Sembra essere tornata la pace al confine himalayano tra l’India e la Cina. Dopo gli scontri avvenuti durante il 2020 tra i rispettivi eserciti, che avevano causato decine di morti, la tensione su una frontiera mai ben definita che va avanti dagli anni Sessanta sembra per il momento rientrata. Pechino e Nuova Delhi hanno infatti raggiunto un accordo per ritirare le rispettive truppe dall’area del lago Pangong Tso, che potrebbe presto essere seguito dalla smobilitazione nelle altre aree di crisi.
La guerra fredda sino-indiana
Quella tra l’India e la Cina sull’Himalaya è una contesa di cui si parla poco, ma che ha origini molto lontane. I 3.500 chilometri di confine che le separa non è rappresentato da una linea netta e definita, piuttosto ci sono zone fumose dove non è chiaro quando finisce il territorio dell’uno e inizia quello dell’altro. Questo ha sempre causato diverse scaramucce tra i due paesi, fino all’escalation del 1962 quando le truppe cinesi invasero la regione indiana del Ladakh per rivendicarne la sovranità. Pechino ebbe la meglio in quell’occasione, le perdite per l’esercito indiano furono nell’ordine delle centinaia e venne firmato un armistizio con cui si mise fine alle ostilità. A esso non è però mai seguito un vero e proprio trattato di pace che definisse una volta per tutte la linea di frontiera nella regione, piuttosto è stato istituto un confine semi-ufficiale denominato Linea di controllo effettivo (Lac). E dunque la tensione latente è rimasta, con l’India e la Cina che in questi 60 anni sono state protagoniste di una sorta di guerra fredda nella regione.
Dall’armistizio non vi erano mai più stati scontri armati di rilievo, anche per una clausola che ne faceva divieto espressamente. La partita si era giocata più che altro a suon di sconfinamenti di avvertimento e scaramucce diplomatiche. Questo, fino alla primavera del 2020. A partire da maggio c’è stata infatti un’escalation della tensione riguardo al lago Pangong Tso, territorio conteso dai due stati nella parte della sua sponda settentrionale. Il problema, in particolare, avrebbe riguardato la rispettiva costruzione di infrastrutture su terreni di cui ognuno rivendicava la sovranità.
Per la prima volta da decenni le forze militari sono entrate in contatto, in uno scontro dal sapore medioevale fatto di lanci di pietre e combattimenti a mani nude – tutto in ottemperanza dell’armistizio che vieta l’utilizzo delle armi. Nel corso dell’estate ci sono stati nuovi scontri ed è stato anche aperto il fuoco. L’esercito indiano ha contato 20 morti tra i suoi militari, la Cina quattro (un numero probabilmente aggiustato dalla propaganda di stato di Pechino). Era dal 1967 che non si piangevano tante vite militari nella regione.
Fine del conflitto?
Anche il 2021 si era aperto all’insegna della tensione. Il 20 gennaio scorso l’esercito indiano ha informato di scontri in corso tra le truppe indiane e quelle cinesi presso il passo di Nathu La, nel settore centrale della Linea di controllo effettivo, dopo alcuni sconfinamenti dell’esercito di Pechino. La Cina ha ridimensionato l’accaduto ma in ogni caso in breve il pericolo è rientrato e anzi i due stati si sono incontrati pochi giorni dopo per il nono round di negoziati sulla gestione della tensione nell’area. Proprio in quell’occasione è arrivato un accordo storico: il ritiro dei soldati dei rispettivi eserciti dal settore centrale della Lac, all’altezza del lago Pangong Tso.
JUST IN | In the 10th round of #China–#India Corps Commander level meeting, both sides agreed to push for a mutually acceptable resolution of the remaining issues in a steady and orderly manner, so as to jointly maintain peace and tranquillity in the border areas: Joint statement
La smobilitazione è iniziata ufficialmente a partire da metà febbraio, mentre per il 21 febbraio è stato organizzato un decimo round di colloqui con cui si è rafforzato il dialogo tra le controparti e si è rinnovata la volontà di proseguire nel percorso di pace. Secondo alcune indiscrezioni, l’India e la Cina avrebbero preso in considerazione di ritirare l’esercito da altre tre zone calde nel territorio del Ladakh, in quello che sarebbe un passaggio decisivo per una smilitarizzazione completa dell’area. Un punto su cui però ancora bisogna lavorare a livello diplomatico.
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