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L’ultima indagine negli allevamenti italiani di visoni mostra le condizioni di vita a cui questi animali sono costretti e sottolinea l’urgenza di una legge per vietarli. L’editoriale di Simone Montuschi, portavoce di Essere Animali.
Il visone americano è l’unico animale allevato in Italia per la produzione di pellicce. Nasce in cattività all’interno di gabbie in cui trascorrerà tutta la vita, ma la sua indole è selvatica. Lo dimostra, tra le altre cose, il fatto che un allevatore per maneggiarlo debba utilizzare guanti di protezioni molto spessi per evitare di ferirsi. Il visone, infatti, ha paura dell’essere umano e tende a mordere o graffiare.
Della sua vita in allevamento sappiamo tutto. In quattro anni Essere Animali ha diffuso tre indagini che documentano le condizioni dei 200mila visoni ancora richiusi nei venti, o poco più, allevamenti rimasti attivi in Italia. L’ultima indagine, di pochi giorni fa, mostra ancora una volta la presenza di animali con lesioni e di cadaveri all’interno delle gabbie. Le immagini, raccontate da Rosita Celentano, sono state diffuse sui quotidiani durante la settimana della moda di Milano, ma anche attraverso azioni dimostrative in strada e petizioni per affermare nuovamente il bisogno di una legge che introduca nel nostro paese il divieto di allevamento di animali da pelliccia.
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Che la battaglia contro le pellicce sia da sempre fatta dalle associazioni per i diritti animali è cosa scontata. Nell’era hi-tech in cui viviamo, in cui sono stati creati moltissimi materiali altrettanto caldi senza bisogno di commettere atrocità sugli animali, puzza proprio di crudeltà inutile. Chi sostiene le pellicce rivendica la libertà di vestirsi come meglio crede in una società che avrebbe già scelto di allevare e uccidere animali, anche quando non necessario, per soddisfare i propri bisogni, primo fra tutti l’alimentazione. Potremmo controbattere in mille modi a questa affermazione. Innanzitutto, la maggioranza delle persone vorrebbe vietare gli allevamenti di animali da pelliccia, per la precisione l’86,3 per cento degli italiani secondo il rapporto Italia 2016 diffuso da Eurispes. Inoltre, se ci pensiamo, è assurdo ragionare così perché adottando tale presupposto si giustificherebbe sempre l’accettazione dello status quo.
Ma il vero punto è un altro. Tralasciando per un attimo il dibattito sulla moralità delle pellicce e focalizziamoci sugli allevamenti di visoni: questi vanno subito vietati perché sono causa di immani sofferenze per animali per cui la reclusione in gabbia è una tortura. I visoni, rinchiusi in uno spazio di appena 70×35 centimetri, non sono animali addomesticati. Non che sia impossibile farlo, ma negli anni si è capito che la ricerca, tramite la selezione, di un animale con indole mansueta e che meglio potesse adattarsi alla vita in gabbia cozzava con un altro più importante obiettivo: la qualità del pelo. È facile intuire quale aspetto l’industria della pelliccia abbia privilegiato.
In gabbia un animale selvatico è più frequentemente soggetto a comportamenti stereotipati, atti di autolesionismo e aggressioni con gli altri individui che condividono lo stesso destino. In caso di un animale semiacquatico come il visone, il cui benessere passa necessariamente dal contatto con l’acqua, lo stress per questa vita si moltiplica enormemente. Le indagini di Essere Animali hanno documentato tutto ciò grazie al posizionamento di telecamere nascoste e al lavoro di un infiltrato all’interno degli allevamenti. Le immagini, trasmesse dai telegiornali nazionali, mostrano anche il momento dell’uccisione, che avviene inserendo gli animali in camere a gas. Con la campagna Visoni liberi chiediamo una legge che vieti questa tipologia di allevamento. Diversi paesi lo hanno già fatto e importanti segnali vengono anche dal mondo della moda.
Parlamentari del Movimento 5 stelle, Partito democratico e Forza Italia hanno presentato da anni proposte di legge per vietare gli allevamenti di animali da pelliccia, ma queste non sono mai state calendarizzate. Al danno si aggiunge la beffa se si pensa che questi allevamenti dovrebbero essere proibiti dal 2008. Sì, perché la sofferenza di animali selvatici come i visoni chiusi in gabbia è talmente scontata che già il decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 146 (“Attuazione della direttiva 98/58/CE relativa alla protezione degli animali negli allevamenti”) ne prevedeva la dismissione. Tale decreto non vietava l’allevamento in sé, ma imponeva che questo sarebbe dovuto avvenire in recinti a terra contenenti pozze d’acqua per permettere ai visoni di bagnarsi e di godere di uno spazio più ampio di movimento. Si parla di beffa perché, a pochi giorni dall’entrata in vigore, il ministero dell’Ambiente emanò una nota in cui ripristinava l’uso delle gabbie, lasciando agli allevatori la discrezionalità se continuare ad utilizzarle o appunto convertirle in costosi e poco pratici recinti a terra. Indovinate? Tutti mantennero le gabbie, dove sono tuttora rinchiusi i visoni.
La diffusione di questa terza indagine, però, ha portato a un’interrogazione parlamentare dell’onorevole Donatella Duranti del Movimento per la democrazia (Mpd) che chiede lumi proprio su questi aspetti. Gli allevamenti di visoni non sono ancora stati aboliti “solo” per l’attuale immobilismo politico che investe tutto ciò che riguarda le riforme per gli animali, non certo perché le preoccupazioni sulle condizioni di questi allevamenti non siano fondate.
Così come è stata vietata la vendita di pellicce di cane e gatto, divieto di cui l’Italia è stata pioniera con l’adozione di un provvedimento esteso poi a tutta l’Unione europea, un giorno non troppo lontano sarà vietato anche l’allevamento del visone. E non è la grinta che pervade tutte le battaglie di civiltà a spingerci a questo ottimismo, ma è la condizione di quegli animali che oggi, per legge, possono essere tenuti vergognosamente in queste condizioni.
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