Tra il 26 e il 27 dicembre 2020 un incendio ha bruciato la foresta diYacouba Sawadogo, contadino, burkinabé, premio Nobel alternativo 2018 (Right livelihood award) e tra i “campioni della terra” dalle Nazioni Unite nel 2020. Comunemente conosciuto come l’uomo che ha fermato il deserto.
Da circa 40 anni Sawadogo si impegna a strappare dalla desertificazione ettari e ettari di terra nel nord del Burkina Faso. Un’operazione lunghissima e faticosa che ha portato al recupero di 17 ettari di terreno. L’incendio di qualche settimana fa ha una portata simbolica enorme. Mezzo ettaro, ovvero cinque anni di lavoro, andati in fumo. Ancora ignote le cause, anche se il contadino burkinabé nelle interviste rilasciate accusa criminali locali e quindi presuppone un origine dolosa dell’incendio.
Il Burkina Faso è un Paese della fascia saheliana attaccato fortemente, come i paesi vicini, dalla desertificazione. Fenomeno che si è aggravato con l’avanzare della crisi climatica: circa il 75 per cento del territorio ne subisce gli effetti. In pratica ad una degradazione del suolo corrisponde la scomparsa della biosfera (flora e fauna) e la trasformazione dell’ambiente naturale in deserto.
Le conseguenze sociali, economiche e politiche sono enormi. Il Burkina Faso dipende da agricoltura e allevamento: oltre l’80 per cento dei burkinabé sono impiegati in questi settori. C’è quindi una progressiva perdita di terre coltivabili o utili alle transumanze degli animali.
Lotte armate e migliaia di sfollati
La penuria di terre apre ferite tra le etnie del Burkina Faso. La lotta per un piccolo appezzamento, che in pratica significa cibo e sopravvivenza, acquista connotati di violenza. Lo scontro è ormai armato. In questa situazione, già molto fragile, dove manca l’autorità dello Stato, si inserisce il pericolo jihadista che strappa porzioni di territorio, gettando nella paura intere regioni. Quelle del nord soprattutto e più sensibili alla questione desertificazione.
La reazione a catena è innescata. Semplificando, i mossi, etnia di maggioranza e coltivatori, si auto-organizzano in gruppi di auto difesa e accusano i peul, allevatori musulmani, di essere conniventi con i jihadisti. È una guerra civile alimentata dalla scarsità delle terre e dalla debolezza dello Stato.
Le conseguenze di tutto ciò sono massacri impuniti e centinaia di migliaia di persone costrette fuggire. Oggi, in Burkina Faso, una persona su 20 è uno sfollato interno. A evidenza della gravità di ciò che sta accadendo, a inizio del 2018 il Paese contava “appena” ottomila sfollati, oggi superano il milione, determinando così una crisi umanitaria gravissima.
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