Modi vince le elezioni in India, ma la sua è una vittoria compromessa

Narendra Modi vince le elezioni legislative in India, ma con una maggioranza ridotta. Per fare un governo dovrà affidarsi ai partiti alleati.

  • Narendra Modi, leader del partito nazionalista indù Bharatiya janata party (Bjp) sarà di nuovo alla guida dell’India.
  • I risultati delle elezioni, però, mostrano un calo di consensi verso Modi, che ora sarà costretto a formare un governo con altri partiti della sua alleanza.
  • L’opposizione riunita sotto l’acronimo India, invece, ha quasi raddoppiato i suoi voti.

L’Alleanza democratica nazionale, la coalizione politica indiana guidata dal Bharatiya janata party (Bjp) del premier uscente Narendra Modi, ha ottenuto 293 seggi alla Camera bassa del Parlamento (di cui 240 del Bjp), contro i 234 dell’opposizione, la coalizione India guidata dall’Indian National Congress di Rahul Gandhi.

Narendra Modi, 73 anni, si appresta così ad assumere il terzo mandato consecutivo come Primo ministro dell’India, dopo che la Commissione elettorale ha confermato all’inizio di mercoledì 5 giugno che i partiti che compongono la sua coalizione hanno superato collettivamente la soglia di maggioranza in Parlamento.

La sua vittoria, però, non è stata schiacciante come ci si attendeva: 293 seggi è un risultato ben al di sotto dell’obiettivo di 400 seggi più volte annunciato durante la campagna elettorale e dei 303 ottenuti nel 2019. E c’è di più: ora che non è più invincibile, Modi dovrà negoziare la sua agenda nazionalista con gli alleati.

Modi fa un bagno di folla durante un evento di campagna elettorale in Uttar Pradesh © Elke Scholiers/Getty Images

Modi non potrà formare il governo da solo

Ci si aspettava che il Bjp di Modi, la forza dominante della politica indiana per un decennio, mantenesse salda la sua presa. Ma i risultati delle elezioni più grandi del mondo hanno scosso il partito nazionalista indù, a cui mancano 33 seggi per governare da solo (la soglia minima è 272 seggi) e che per tale motivo è ora costretto ad affidarsi agli alleati per formare un governo.

Alcune delle maggiori perdite di Modi sono arrivate nello stato più popoloso dell’India, l’Uttar Pradesh, nel nord, con circa 240 milioni di abitanti. Il suo partito guida il governo dello stato da dieci anni e ha conquistato 62 degli 80 seggi della Camera bassa del Parlamento nazionale alle precedenti elezioni, nel 2019. Martedì sera, quando lo spoglio è entrato nelle ultime fasi, il Bjp era in testa solo in 33 seggi. Nella sua stessa circoscrizione, Varanasi, il margine di vittoria di Modi si è ridotto dal mezzo milione della volta precedente a circa 150.000.

Ma la sconfitta più eclatante potrebbe essere quella incassata nella circoscrizione di Faizabad: lo stato ospita il sontuoso tempio indù di Ram, nella città di Ayodhya, costruito su un terreno strappato ai musulmani. La sua costruzione è stata la pietra miliare del movimento nazionalista indù e Modi sperava che la sua inaugurazione, poco prima dell’inizio della campagna elettorale, avrebbe unito la sua base di sostenitori indù e portato nuovi sostenitori all’ovile. Ma voci interne al Bjp hanno raccontato che l’ostentazione del tempio da parte del partito potrebbe aver messo a disagio un’ampia fetta di indù che si trovano in fondo alla rigida gerarchia delle caste. L’opposizione ha colto subito questa contraddizione e ha dipinto Modi come se stesse perseguendo l’agenda delle caste superiori abbandonando di fatto i più svantaggiati.

Altri motivi che hanno portato alla perdita di consensi del Bjp possono essere individuati nell’aumento dei prezzi, al tasso di disoccupazione e alla controversa riforma del reclutamento nell’esercito. Ma probabilmente il peso maggiore lo ha avuto una campagna elettorale aggressiva e divisiva con cui Modi potrebbe aver alienato gli elettori in alcune parti del Paese.

A ripercorrere l’attività politica dell’ultimo decennio, infatti, risulta evidente come il leader della destra indiana abbia lavorato per trasformare un paese estremamente eterogeneo, tenuto insieme da un sistema democratico secolare, in uno stato apertamente indù, emarginando l’ampia minoranza musulmana dell’India. La sua svolta sempre più autoritaria – con un giro di vite sul dissenso che ha creato un agghiacciante ambiente di autocensura – ha spinto la democrazia indiana verso uno stato monopartitico, dicono i suoi critici.

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Il leader dell’opposizione Rahul Gandhi © Elke Scholiers/Getty Images

La rinascita del partito di opposizione

La vera sorpresa è arrivata dall’inaspettata rinascita del Partito del Congresso, che era stato visto da molti come irrimediabilmente indebolito dopo le gravi perdite subite nelle due precedenti elezioni e che invece, a questo turno, ha quasi raddoppiato i suoi risultati rispetto al 2019. Merito di una campagna elettorale che ha puntato tutto sulla giustizia sociale, in un quadro che vede da una parte l’autoritarismo di Modi favorire la classe più ricca, mentre dall’altra il Paese sprofonda nella disoccupazione. Infatti, la crescita economica dell’India ha finora arricchito soprattutto i vertici e le classi più agiate dell’India.

Un risultato ancora più straordinario quello dell’opposizione se si considera che il partito del Congresso ha dovuto pure superare le difficoltà giudiziarie di Rahul Gandhi, il volto pubblico della coalizione India. Mentre Gandhi cercava di rafforzare la sua posizione guidando lunghe marce in tutta l’India, il Bjp lo ha intrappolato in un caso giudiziario che ha portato alla sua espulsione dal Parlamento. In seguito, Ganhdi è stato reintegrato dall’Alta corte indiana e ora potrà essere rieletto.

I prossimi passi di Modi

Il Bjp potrà governare grazie all’exploit di due partiti regionali, i quali hanno ottenuto ottimi risultati: il Telugu desam party, nello stato meridionale dell’Andhra Pradesh, con 16 seggi, e il Janata dal united nello stato orientale del Bihar, con 12 seggi. Entrambi i partiti sono dichiaratamente laici, il che fa sperare gli oppositori di Modi che la loro influenza possa rallentare la corsa nazionalista del premier.

Ma oltre al nazionalismo, l’altra “gatta da pelare” di Modi è rappresentata dall’economia: la vittoria risicata potrebbe mettere a rischio i piani di crescita previsti intorno all’8 per cento, scrive la testata economica Bloomberg.

Nonostante tutte queste preoccupazioni, Modi si è sforzato di mantenere un giudizio positivo, annunciando la sua vittoria intorno alle 16 su X (ex Twitter): “È un’impresa storica nella storia dell’India”, ha scritto. “Con una lettura così generosa del risultato”, scrive il New York Times “Modi sembra voler dire che il suo partito è riuscito a superare l’impopolarità a livello locale solo grazie al sua spinta personale”. Oppure, l’aver accentrato ancora una volta tutta la campagna elettorale su di sé potrebbe voler dire che anche il “marchio Modi” potrebbe essere arrivato alla fine. Ma di questo se ne riparlerà alle prossime elezioni.

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