La silhouette rimane sempre la stessa, i materiali però sono riciclati: così adidas innova le intramontabili sneakers Stan Smith.
Favini racconta Womsh, la scarpa di design sostenibile e riciclabile
La storica cartiera e l’innovativo brand di scarpe condividono la stessa attenzione all’ambiente nella produzione, dall’impegno in progetti di riforestazione alla creazione di nuovi materiali dagli scarti agroalimentari.
Cos’hanno in comune un’azienda cartotecnica e un brand di scarpe? Apparentemente niente. Molto, invece, se entrambi producono in modo sostenibile. È il caso di Favini e Womsh. La storica cartiera vicentina ha deciso di raccontare, attraverso il progetto Meet the Makers, in collaborazione con LifeGate, gli esempi di eccellenza e innovazione sostenibile nel mondo, e di farlo attraverso le storie di persone e aziende che hanno creato qualcosa di unico e di profondamente rispettoso dell’ambiente. E il racconto parte proprio da Womsh, brand Made in Italy di sneaker di design, con la missione di produrre scarpe belle, ma allo stesso tempo sostenibili.
Favini e Womsh, la riforestazione contro le emissioni
Nel 2014 Womsh ha aderito al progetto Impatto Zero® di LifeGate grazie al quale le emissioni di anidride carbonica (kg di CO2 equivalente), immesse in atmosfera con la fabbricazione, spedizione e smaltimento delle sneakers, sono state prima calcolate, poi ridotte attraverso strategie di ottimizzazione delle risorse e dei consumi e, infine, compensate con la creazione e la tutela di foreste in crescita in Italia e in Madagascar, con una media annuale, ad oggi, di 11.000 metri quadrati di foreste. E la stessa cosa fa Favini con l’impegno in progetti ambientali che favoriscono la riforestazione, come Volaia in Madagascar, senza dimenticare l’attenzione costante nella riduzione dei consumi energetici e di quelli idrici per abbassare le emissioni di CO2 nell’atmosfera.
La scarpa che si ricicla
Womsh ha lavorato molto anche sul riciclo delle scarpe: grazie al progetto “I giardini di Betty”, sostenuto da ESOsport, le calzature vecchie vengono trasformate in pavimenti anticaduta per i parchi giochi. Ai clienti viene infatti chiesto di restituire le vecchie scarpe in negozio invece di buttarle: come incentivo (e premio) per la buona azione, viene dato loro in cambio un buono sconto da utilizzare all’acquisto successivo. In questo modo, nel 2017, Womsh ha riciclato 1.500 paia di scarpe.
L’idea di Womsh
Chi c’è dietro al brand Womsh? A fondarla è stato Gianni Dalla Mora, 56enne veneto, ottimista, viaggiatore, amante della musica, praticante di yoga e Tai Chi, con una grande passione per le scarpe trasmessa dai genitori, commercianti di calzature, in particolare dal padre che gli ha sempre raccontato “gli aspetti più tecnici ed emozionali del prodotto”. “Nel 2013, dopo aver lavorato diversi anni come un agente nel mondo delle calzature, ho deciso che vendere i prodotti degli altri non mi bastava e che volevo costruire qualcosa di tutto mio“, racconta. Da quel momento inizia a svilupparsi l’idea di Womsh: “Ho pensato di creare una scarpa bella, ma al tempo stesso anche rispettosa dell’ambiente. Era un’esigenza personale per una mia sensibilità rispetto a questi temi, ma in realtà ripensare i processi di produzione e consumo è una necessità globale che riguarda tutti”. Spiega Dalla Mora: “Oggi abbiamo davanti tre scelte: possiamo continuare a produrre facendo danni ambientali, possiamo smettere di consumare, ma sarebbe impossibile, oppure possiamo trovare un equilibrio continuando a produrre e consumare ma con un approccio etico”.
Womsh: Made in Italy a tutti i costi
Womsh sbarca prima online, poi nel 2014 anche nei negozi. La produzione delle scarpe avviene interamente in Italia, in un’azienda che funziona per il 90 per cento con energia rinnovabile. Il Made in Italy è un aspetto fondamentale per molte ragioni, dal poter vigilare sulle condizioni di lavoro alla qualità dei materiali e della manifattura, dal comfort al gusto italiano per il design. “Mi capita spesso di frequentare le fiere del commercio equo-solidale: incontro persone con ideali bellissimi, ma che spesso si dimenticano che il prodotto, per essere venduto, deve essere accattivante. Le nostre scarpe cercano invece di coniugare fashion e sostenibilità, materiali più performanti e meno impattanti con un contenuto estetico e stilistico”, dichiara il fondatore di Womsh.
L’impegno continua con la pulizia dei mari
Prossimamente Womsh aderirà anche al progetto LifeGate PlasticLess, l’iniziativa volta a ridurre la presenza di plastiche e microplastiche nei mari italiani e a sensibilizzare le persone e le aziende sulla riduzione e il riutilizzo di questi materiali, promuovendo un modello di economia e di consumo davvero circolari. Dalla Mora svela: “Pensiamo di organizzare un concorso di design in una scuola per realizzare una nuova scarpa. Il progetto che vincerà sarà realizzato in edizione limitata e i proventi saranno devoluti a LifeGate PlasticLess. Credo che l’aspetto sostenibile da solo non orienti ancora l’acquisto delle persone, ma è certamente un plus. Un prodotto deve essere bello, avere un giusto prezzo, poi se la moda è sostenibile ha un ulteriore valore aggiunto. Comprarsi una scarpa deve essere un piacere, ma può diventare anche un atto di responsabilità”.
Il riuso di scarti agro-industriali
Womsh ha poi in serbo delle novità sempre più green ed etiche per la prossima collezione di scarpe ecosostenibili. “Con l’Estivo 2019 presenteremo delle scarpe realizzate con un nuovo brevetto: si tratta di un sistema rivoluzionario di fissaggio dei pigmenti che permette di colorare il pellame senza utilizzare una base metallo e quindi di ottenere una pelle non tossica. Siamo anche riusciti a migliorare la linea di scarpe Vegan: prima veniva prodotta con un materiale che non aveva origini animali, ma che era inquinante. Ora invece realizziamo le scarpe con un prodotto derivante dagli scarti delle mele in un’ottica di economia circolare”. Un altro aspetto in comune con Favini che, nel 2012, ha lanciato Crush, la linea di carte prodotte con residui dell’industria agro-alimentare che sostituiscono fino al 15 per cento della cellulosa.
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