India. Un maxi-progetto di urbanizzazione minaccia il genocidio degli indigeni Shompen

Il governo dell’India vuole creare una sua Hong-Kong sull’isola di Gran Nicobar, dove vivono gli indigeni incontattati Shompen. Che rischiano il genocidio.

  • Il governo indiano sta approvando un progetto da nove miliardi di dollari per costruire porti, centrali e distretti industriali a Gran Nicobar.
  • Il progetto prevede la deforestazione di 850mila alberi della foresta pluviale, lì dove vivono gli indigeni Shompen.
  • Secondo attivisti e accademici se il progetto venisse approvato gli Shompen sarebbero a rischio genocidio.

Un maxi-progetto del governo indiano sull’isola di Gran Nicobar rischia di cancellare gli Shompen. Questo popolo indigeno è tra i più isolati al mondo e molti suoi appartenenti non hanno mai avuto contatti con il mondo esterno, elemento che accresce la vulnerabilità alle malattie. Proprio l’isola di Gran Nicobar è però finita al centro di un faraonico progetto da  nove miliardi di dollari pianificato da Nuova Delhi, che lì vuole costruire una sorta di Hong Kong indiana. Palazzi, centrali elettriche, un porto e un aeroporto da far vivere a circa 650mila nuovi abitanti che si trasferirebbero sulla piccola isola. A cui fare spazio con una profonda opera di deforestazione, che priverebbe gli Shompen dei loro mezzi di sussistenza.

“C’è una reale minaccia di genocidio degli Shompen e l’unico modo per evitare che questo accada è abbandonare completamente il progetto”, spiega a LifeGate Callum Russell, ricercatore di Survival International.

Shompen
Gli Shompen vivono nell’area di foresta più interna dell’isola di Gran Nicobar. Non sopravvivranno alla distruzione della loro terra ancestrale © Anthropological Survey of India

Chi sono gli indigeni Shompen?

Ci sono due popoli nativi sull’isola indiana di Gran Nicobar, situata a qualche decina di chilometri dall’Indonesia. Da una parte i Nicobaresi, che contano qualche decina di migliaia di persone e che ormai sono integrati con il resto della popolazione dell’isola. Dall’altra gli Shompen, che sono in gran parte incontattati e contano circa 300 persone.

Gli Shompen sono cacciatori-raccoglitori nomadi e vivono in piccoli gruppi, in territori delimitati dai fiumi che attraversano la foresta pluviale. Costruiscono generalmente accampamenti temporanei nella foresta, in cui vivono per qualche settimana o qualche mese prima di spostarsi di nuovo. La loro sussistenza si basa quindi su quello che offre in termini di flora e fauna la foresta pluviale, che copre circa il 95 per cento dell’isola e dà ospitalità a 11 specie di mammiferi, 32 specie di uccelli, sette specie di rettili e quattro di anfibi.

Nicobar
La foresta pluviale copre circa il 95% dell’isola di Gran Nicobar
© X

Entrare in contatto con gli Shompen è molto difficile. Alcuni membri delle comunità in realtà escono dai villaggi per scambiare beni con il mondo esterno e dialogare con le istituzioni, a mò di rappresentanti e portavoce. Per il resto il contatto è pericoloso, in entrambe le direzioni. Per lo stesso popolo indigeno, che rischierebbe di contrarre malattie a cui il sistema  immunitario non è preparato. E per gli esterni, che dovrebbero far fronte alla loro ostilità.

“A circa 50 metri dalle ‘case esterne’ siamo stati bloccati dal lancio di frecce, a cui siamo sfuggiti per un soffio, poiché gli Shompen di questa regione sono fermamente convinti che gli esterni portino malattie”, è la testimonianza di alcuni rappresentanti dell’Amministrazione delle Isole Andamane e Nicobare che hanno provato ad avvicinarsi ai villaggi.

Il progetto di una Hong-Kong indiana

Il contatto forzato degli Shompen con il mondo esterno metterebbe a rischio la loro sopravvivenza. E questa cosa potrebbe succedere presto.

Il governo indiano vuole approvare un progetto da nove miliardi di dollari, volto a trasformare l’isola di Gran Nicobar in una sorta di Hong Kong. Il piano prevede la costruzione di un aeroporto, centrali elettriche, terminal commerciali, basi militari, parchi industriali, oltre allo sviluppo del tessuto urbano per ospitare qualcosa come 650mila nuovi abitanti provenienti da fuori l’isola, con un aumento della popolazione dell’8mila per cento. Ci sono ragioni economiche dietro a questo progetto faraonico, ma anche strategiche: l’isola di Gran Nicobar si trova in una porzione di mare oggetto delle mire espansionistiche cinesi. E l’India vuole correre ai ripari.

Il piano attende l’ultima approvazione da parte del governo, quella definitiva. E secondo i programmi già a fine 2024 potrebbero iniziare i lavori.  La colonizzazione dell’isola sarà fatta sulla pelle di centinaia di migliaia di alberi, nello specifico 850mila secondo le prime stime. Un processo di deforestazione che tra le altre cose priverà gli Shompen dei loro mezzi di sussistenza. Non è chiaro peraltro che ne sarà del popolo indigeno. Nel piano si dice che potrebbero essere ricollocati altrove, spostati cioè come pacchi per fare spazio al cemento. 

Shompen
Uomo Shompen nella foresta dell’Isola di Gran Nicobar, India © Survival

La National commission for scheduled tribes, un organo costituzionale indiano che si occupa della tutela dei popoli indigeni, ha detto di non essere stata consultata sul progetto. Arjun Munda, ministro degli Affari tribali, ha affermato che il piano è stato valutato attentamente per non impattare in modo negativo sulle comunità indigene locali.

Le proteste degli attivisti

“Il progetto del governo indiano per abbattere quasi un milione di alberi distruggerà l’ambiente di cui gli Shompen hanno bisogno per vivere. È previsto anche l’afflusso di 650.000 coloni che esporranno la tribù al grave pericolo di contrarre le malattie esterne, e sappiamo che molti popoli incontattati del mondo sono stati completamente spazzati via proprio per questo”, denuncia a LifeGate Callum Russell, ricercatore di Survival International.

L’organizzazione non governativa sta mobilitando l’opinione pubblica internazionale al fianco degli Shompen e oltre 7.500 persone hanno già inviato una e-mail al governo indiano e altre autorità chiedendo la cancellazione del progetto. Nelle scorse settimane 39 accademici da 13 paesi diversi hanno inviato una lettera al governo indiano per chiedere la cancellazione del progetto, che potrebbe essere una “sentenza di morte” per il popolo Shempen. E già lo scorso anno 70 ex funzionari governativi e ambasciatori avevano scritto al presidente per chiedere un dietrofront nella colonizzazione dell’isola di Gran Nicobar. L’Indian national congress party, cioè il partito di opposizione, ha descritto il progetto come un ecocidio.

“L’isola di Gran Nicobar ha un’altissima biodiversità”, continua Russell. “Gli Shompen si prendono cura di questo paesaggio unico da decine di migliaia di anni. A dispetto delle affermazioni del governo indiano, la distruzione che questo progetto causerà sull’isola non può essere compensata. Una volta scomparsa, questa foresta non potrà mai più essere sostituita”. Secondo Russell, in India stanno crescendo le voci dissidenti anche tra la società civile, nonostante la censura del governo Modi sia molto forte. Chi rimane ignaro di tutto sono proprio gli Shompen. “Sono per la maggior parte inconsapevoli di quello che potrebbe accadere sulla loro isola ma, quando sono stati intervistati in merito, alcuni Shompen contattati hanno detto chiaramente di non volere esterni nel loro territorio”, conclude Russell. “Faremo tutto il possibile per garantire che il governo non la faccia franca con questo genocidio”.

Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.

L'autenticità di questa notizia è certificata in blockchain. Scopri di più
Articoli correlati
Cosa succede in Georgia, dove la gente è tornata a protestare

Migliaia di persone sono scese in strada contro la decisione del governo di sospendere i negoziati per l’adesione all’Unione europea fino al 2028. Violenta la reazione delle forze dell’ordine. La presidente della Georgia rifiuta di lasciare il mandato finché non verranno indette nuove elezioni.