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A sette anni di distanza dal lancio della campagna Detox, Greenpeace Germania pubblica un nuovo rapporto che valuta i progressi compiuti finora alle aziende.
Il settore dell’abbigliamento ha un enorme impatto ambientale sul pianeta, oltre a consumare una grande quantità di risorse naturali, in molti casi inquina il suolo e i corsi d’acqua e rilascia sostanze chimiche pericolose nell’ambiente. Per invertire questa allarmante tendenza e rendere consapevoli i consumatori, Greenpeace ha lanciato nel 2011 la campagna Detox my fashion per chiedere alle aziende di moda di eliminare dai propri processi produttivi entro il 2020 le sostanze nocive per la salute umana e l’ambiente. A sette anni dall’avvio dell’iniziativa Greenpeace Germania ha pubblicato il rapporto Destination zero – Seven years of detoxing the clothing industry, che analizza i progressi compiuti dalle ottanta aziende che hanno accettato la “sfida”.
In questo lasso di tempo i marchi di abbigliamento che si sono impegnati ad eliminare gradualmente le sostanze inquinanti hanno compiuto progressi significativi. “Negli ultimi anni sono stati fatti grandi passi in avanti nell’eliminazione delle sostanze chimiche pericolose che inquinano le acque del pianeta – ha dichiarato Bunny McDiarmid, direttrice esecutiva di Greenpeace International. – Questo importante cambio di direzione nell’industria dell’abbigliamento è stato senza dubbio innescato dalla campagna Detox, grazie alla quale le aziende hanno iniziato ad assumersi le proprie responsabilità sull’intero processo produttivo, non limitandosi a garantire la sicurezza del solo prodotto finito”.
Destination Zero – Seven Years of Detoxing the Clothing Industry https://t.co/Jx8Ulgd8nO pic.twitter.com/KtiJK45sNq
— Greenpeace USA (@greenpeaceusa) 15 luglio 2018
L’obiettivo più evidente raggiunto dalla campagna Detox, che deve la sua riuscita anche alla straordinaria partecipazione di attivisti in tutto il mondo, è quella di aver reso più trasparente l’intero settore, contribuendo in maniera significativa alla tracciabilità delle filiere. Greenpeace, ad esempio, ha chiesto ai marchi di abbigliamento la pubblicazione dei risultati dei test delle acque reflue da parte dei loro fornitori. Un grande successo è anche rappresentato dalla completa eliminazione dei perfluorurati (Pfc), sostanze chimiche pericolose ampliamente utilizzate nella produzione di abbigliamento sportivo e che, una volta rilasciate nell’ambiente, sono difficili da smaltire e possono danneggiare interi ecosistemi.
Delle ottanta aziende impegnate a ridurre il proprio impatto, tra cui marchi di alta moda e di abbigliamento sportivo e che rappresentano circa il quindici per cento della produzione mondiale dell’abbigliamento in termini di fatturato, circa sessanta sono italiane. La causa di Greenpeace è stata sposata a livello trasversale sia da grandi marchi come Valentino e Benetton, che da piccole aziende. In particolare è stato sottoscritto da numerose aziende tessili del distretto di Prato un impegno collettivo per eliminare le sostanze tossiche dal processo produttivo. Sull’onda lunga della campagna di Greenpeace è inoltre nato il Consorzio italiano detox (Cid), che si occupa della gestione della sostenibilità ambientale nelle imprese della filiera del sistema moda. Il rapporto di Greenpeace delinea infine la strategia futura per raggiungere l’obiettivo prefissato, una moda sostenibile e amica dell’ambiente.
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