“In mare aperto basta lo schiaffo di un’onda per ribaltare un’imbarcazione. In mare aperto ti viene detto di andare sempre dritto e che lì troverai l’Italia, ma l’orizzonte muta e quell’andare dritto potrebbe non esistere. In mare i cellulari non prendono, non c’è nessuno e non c’è nessun taxi da chiamare”. Con queste parole siamo
“In mare aperto basta lo schiaffo di un’onda per ribaltare un’imbarcazione. In mare aperto ti viene detto di andare sempre dritto e che lì troverai l’Italia, ma l’orizzonte muta e quell’andare dritto potrebbe non esistere. In mare i cellulari non prendono, non c’è nessuno e non c’è nessun taxi da chiamare”.
Con queste parole siamo catapultati nel mar Mediterraneo, nel mezzo di una delle crisi umanitarie più grandi di sempre, quella dei migranti, che è diventata il campo di battaglia di una guerra ideologica e politica che ogni giorno continua a mietere le sue vittime. Le parole sono dello scrittore Roberto Saviano che, con il suo nuovo libro In mare non esistono taxi, vuole affrontare una questione così complessa che per essere spiegata, ma soprattutto compresa, deve essere scomposta: Saviano smonta e ricostruisce parole, concetti e pregiudizi sui migranti per ricomporre quel mosaico che a volte ci viene presentato distorto o incompleto.
Per farlo non solo presenta fatti e dati ufficiali, ma soprattutto dialoga con i testimoni, coloro che sono stati lì e hanno visto, assistito, vissuto, appreso. “Testimonianza non è solo il racconto dettagliato di ciò che accade”, scrive Saviano. “Non è diffondere un dato, ma portare la prova con il proprio corpo di ciò che si sta dicendo”. In questo caso, chi porta le prove sono i fotografi con il proprio lavoro e le proprie fotografie dal mare, dai barconi, dai centri di detenzione e di accoglienza.
Questo libro sarà testimonianza, attraverso le parole, ma soprattutto attraverso le fotografie.Roberto Saviano, In mare non esistono taxi
I taxi del mare
“Questo libro nasce con il chiaro obiettivo di portare testimonianza perché, di fronte alle menzogne, lo strumento più efficace per smontarle è fondato unicamente sulla testimonianza. Non attaccare, non confortare: testimoniare”. Il libro pone, infatti, la forza delle testimonianze contro le varie versioni di questa crisi, partendo proprio dall’espressione – i taxi del mare – che è stata attribuita alle ong che operano nel Mediterraneo con operazioni di salvataggio in mare, accusate di lucrare da queste attività. Un tema usato in diverse occasioni per alimentare la pancia di quell’onda di intolleranza e odio verso chi arriva sulle coste italiane.
Si scorge lo straniero solo quando disturba l’orizzonte quotidiano, solo quando disturba l’immaginario scontato che abbiamo piantato nel cranio.Roberto Saviano, In mare non esistono taxi
I migranti in Italia, in numeri
In Italia ci sono 5 milioni 234mila immigrati (compresi quelli provenienti da Europa, America e resto del mondo), ovvero l’8,7 per cento della popolazione del nostro paese secondo i dati Istat. Per quanto riguarda gli sbarchi, secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) riportati nel libro, 23.400 persone sono sbarcate in Italia nel 2018, l’80 per cento in meno rispetto al 2017. Però, 8,1 persone sono morte ogni giorno durante la traversata (quasi il 20 per cento di chi è partito risulta morto o disperso). In totale i morti dell’anno scorso sono stati 1.311, contro i 2.872 del 2017: un calo che però corrisponde a un aumento della mortalità in mare.
Oggi in mare si muore il doppio di prima perché non c’è più chi presta soccorso.Roberto Saviano, In mare non esistono taxi
I fotografi e le ong
A dare un volto, e un’anima, a questi numeri ci pensano quindi le esperienze e i lavori dei fotografi intervistati nel libro: Olmo Calvo, Paolo Pellegrin, Giulio Piscitelli e Carlos Spottorno.
Le loro fotografie e le loro parole – insieme a tutte le altre fotografie contenute in questo libro – hanno aggiunto diottrie al mio sguardo e ne aggiungeranno al vostro.Roberto Saviano, In mare non esistono taxi
Ognuno con il proprio stile, sensibilità e percorso. A partire da Giulio Piscitelli, che è stato l’unico giornalista e fotografo ad aver intrapreso nel 2011 un viaggio su un barcone dalla Tunisia all’Italia, rimasto alla deriva e salvato dalla Guardia costiera. La sua macchina fotografica ha anche documentato quelle rotte migratorie che a volte vengono dimenticate, quelle nel deserto, dove circa 2.500 persone perdono la vita ogni anno cercando di attraversarlo.
Il breve momento di shock che viviamo guardando queste fotografie non ci spinge a ragionare sulle cause profonde di ciò che vediamo. La questione migratoria è molto articolata. Una sola fotografia, per quanto fortissima, non può sintetizzarla.Giulio Piscitelli, fotografo
Paolo Pellegrin, con il suo potente bianco e nero, parla del ruolo della fotografia: “Immaginare un mondo senza fotografi, senza persone che vanno a vedere, è un mondo che mi fa paura. Preferisco correre dei rischi […] piuttosto che pensare a un barcone di migranti che lascia le coste della Turchia o della Libia senza che nessuno veda o sappia nulla”. Poi i fotografi spagnoli Olmo Calvo, che ha seguito il salvataggio a bordo della nave Proactiva Opena Arms, respinta da Italia e Malta e accolta da Barcellona, e Carlos Spottorno con la sua fotografia di testimonianza, di verità, come definita dall’autore Saviano.
Poi, ci sono i volti di chi salva. Come quello di Irene Paola Martino, infermiera di Medici senza frontiere, che agisce attraverso la sua “arte di prendersi cura degli altri”, che accoglie, guarisce, ascolta e raccoglie storie, a volte silenziose e raccontate dai segni sui corpi di chi arriva. “E poi arriva lo schiaffo del primo gommone visto con i tuoi occhi, che allunghi il braccio e quasi lo tocchi”, racconta. “E i numeri si trasformano in persone, che hanno un nome, che esistono, sperano e sognano come tutti noi. In quel momento ti rendi conto di migranti e migrazione non sai proprio niente e devi iniziare tutto daccapo”.
In mare dimentichi tutto quello che sai e ritorni ad essere di nuovo umano. Realizzi che dove nascere è solo questione di fortuna, che su quel gommone potevi esserci tu, ma invece ti è andata bene.Irene Paola Martino, infermiera di Medici senza frontiere
Infine, le voci di chi è arrivato, che è sopravvissuto. “Quando comincia il viaggio in mare sai che quel viaggio è l’ultimo: o arrivi vivo o resti in mare”, racconta John, un profugo eritreo di 22 anni, con il suo viaggio durato anni e costato migliaia di dollari.
Storie come le sue aprono spiragli di verità su cosa accade prima della partenza, come in Libia, dove i centri di detenzione sono “prigioni a cielo aperto” fatte di violenze e abusi, dove sono bloccate più di 700mila persone.
Le voci di chi nell’inferno libico è rinchiuso senza via di fuga non sono mai protagoniste. Eppure, come rumore di fondo, nelle cantilene tra la retorica dei porti chiusi e la necessità di opporre resistenza e mostrarsi umani, c’è un luogo, un Paese con cui l’Europa stringe accordi perché blocchi le partenze dei migranti.Roberto Saviano, In mare non esistono taxi
Il libro, edito dall’agenzia fotografica Contrasto, grazie anche alle altre fotografie di Martina Bacigalupo, Lorenzo Meloni, Alessandro Penso, Moises Saman, Massimo Sestini, è un libro che ci spinge a ripensare alla nostra concenzione di questa crisi, che ci fa immergere in essa, per comprendere – con il tempo che richiede – la sua complessità che, nella schizofrenia della nostra quotidianità ci arriva come una rapida scossa, ma è in realtà un viaggio lento, lungo, silenzioso. In mare non esistono taxi è un libro che vuole ed è destinato a durare nel tempo.
In mare aperto non c’è mai tempo, in mare aperto non esistono taxi. In mare si muore.Roberto Saviano, In mare non esistono taxi
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