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L’India e il land grabbing: quando lo sviluppo economico mette in pericolo popoli, culture e ambiente
Molte comunità indigene in India hanno subìto il fenomeno del land grabbing. Sono state sfrattate dalle loro terre per progetti come un villaggio turistico. Chi prova a opporsi è messo a tacere.
Aumentano i casi di land grabbing in India, a dispetto della pandemia e di una legislazione sulla terra che pretende di essere sempre più severa. Negli ultimi mesi alcuni esponenti del Bjp, il partito nazionalista e conservatore di cui fa parte l’attuale primo ministro Narendra Modi, sono stati additati come responsabili di una serie di espropri avvenuti oltre quarant’anni fa a Patangadi, villaggio nello stato indiano del Gujarat. Qui i casi di land grabbing sono in aumento, e ad oggi oltre quattromila persone sfrattate dai loro terreni attendono ancora che sia fatta giustizia.
La lotta contro il land grabbing
Nel frattempo l’ong Jananeethi, organizzazione locale in difesa dei diritti umani, a settembre ha denunciato un altro esproprio che si sta verificando sotto gli occhi di tutti nello stato del Kerala, nel villaggio di Attapadi, e che mina la sopravvivenza di intere popolazioni indigene. La zona era stata scelta da una compagnia privata per la realizzazione di un villaggio turistico che, secondo il progetto, avrebbe dovuto proporre ai turisti un’esperienza “autentica”, a contatto con le popolazioni tribali e alla scoperta della loro cultura. Così facendo però si mette a rischio la sopravvivenza stessa di quelle culture che si vorrebbe “pubblicizzare”.
Jananeethi denuncia l’illegalità dello sfratto di cui sono stati vittima gli abitanti di Attapadi, avvenuto dietro presentazione di documenti falsi. Nonostante l’India sia definita la “democrazia più grande al mondo” in relazione al numero dei suoi abitanti, le tendenze autoritarie di Modi stanno recentemente mettendo sempre più spesso in discussione valori democratici e diritti umani. L’8 agosto scorso la polizia avrebbe fatto irruzione nella casa del capo villaggio per arrestarlo, mettendo così a tacere una voce scomoda che si era opposta per mesi ai progetti edilizi a cui era stata destinata l’area senza previo consenso dei suoi abitanti, e con il tacito benestare del governo. L’ong segnala inoltre casi di persone scomparse in circostanze sospette, che si sono verificati negli ultimi mesi, attribuendoli a organizzazioni criminali riconducibili alla cosiddetta “land mafia”, che agisce spesso in questi casi per conto delle compagnie private interessate ai terreni.
La situazione in India
Questo tipo di land grabbing, che riguarda l’acquisizione di terre agricole per fini non agricoli, è particolarmente diffuso in India. Attualmente inoltre si sta assistendo a un aumento dei conflitti riguardanti la terra, fonte principale di sostentamento per più di metà della popolazione. Sebbene infatti l’agricoltura contribuisca solo per il 15 per cento alla crescita del prodotto interno lordo, fornisce impiego al 42 per cento della forza lavoro indiana. Ma nonostante ciò, il land grabbing ha subito un’accelerazione negli ultimi trent’anni: ad oggi oltre venti milioni di ettari di terra coltivabile (il sei per cento dell’intero territorio indiano) sono stati acquisiti e convertiti per usi non agricoli, riducendo il principale mezzo di sostentamento degli agricoltori, causando la diminuzione di terre fertili e danni irreversibili per l’ambiente.
La controversa legislazione indiana riguardante la terra rende difficile ottenere giustizia. Secondo le ultime riforme, infatti, lo Stato può acquisire terre senza bisogno del consenso dei loro abitanti quando giustifica l’atto con “l’urgenza” di favorire progetti utili alla collettività e portatori di sviluppo, innovazione e posti di lavoro (che comunque non riguardano quasi mai gli abitanti del luogo). Non viene precisato però in quali casi si può parlare di “urgenza”. È vero altresì che la legge prevede una compensazione per le vittime di esproprio, che consiste nel ricollocamento in altri terreni e in un’indennità mensile, solitamente irrisoria. Non precisando però tempi e modalità delle compensazioni, risulta facile per gli acquirenti dei terreni temporeggiare e aggirare tali disposizioni. Le vittime spesso aspettano invano per decenni, senza che per legge sia possibile condannare i responsabili dell’esproprio.
Land grabbing nel villaggio di Patangadi
Emblematico è a tal proposito il caso del villaggio di Patangadi, i cui abitanti furono espropriati delle loro terre quarant’anni fa e solo recentemente hanno ricevuto altri terreni come compensazione, tra l’altro in una regione distante da quella di loro provenienza. Le vittime hanno raccontato che all’epoca dei fatti il governo si appropriò delle terre con l’inganno, costringendoli a firmare gli atti di vendita e intimandoli con la violenza di non aprir bocca.
Deportare delle persone dalla propria terra in questo modo equivale a distruggere una ricchezza culturale che andrebbe invece protetta e valorizzata. I casi di land grabbing sono aumentati durante il governo di Modi, in nome di un neoliberismo sempre più sfrenato di cui si fa promotore e della continua ricerca di attrarre investimenti esteri. L’ostentata simpatia e vicinanza ai maggiori gruppi industriali del Paese e l’obiettivo di una crescita economica a tutti i costi hanno portato Modi a trascurare la maggioranza della popolazione, impiegata nel settore agricolo. La recente abrogazione delle leggi agrarie contro cui i contadini di tutta l’India avevano protestato per oltre un anno costituisce senza dubbio una vittoria inaspettata, ma il ripristino della situazione precedente non sarà sufficiente. La legislazione sulla terra continua a soffrire di scarsa tutela nei confronti di tutti coloro che dalla terra dipendono per il proprio sostentamento.
Non tutto può essere comprato
Nel report The great Indian land grab” di Navdanya International, movimento per la protezione della diversità biologica e culturale, si fa notare inoltre che se le compensazioni previste dalla legge si limitano a essere monetarie, si perde di vista il significato della natura, sia simbolico (religioso, per esempio), che ambientale. Dando un valore solo a ciò che può essere misurato, come il denaro o il numero di ettari di terra, si inseguono logiche capitalistiche secondo cui tutto può essere venduto e comprato, e quindi “compensato”. Così facendo si rischia di calpestare diritti fondamentali e distruggere intere culture.
Non solo dunque certi popoli indigeni stanno perdendo terra e mezzi di sostentamento, ma rischiano in questo modo di sparire nel nulla. Si agisce così in nome di un controverso “sviluppo”, che anche ammesso ci sia, di sicuro non è inclusivo e mette in pericolo popoli, culture e ambiente.
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