarti della lavorazione degli agrumi, un prodotto tipico della mia terra”.
Nel 2012, collaborando con il Politecnico di Milano, Adriana scopre che il progetto è fattibile e, con l’amica Enrica Arena, anche lei catanese e laureata in Cooperazione Internazionale per lo sviluppo e in Comunicazione, nel 2013 brevetta il processo in Italia, estendendolo poi a PCT internazionale nel 2014. Nel 2015 viene inaugurato il primo impianto pilota in Sicilia che consente ad Orange Fiber l’ingresso sul mercato.
Dagli agrumi al tessuto
La prima parte della trasformazione degli scarti degli agrumi avviene in Sicilia: qui viene estratta dagli agrumi la cellulosa che poi viene spedita in Spagna per essere trasformata in filato. Quest’ultimo torna poi in Italia, dove viene lavorato da una tessitura comasca: tessendo l’esclusivo filato insieme alla seta comasca e al cotone si ottengono un raso e un popeline.
La gamma di prodotti dell’azienda comprende poi anche un tessuto 100% Orange Fiber, impalpabile e leggero, simile alla viscosa. Tutti i tessuti sono di colore bianco naturale ed è possibile poi tingerli, stamparli, colorarli e lavarli come i tradizionali tessuti.
Valorizzazione delle risorse e niente sprechi
“Dal mandarino all’arancia al bergamotto, prendiamo il “pastazzo” direttamente da chi spreme gli agrumi – spiega Enrica – Per ora utilizziamo una piccola parte delle 700.000 tonnellate di sottoprodotto degli agrumi prodotte ogni anno in Italia, ma ci auguriamo che i volumi possano aumentare sempre più”.
Secondo la filosofia di Orange Fiber, estrarre una materia prima da un sottoprodotto industriale, non entra in competizione con l’alimentazione, offre la possibilità di soddisfare la crescente richiesta di cellulosa per uso tessile – dovuta alla volatilità dei prezzi del cotone e del petrolio – preservando le risorse naturali (a differenza de fibre cellulosiche artificiali esistenti derivanti, per esempio, dal legno o dalla canapa) e senza produrre scarti industriali.
Premi e collaborazioni prestigiose per Orange Fiber
Negli anni Orange Fiber ha vinto numerosi premi tra cui il Premio Nazionale per l’Innovazione “Premio dei Premi” 2016 (Design italiano) – Repubblica Italiana, ADI, Associazione per il Disegno Industriale; il Technology and Innovation Award 2017 – Green Carpet Fashion Awards Italia (Camera Nazionale della Moda Italiana, Eco Age); la prima edizione del Global Change Award della H&M Foundation che ha riconosciuto all’azienda un contributo di 150mila euro. Nel 2017 è stata presentata la Ferragamo Orange Fiber Collection che ha visto la collaborazione esclusiva tra la start up con la celebre maison fiorentina Salvatore Ferragamo per la realizzazione di una linea moda che è stata inserita anche tra le 300 opere della mostra “Fashion from Nature” al V&A Museum di Londra.
Rivoluzione green
“Noi ci rapportiamo direttamente alle aziende – spiegano Adriana ed Enrica – ma quello che abbiamo potuto notare è che nell’ultimo anno c’è stato un aumento nella richiesta dei nostri campioni. Questo riflette una mutata sensibilità dei consumatori: una rivoluzione iniziata con una riflessione su quello che mangiamo e che, secondo noi, si estenderà sempre più anche a quello che indossiamo”.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Kimuli fashionability è la startup ugandese che produce abiti e accessori a partire dai rifiuti plastici, che rappresentano un enorme problema per il paese.
Upcycling e recycling: conoscere i termini e i processi legati alla moda sostenibile è il primo passo per fare acquisti consapevoli.
Si possono creare gioielli a partire dai fondi delle lattine? Silvia Lanfranco, ideatrice di Peekaboo!, ci è riuscita. E il risultato è sorprendente.
Grazie all’incontro fra due designer di culture diverse è nato un progetto di upcycling e art design che crea preziosi pezzi unici a partire da tessuti inutilizzati.
Scopriamo i progetti etici e sostenibili di quattro designer che tramite un’operazione di upcycling recuperano capi di abbigliamento con ago, filo e… futuro.
I fili di plastica riciclata che escono dalla penna 3D diventano un’opera d’arte indossabile che sensibilizza sul tema della violenza contro le donne.
Il 29 ottobre 2018 la tempesta Vaia abbattè 9 milioni di metri cubi di legname. Oggi a Rovereto parte di quel legno darà vita a un edificio sostenibile per il social housing.
Gli abiti invenduti della primavera-estate 2020 diventano una capsule collection di nove capi creati dal designer green Gilberto Calzolari per Oltre.