Il 7 giugno del 2018, dopo pranzo, qualche cittadino di Bussoleno, in bassa Valle di Susa, avrà pensato a Dolcenera, il brano di De André che canta dell’acqua “nera che porta via”, di “malasorte” e di “falde amare”, vedendo la colata di detriti precipitare dalle montagne verso le vie della città, trascinando tronchi, massi, poi macchine, cancelli di giardini e scivoli per bambini. Il tempo, reso instabile da una depressione mediterranea colma d’aria fredda in quota, si era risolto in un temporale localizzato ed intenso, che aveva stazionato sulle montagne di Bussoleno. Quel giorno quelle montagne coperte di boschi, che da secoli proteggono la città dalla caduta di massi e dalle valanghe, riversarono sul paese da 15mila a ventimila metri cubi di detriti.
Fu colpa dei cambiamenti climatici? È difficile dimostrare con certezza il legame tra il riscaldamento globale e un temporale singolo, per quanto intenso e localizzato. A Bussoleno la crisi climatica ha giocato però un ruolo determinante. A fine agosto 2003 l’Europa centrale e l’arco alpino vennero investiti da una ondata di calore che superò tutti i record storici. In quei giorni, sulle montagne di Bussoleno, un incendio estivo senza precedenti aveva percorso cinquecento ettari di boschi di faggio, una specie forestale raramente interessata dal fuoco. Eppure il bosco era stato in grado di riprendersi spontaneamente dopo pochi anni, dato che i tronchi rimasti sul terreno, sebbene bruciati, avevano protetto il suolo dall’erosione e creato le condizioni per la ricrescita della vegetazione. Ma nell’ottobre del 2017un nuovo incendio ha bruciato circa quattromila ettari di foresta, consumando tutti i tronchi accumulati dopo la catastrofe del 2003 e “cuocendo” i suoli dei versanti sopra Bussoleno come in una fornace a 1200 °C. Pochi mesi dopo, nel giugno del 2018, la colata di detriti sull’abitato di Bussoleno ricordò a molti non solo “Dolcenera”, ma il pericolo reale che la crisi climatica comporta e i rischi imprevedibili con cui si manifesta.
Gli incendi rendono i boschi più vulnerabili all’erosione idrica
Normalmente, la foresta modifica il movimento dell’acqua e dei sedimenti lungo un versante. Le foglie intercettano le gocce di pioggia e dissipano umidità tramite l’evapotraspirazione, mentre il suolo forestale favorisce l’infiltrazione dell’acqua in profondità. Di conseguenza l’azione degli alberi riduce generalmente la quantità d’acqua che defluisce lungo il versante e che viene convogliata nel reticolo idrografico a valle. Poiché il deflusso superficiale, insieme all’impatto della pioggia, incrementa anche l’erosione, con perdita di suolo dai versanti e trasporto di sedimenti nel reticolo idrografico, la presenza del bosco contribuisce a trattenere il suolo fertile e a ridurre l’erosione e il trasporto solido nei corsi d’acqua. L’efficacia del bosco nel bilancio idrologico dipende da numerosi fattori, tra cui le caratteristiche fisiche del suolo, la pendenza dei versanti e le azioni di gestione o degrado della foresta (ad esempio gli interventi di difesa del suolo, ladeforestazione, gli incendi, l’urbanizzazione). In media, un bosco riduce il ruscellamento e l’erosione superficiale del 15-30 per cento rispetto a un pascolo o ad un terreno agricolo con suolo e pendenza simili.
Quando un incendio di alta intensità colpisce una foresta ed elimina parte della copertura vegetale, il ruscellamento e l’erosione idrica aumentano immediatamente. Tali incrementi possono aggravare i fenomeni alluvionali nelle aree urbane e peri-urbane a valle dei boschi bruciati, causando danni a persone e infrastrutture. La gravità di queste conseguenze dipende dall’intensità del fuoco: per gli incendi di bassa intensità l’impatto sulla copertura arborea è contenuto, mentre negli incendi severi fusti e chiome vengono quasi completamente bruciati e il suolo può raggiungere temperature molto elevate (fino a 600-800 °C). Da una parte la rimozione della lettiera e della vegetazione riduce l’intercettazione e l’evapotraspirazione, aumentando quindi la quantità di pioggia che si trasforma in deflusso superficiale. Dall’altra il suolo, privato della protezione della vegetazione, è più vulnerabile all’erosione determinata dalla pioggia e dalla corrente idrica. Infine il calore rilasciato dall’incendio modifica le proprietà del suolo, consumando parte della sostanza organica e rendendo il terreno parzialmente impermeabile, quindi meno capace di far infiltrare l’acqua. La cenere può intasare i pori del suolo, rendendolo più impermeabile, e può essere trasportata dai versanti ai corsi d’acqua.
Nel primo anno dopo l’incendio, la perdita di suolo nelle aree mediterranee può raggiungere valori dell’ordine di 50-60 tonnellate per ettaro, un tasso di erosione cinque-sei volte maggiore rispetto ai valori tollerabili nelle aree rurali. Trascorso un certo periodo, da pochi mesi a diversi anni, in funzione dell’intensità del fuoco, il ruscellamento e l’erosione tendono a ritornare ai valori pre-incendio, grazie al recupero spontaneo della vegetazione e alla scomparsa più o meno completa delle alterazioni del suolo.
Fortunatamente, è possibile ridurre gli impatti del fuoco e accelerare il ritorno alle condizioni idrologiche pre-incendio. Gli Usa, l’Australia e, in minor misura, Spagna e Portogallo sono i Paesi pionieri nel cosiddetto “post-fire management” in ambiente boschivo, cioè nell’applicazione di interventi di conservazione del suolo, di rigenerazione forestale e di prevenzione dei futuri incendi anche su aree molto vaste dopo il passaggio del fuoco. Interventi come il rimboschimento, la semina, la pacciamatura, la lavorazione del terreno e la costruzione di strutture trasversali hanno come obiettivi il ripristino della vegetazione, l’eliminazione del combustibile residuo, la protezione del suolo dall’erosività della pioggia e della corrente idrica e la riduzione del trasporto di sedimenti alle aree vallive. È possibile anche intervenire nei corsi d’acqua costruendo piccoli sbarramenti per trattenere i sedimenti trasportati dalla corrente e ritardare la propagazione delle piene.
Come funziona il “post-fire management” sui suoli forestali interessati dall’incendio
Il rimboschimento incrementa la copertura vegetale e migliora le proprietà idrologiche del suolo percorso dal fuoco. Tuttavia, le piantine forestali hanno bisogno di tempo per crescere: sono necessari diversi anni per ripristinare totalmente la copertura vegetale pre-incendio. Bisogna anche scegliere con attenzione le specie di alberi da piantare: alcune, come i pini, aumentano l’idrorepellenza del suolo, mentre la messa a dimora di alberi altamente infiammabili aumenta il pericolo di futuri incendi.
La pacciamatura (mulching) consiste nell’applicare sulla superficie del suolo materiali organici (paglia, foglie, corteccia sminuzzata, trucioli) in quantità orientativamente comprese fra uno e dieci tonnellate per ettaro. Se praticato correttamente e tempestivamente, il mulching riduce sensibilmente il deflusso superficiale e la perdita di suolo, oltre a migliorare la qualità del suolo grazie all’apporto di sostanza organica, nutrienti e minerali. Un trattamento che ricopra l’ottanta per cento del terreno può ridurre il deflusso superficiale di oltre il cinquanta per cento e la perdita di suolo dell’ottanta-novanta per cento rispetto alle zone non trattate. Inoltre sia il materiale applicato, sia la vegetazione che si sviluppa aumentano l’umidità, riducono l’evaporazione e mitigano gli sbalzi di temperatura nel suolo. Grazie a questi effetti, il mulching è diventatauna delle tecniche di conservazione del suolo post-incendio più utilizzate a livello globale. I residui organici si reperiscono facilmente negli ambienti rurali e sono di facile movimentazione, per cui i trattamenti hanno un basso costo. Talvolta, i residui possono essere distribuiti con macchine agricole o elicotteri, consentendo il trattamento di ampie aree bruciate in tempi relativamente brevi. Alcuni svantaggi, come il pericolo di introdurre parassiti per le piante del bosco o la dispersione di materiale da parte del vento, possono essere limitati usando residui forestali provenienti dal bosco stesso, ad esempio il cippato, sebbene ne debbano essere distribuite dosi più elevate.
Le strutture trasversali vengono costruite con materiali inerti, ghiaia o pietrame, o in legno, disponendo tronchi di alberi bruciati o incombusti in direzione perpendicolare alla massima pendenza del versante. Queste strutture fanno da barriera al flusso di acqua e sedimenti, trattenendo fino al quaranta per cento del materiale solido con effetto duraturo e basso impegno economico. Dopo circa dieci anni dall’incendio, questi interventi consentono un pressoché totale ripristino delle condizioni ecologiche e del buon “funzionamento” idrologico del suolo, a condizione che nel medio-lungo periodo sia garantita una adeguata manutenzione alle strutture.
Le tecniche di lavorazione del suolo, per esempio il terrazzamento, sono finalizzate a modificare la morfologia dei versanti, le proprietà del suolo e aumentare l’infiltrazione, ma sono generalmente meno efficaci rispetto ad altri trattamenti post-incendio. È consigliabile quindi adottare tali tecniche in combinazione con altri trattamenti per aumentarne l’efficacia. Altre tecniche prevedono l’uso di reti, materassi o rotoli di fibre naturali a supporto della ricrescita della vegetazione e della stabilizzazione del suolo nei versanti percorsi da incendio.
La costruzione di briglie nei corsi d’acqua riduce la velocità della corrente e favorisce la deposizione dei sedimenti trasportati dalla piena. Nei corsi d’acqua minori le briglie sono realizzate con balle di paglia, in legno o pietrame (sciolto o disposto in gabbioni), più raramente in calcestruzzo. Tuttavia, l’efficacia di questa tecnica non è ottimale, dato che le briglie sono permeabili ai sedimenti fini e alle ceneri e sono soggette a cedimenti. Inoltre, la capacità di stoccaggio del materiale tende a esaurirsi in pochissimi anni dopo l’incendio.
Certamente prevenire è meglio che curare. Evitare l’innesco e la propagazione degli incendi boschivi è la strategia più efficace e meno costosa per scongiurare il dissesto idrogeologico. Ad esempio, può essere adottato come tecnica di prevenzione incendi il cosiddetto fuoco prescritto, che consiste nella applicazione esperta e pianificata del fuoco alla vegetazione. Vengono cioè adottate precise prescrizioni che consentono di minimizzare gli impatti e raggiungere obiettivi gestionali, come la riduzione della quantità di materiale infiammabile in occasione di un eventuale incendio. La tecnica, comunemente utilizzata in diversi Paesi, si sta affermando anche in Italia come uno strumento efficace per la prevenzione degli incendi boschivi. Il fuoco prescritto trasmette una quantità di calore limitata al suolo e quindi non induce significative alterazioni delle sue proprietà, come nel caso degli incendi intensi. Tuttavia, in applicazioni particolarmente intense possono aggravarsi i fenomeni di ruscellamento ed erosione. In questi casi una strategia efficace consiste nel combinare le operazioni di fuoco prescritto con un tempestivo mulching con residui vegetali, almeno nelle aree più acclivi. Una recente indagine in Calabria ha evidenziato che il suolo trattato con fuoco prescritto e successivamente ricoperto con mulching di felce fresca (facilmente reperibile nel sottobosco) può ridurre il ruscellamento del venti per cento e la perdita di suolo di quasi l’ottanta per cento in confronto alle aree incendiate ma non trattate.
I modelli computerizzati per la previsione dei futuri cambiamenti climatici fanno presagire un aumento della durata della siccità, delle temperature medie e dell’intensità delle piogge su scala planetaria, almeno per i prossimi ottant’anni. Questo aggraverà sia i rischi di incendio, sia quelli di piena e di dissesto idrogeologico. Saranno quindi sempre più necessarie le tecniche di prevenzione degli incendi boschivi per limitare le aree dove possono innescarsi gravi rischi idrologici e geologici, e le strategie di conservazione del suolo nelle foreste percorse dal fuoco. Un intervento tempestivo ed efficace può prevenire i danni da alluvione, frana ed erosione, mitigando i pericoli per le persone e le infrastrutture nelle zone a valle delle foreste bruciate: un investimento e una cura necessaria per proteggere i boschi dalle minacce naturali, come le piogge estreme, ed antropiche, come gli incendi dolosi o colposi. Questi pericoli, se non fronteggiati, rischiano di privarci dell’irrinunciabile patrimonio di biodiversità e delle funzioni ecosistemiche a supporto della nostra sopravvivenza.
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