Nel 2021 nei parchi indiani sono morte 127 tigri, mai così tante: nonostante bracconaggio e presenza umana, però, gli esemplari presenti in natura aumentano.
Nel 2021 in India sono morte 127 tigri. Si tratta del numero più alto mai registrato negli ultimi quindici anni, da quando la National tiger conservation authority osserva un monitoraggio costante delle tigri indiane all’interno di 53 parchi nazionali o regionali che coprono un totale di 71mila chilometri quadrati. Lo scorso anno le tigri morte erano state 106, nel 2019 si era scesi sotto il centinaio (96) come punto più basso di un trend decrescente dal 2016. Dei 127 casi registrati lo scorso anno (126 alla stesura del report, ndr) sono 60 le tigri che sarebbero morte in maniera “innaturale” ovvero a causa di bracconieri, per incidenti, per conflitti essere umano-animale avvenuti al di fuori delle aree protette.
La piaga dei bracconieri continua
I problemi legati al bracconaggio, dunque, continuano, nonostante lo stesso National tiger conservation authority assicuri di “aver adottato diverse misure”. Nelnovembre 2021 le tigri uccise per mano dei bracconieri erano 35 secondo Wildlife Protection Society of India (Wpsi), già quindici in più rispetto all’anno precedente e tredici rispetto al 2019.
— Forests And Wildlife Protection Society-FAWPS (@FawpsIndia) January 2, 2022
Incontri ravvicinati uomo-tigre
L’altro grande pericolo, per la tigre ma anche per l’essere umano, è dovuto ai sempre più frequenti incontri tra le due specie, al di fuori dei parchi: tra il 2014 e il 2019 sono stati contati 225 attacchi mortali, dovuti per lo più al vorticoso incremento demografico della popolazione indiana, che costringe gli uomini ad appropriarsi sempre di più di spazi un tempo riservati solo alla natura.
By virtue of this, tiger is not only a conservation icon but also acts as an umbrella species for majority of eco-regions in the Indian subcontinent. @narendramodi@byadavbjp@AshwiniKChoubey@moefcc
— National Tiger Conservation Authority (@ntca_india) November 18, 2021
Ma quello che a prima vista potrebbe indicare (e da grande parte della stampa internazionale è stata vista come) una grande catastrofe, è in realtà un dato dalle diverse sfaccettature, da analizzare in maniera più approfondita. La stessa Ntca infatti, alcuni giorno dopo la pubblicazione del dato, è dovuta ricorrere a una nota esplicativa, chiedendo ai mezzi d’informazione “di dare notizie senza sensazionalismi” affinché “i cittadini non siano portati a credere che ci sia motivo di allarme”.
Il ripopolamento della tigre prosegue
Naturalmente 60 tigri morte a causa dell’uomo sono da ritenersi una cifra ancora troppo alta, ma la Ntca tiene a sottolineare come sul record negativo del 2021 incida anche il cospicuo aumento della popolazione di grandi felini nel subcontinente indiano: i censimenti condotti su base quadriennale dal 2006 al 2018 hanno infatti mostrato un tasso di crescita annuale delle tigri del 6 per cento, e se quindici anni fa si stimava l’esistenza di 1.411 tigri, oggi all’interno dei 53 parchi monitorati ve ne sarebbero 2.967, oltre il doppio.
Si tratta, spiega la Ntca, di un calcolo preciso: “L’87 per cento delle tigri sono state individuate tramite foto-segnalazioni dirette o foto delle impronte, il restante 13 per cento è stimato attraverso modelli matematici e statistici”. Il tasso di crescita del 6 per cento, conclude l’autorità indiana, “compensa le perdite naturali e mantiene le tigri al livello di capacità di carico degli habitat, nel contesto indiano”.
Secondo il Wwf nel 2010 erano meno di tremila gli esemplari in natura, un dato che mostrava un declino costante e un serio rischio per le popolazioni di tigri. L’obiettivo che era stato fissato a livello internazionale era quello di raddoppiare questo numero entro il 2022, e l’obiettivo sembra oggi fortunatamente raggiunto. Dal 1940 a 1980 tre sottospecie si sono già estinte: la tigre di Bali, di Java e del Caspio.
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